Home 2012 30 Aprile
30 Aprile
DECRETO FISCALE. IVA. COLLEGI UNIVERSITARI PDF Stampa E-mail
Stretta sull'esenzione dall'Iva per i collegi universitari: da ora in poi non pagheranno questa imposta solo quelli gestiti da enti che operano esclusivamente con la finalità di ospitare gli studenti universitari.
(Fonte: ANSA.it 18-04-2012)
 
MEDICI SPECIALIZZANDI. AUMENTO DEI CONTRIBUTI INPS PDF Stampa E-mail
Dopo lo stop alla tassa sulle borse di studio, potrebbe arrivare ora un altro aumento, previsto nel ddl lavoro, dei contributi alla gestione separata Inps, che pagano gli specializzandi perché considerati borsisti in formazione e non lavoratori. L’allarme è della Cgil medici e della consulta delle professioni del sindacato. «Senza modifiche - spiega il segretario della Fp Cgil medici Massimo Cozza - per gli specializzandi ci sarà un'altra supertassa che a regime costerà 100 euro al mese in più». Un'ipotesi contro la quale si schiera anche il senatore Ignazio Marino: «I giovani specializzandi meritano un trattamento contributivo adeguato ed è chiaro che un aumento delle aliquote sui contributi che già versano è una ingiustizia». Si tratterebbe di un aumento dell'aliquota dal 18 al 24 per cento, da versare alla gestione separata dell'Inps. Insomma, insiste il senatore, «non è pensabile che per ogni tassa cancellata ce ne debba essere un'altra in arrivo».
(Fonte: Avvenire 18-04-2012)
 
PROROGA DEI RETTORI PDF Stampa E-mail

Negli Statuti riscritti in base alla legge Gelmini (legge 240/2010), le università devono prevedere per il rettore un mandato unico, non rinnovabile, della durata di sei anni.Per i rettori in carica, la norma transitoria prevede la decadenza al termine dell'anno accademico successivo a quello dell'«adozione» del nuovo Statuto. Alcuni atenei hanno individuato il momento dell'«adozione» in quello dell'approvazione ministeriale definitiva e successiva pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale», anziché nel momento (precedente) dell'approvazione da parte dell'università. Il ministero ha avallato questa interpretazione: per cui è probabile per molti lo slittamento al 2013.
In una fase di transizione in cui negli atenei si sta attuando la riforma Gelmini, la proroga dei rettori si spiegherebbe con l’esigenza di trovare nell’elezione del rettore l’elemento di continuità con i vecchi statuti, che adesso saranno sostituiti dai nuovi. Il nuovo statuto che ciascun ateneo ha adottato in applicazione della legge Gelmini è vigente al momento della pubblicazione in Gazzetta ufficiale, ma solo una volta che sia stato valutato positivamente dal ministero dell’Università, e questo ha implicato talvolta un iter molto travagliato. Il ministro Profumo spiega che c’erano due scadenze, la prima era il 29 di luglio 2011, la seconda era a 180 giorni dopo e cioè il 29 di ottobre scorso, per poterlo presentare, dopodiché il ministero aveva quattro mesi per valutarlo. Solo che la faccenda si è fatta più complicata nei casi in cui “è stato necessario che le università facessero alcune revisioni sullo statuto”. Profumo ha poi ricordato come alcuni rettori, pur essendo nelle condizioni di poterne approfittare, abbiano deciso di “rinunciare all’ulteriore proroga di un anno”. A un’interrogazione parlamentare in merito ha invece risposto, nell’aula di Montecitorio, il ministro per i rapporti con il Parlamento Piero Giarda, il quale ha ribadito che le proroghe dei mandati di rettori decise in questi giorni in alcuni atenei “sono in linea con quanto previsto dalla riforma” e che “risponde a una corretta applicazione della norma ritenere che nel caso in cui l’adozione definitiva dello statuto è deliberata nel corso dell’anno accademico 2011-12, il mandato del rettore andrà a scadenza alla fine dell’anno accademico 2012-13″.
(Fonte: università.it 20-04-2012)

 
RICERCA. PROGETTI DI ECCELLENZA. INTERVISTA AD ANTONIO IAVARONE PDF Stampa E-mail
Antonio Iavarone, docente di patologia e neurologia alla Columbia University di New York, è uno dei venti membri della task force di cervelli che lavorerà insieme al Governo per favorire la circolazione della conoscenza e per mettere in rete i ricercatori italiani che da qualche tempo lavorano con successo all’estero con le strutture di ricerca del nostro paese. Quali sono stati i principali errori delle riforme passate? «Tutti i programmi finora lanciati, persino il programma "Ritorno dei cervelli" per facilitare il ritorno dei ricercatori italiani all'estero e per incoraggiare quelli stranieri a lavorare in Italia, sono stati un fallimento. Il motivo è che tutte le iniziative dei governi che si sono succeduti, di qualsiasi orientamento politico fossero, non si sono mai rivolte agli scienziati internazionali più validi, spesso si è trattato di pure operazioni pubblicitarie. Ci vuole meno burocrazia e più attenzione al merito». Cosa propone? «L’Italia non attrae le migliori menti, come non attrae investimenti industriali; all’estero non viene vista come uno dei migliori posti dove lavorare. La rotta si può invertire solo mettendo in campo progetti di eccellenza, penso a 35 centri di punta tra il nord e il sud. Dobbiamo individuare su quali settori investire, per la nostra storia, per i risultati raggiunti e puntare a sviluppare al massimo il potenziale». Forse uno dei limiti è che non sappiamo esattamente neanche su quali asset economici puntare?  «Si, forse anche questo. Ma la ricerca di per sé è un asset. Nel mio campo per esempio, la ricerca sul cancro, essere un polo di riferimento internazionale significa mettere in moto una filiera con ricadute economiche sul territorio.». Ma i tempi non sono certo i migliori per trovare i soldi da investire. «Nel trasferimento di fondi per la ricerca dalla comunità europea, l’Italia paga una quota di compartecipazione comunitaria che è il doppio di quanto riesce a riprendere indietro come finanziamento ai programmi. Le risorse ci sarebbero, dunque. Inoltre, quando riesci a realizzare una fucina di cervelli attrai risorse attraverso l’eccellenza dei progetti».
(Fonte: P. Jadeluca, repubblica.it 24-04-2012)
 
