Il rapporto sull'università italiana dell'Economist Stampa

Il rapporto dell'Economist sull'istruzione è un insieme di mezze verità nel solito contesto "Italiani, Spaghetti, Cosa nostra". "Gli italiani sono profondamente antimeritocratici". Pur facendo la tara del razzismo di questa frase, la sua falsità risulta dal fatto ovvio che, se in Italia non vi fosse stato un sistema dell'istruzione meritocratico, il paese non avrebbe avuto una scienza e una cultura umanistica ai primi posti nel mondo. La mezza verità è che da almeno un trentennio la scuola e l'università sono sempre meno meritocratiche. Le cause di questa degenerazione sono molteplici e non tutte specificamente italiane: il sessantottismo, l'apertura indiscriminata degli accessi universitari, le assunzioni ope legis di migliaia di docenti, l'ideologia del successo formativo garantito e della "customer satisfaction", il pedagogismo antidisciplinare, le riforme universitarie del 3+2 e dei concorsi locali, la mano morta dei sindacati sulla scuola, il rifiuto di ogni forma di valutazione, ecc. Tutto ciò ha origini ben antecedenti ai governi Berlusconi.

Il rapporto dell'Economist batte sui tasti della gerontocrazia e delle raccomandazioni. Mezze verità. Nelle università americane non esistono limiti di età: è gerontocrazia? In Italia, prima degli anni Settanta si assumevano anche i ventenni. La gerontocrazia è frutto di migliaia di assunzioni universitarie ope legis, ma in questi anni (si tranquillizzino all'Economist) metà dei professori universitari sta andando in pensione. Quando alle raccomandazioni, dove vive il signor Economist? Nelle migliori università estere si assume per cooptazione, e sulla base di lettere di raccomandazione. La raccomandazione è sacrosanta, purché sia trasparente, scritta e firmata, non per telefono o nei corridoi, e quest'ultima è una degenerazione cresciuta a dismisura con le riforme. Anche in Italia si assumeva per cooptazione.

Poi, la riforma Berlinguer ha introdotto il meccanismo concorsuale che (come dice bene l'Economist) premia i candidati locali e ha "screwed", il sistema rendendo inevitabile l'efferata pratica di scambio: "Io ti aiuto a far passare il tuo candidato 'locale', anche se fa schifo, purché tu renda idoneo il mio candidato esterno".

L'Economist non dice che una laurea italiana quadriennale in Fisica era una delle migliori del mondo mentre la riforma del 3+2 ha drammaticamente degradato la didattica universitaria. Il proliferare di corsi di laurea deliranti è stato istigato dal sistema dei crediti e della falsa autonomia. Che il 3+2, l'autonomia fasulla e i crediti abbiano disastrato l'università lo pensa la stragrande maggioranza dei docenti universitari, ma smontare il marchingegno della riforma Berlinguer richiederebbe energie che nessuno trova più.

Il rapporto dice che l'Italia ha buone scuole primarie, secondarie di media qualità e università mediocri. La verità è quasi all'opposto. Le scuole primarie italiane erano tra le migliori del mondo fino al 1985, ora sono un disastro, devastate da riforme ideologiche che le hanno ridotte a un paese dei balocchi: le loro discrete performance nei test Ocse-Pisa sono una prova dell'inaffidabilità di questi ultimi. Le scuole secondarie di primo grado sono mediocri, perché si è consentito a laureati privi della formazione necessaria di insegnare le materie scientifiche. I licei reggono abbastanza bene. Un'altra fandonia è che al termine della scuola secondaria gli studenti italiani non sostengano gli stessi esami in tutto il paese, per cui è impossibile raffrontare i loro rendimenti: hanno mai sentito parlare all'Economist degli esami di maturità, le cui prove sono identiche in tutto il paese?

Le università per quanto malandate non stanno affatto peggio della scuola. Inoltre, è una bugia che a fronte delle università statali - di cui si cita il basso profilo nelle classifiche internazionali - si contrapponga un livello ottimo delle private, tra cui Bocconi e Cattolica di Milano. Con tutto il rispetto, nella classifica delle prime 50 università in Social Sciences & Management (QS World University Rankings), la Bocconi nel 2009 era fuori classifica (68° posto) e nel 2010 è entrata soltanto al 48° posto. Della Cattolica non v'è traccia.

Molto vi sarebbe da aggiungere, ma concludiamo osservando che prima di imbastire simili prediche bisognerebbe pensare alla trave nel proprio occhio. L'istruzione inglese non se la passa meglio della nostra. Nel 2009 secondo gli uffici inglesi di statistica il 21 per cento dei ragazzi di 14 anni dimostrava un livello di scrittura, lettura e aritmetica degno dei bambini di 7 anni. La lettura dell'English National Curriculum in matematica è imbarazzante. Il lettore può utilmente rileggere l'articolo di Antonio Gurrado, "La scuola dei 700.000 cretini" (il Foglio 1 ottobre 2010). Come ha dichiarato il primo ministro inglese Cameron: "Bisogna uscire dalla 'macchina scuola' creata dai laburisti e restaurare il contatto con i giovani, con la società". Proprio questo è il punto che accomuna il caso inglese con quello italiano: per uscire dalla crisi occorre demolire la "macchina istruzione", creata da una certa sinistra ideologica. Pertanto, prendersela con Berlusconi su questi temi è privo di fondamento, se non in un senso: e cioè che i suoi ministri hanno fatto ben poco per riparare allo "screwing" del sistema dell'istruzione provocato da altri, e anzi hanno finito con l'arrendersi all'apparato tecno-pedagogico finendo col fare le politiche a esso gradite. Ma non è certamente in questo senso che si muovono le critiche dell'Economist.
(Fonte: G. Israel, Il Foglio 15-06-2011)