RICERCA. POTENZIARE I CLUSTER D’INNOVAZIONE PDF Stampa E-mail

Collaborare con gli stranieri è conveniente. Non solo perché produce una ricerca di più alto impatto (dato l’incontro fra competenze complementari) ma anche sotto il profilo economico e di efficienza (in gruppo, per esempio, si riducono i costi delle attrezzature di laboratorio).
Fondamentale anche l’interdisciplinarietà, cui spesso si rinuncia per ragioni di carriera, quando per esempio ai giovani ricercatori si consiglia un’attività concentrata nel loro campo di studi, nell’ottica di costruirsi una propria reputazione, di legare il proprio nome a un tema specifico. È vero che non tutti i settori accademici sono tenuti a entrare in collaborazioni estere, ma in molti studi – come quelli riguardanti problematiche globali – l’approccio internazionale e interdisciplinare possono essere determinanti. Potenziare i “cluster” d’innovazione. L’espressione cluster è usata nelle scienze sociali per indicare poli di ricerca in cui l’innovazione è rigogliosa e auto-sostenibile. Chiamati anche hub, sono stati riconosciuti per esempio nella Silicon Valley, a Tokyo e a Cambridge, e si appoggiano almeno a una grande università. Secondo gli autori dello studio su Science, l’ideale sarebbe che i cluster contassero su una rete coordinata di università, che “comprenda una massa critica formata da diverse tipologie di talenti”, rappresentabile come un “ecosistema d’innovazione”. Le condizioni perché questo sogno possa realizzarsi sono un’esperta base imprenditoriale, necessaria per finanziare l’avviamento del progetto, e il libero scambio d’idee tra i settori e le istituzioni, talvolta osteggiato dai timori di violazione della proprietà intellettuale.
(Fonte: F. Toti, daily.wired.it 12-04-2012)

 
RICERCA INDUSTRIALE. FINANZIAMENTI E PERFORMANCE PDF Stampa E-mail

Esiste un grave sottodimensionamento della ricerca industriale. Sebbene le imprese italiane investano poco in ricerca e innovazione, ricevono un cospicuo sostegno pubblico, sia da parte del Governo nazionale che da quelli locali – e spesso più dai secondi che dai primi. Le imprese hanno ricevuto, nell’ultimo mezzo secolo, per ricerca e innovazione dallo stato italiano, dalle regioni e dall’Europa una quantità di risorse finanziarie di enormi proporzioni.  Se ci limitiamo alla sola R&S, nel 2009 le imprese sono state finanziate dalle istituzioni pubbliche italiane per 662 milioni di euro, pari al 6,5% del totale. Tale cifra equivale al fondo di finanziamento ordinario del CNR.
I dati sulla performance economica parlano chiaro: la produttività del nostro sistema produttivo è più bassa di quella degli altri paesi industrializzati, e ciò significa che l’investimento pubblico a sostegno della ricerca industriale non ha prodotto i risultati sperati. Sarebbe opportuno dunque, nel momento in cui, giustamente, si vanno a valutare (in realtà si torna a valutare) le istituzioni pubbliche, procedere finalmente a un’analisi dell’impatto che tali fondi hanno avuto sulla competitività del sistema produttivo italiano. E allora, visto che finora non si dispone di evidenze che giustifichino l’intervento pubblico a sostegno della ricerca delle imprese, e che la ricerca pubblica è ancora (ma per quanto?) vitale e produttiva, credo che per la comunità nazionale sia più saggio e produttivo togliere parte delle risorse pubbliche alle imprese e darle all’accademia e agli enti pubblici di ricerca. In tal modo si salvaguarda un patrimonio di competenze e si costruisce il futuro anche per le imprese stesse. Insomma una politica alla Robin Hood: togliere a chi non sai bene cosa ti dà in cambio – come dicono gli inglesi value for money – e dare a chi è produttivo e continuamente soggetto a scrutinio e valutazione, in patria e all’estero, ieri e oggi.
(Fonte: G. Sirilli, roars 11-04-2012)

Un commento (di Libera): non credo sia una soluzione togliere agli uni per dare agli altri perché tirando le somme perderebbero entrambe (anche se la ricerca di base è quella che va maggiormente salvaguardata)! Rimane invece il tema di come gestire al meglio le risorse e la complessità degli interessi in gioco.
 
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