Riforma. Che cosa cambierà all’Università di Torino Stampa
Più efficienza con meno risorse, è la rivoluzione delle università. Mancano poche settimane alla scadenza del termine entro cui presentare il piano di riordino degli atenei previsto dalla riforma Gelmini e Torino, come tutti i maxi poli universitari d’Italia, vive giorni di caos burocratico. Indaffarata a sforbiciare i corsi per i prossimi anni accademici e a estinguere le facoltà, così come vuole il ministro. Grandi manovre e molti equilibrismi, per tenere insieme un puzzle complesso chiamato Università degli Studi, che nel 2012-2013 avrà un volto completamente diverso da oggi. La legge prevede che gli insegnamenti siano gestiti in futuro dai «dipartimenti», comprendenti al loro interno un minimo di 40 docenti. Questo vincolo rappresenta un colpo mortale per le medio-piccole realtà dipartimentali, tenute in vita oggi da 12 o 13 docenti, che spariranno o perderanno la loro specificità, per confluire in strutture più grandi e dalle denominazioni più generali. Dei 55 dipartimenti attuali, a Torino, ne resteranno meno della metà: 25, al massimo 27 (il disegno è ancora in discussione). Saranno responsabili della didattica e dei corsi, compresa la gestione dei docenti e della ricerca scientifica. Un potere più consistente dell’attuale e in lizza ci sono molti aspiranti al ruolo di direttore. I dipartimenti apparterranno a loro volta a sei grandi «scuole», sul modello statunitense, che prenderanno il posto delle facoltà, corrispondendo grosso modo a macro-aree disciplinari: scuola umanistica, scuola medica, scuola giuridica e di scienza politica (concentrate all’ex Italgas), scuola di scienze naturali, veterinaria, scuola economica (ai Poveri Vecchi). Queste ultime saranno strutture leggere che risolveranno le questioni pratiche, tipo l’organizzazione delle aule e degli spazi. Una dieta accademica che mira al risparmio. Prima di tutto del personale amministrativo. Ma nella rivoluzione degli accorpamenti, l’Università, conservatrice per eccellenza, vive giorni di lotte intestine tra i dipartimenti per accaparrarsi un ruolo di prestigio nel nuovo e più snello impianto. Così si è scatenato un vero e proprio «calciomercato» dei docenti (corteggiati come non mai), necessario per restare in vita. Spesso con la promessa che un cambio di casacca e di afferenza potrebbe aprire nuove prospettive di ricerca. Prendiamo ad esempio il Dams e Scienze dell’Educazione, che fino a oggi facevano polo a sé. Il primo sparirà, assorbito completamente dalla galassia di Studi Umanistici, il nuovo nome dentro al quale saranno radunati gli attuali Lettere, Lettere Classiche, Filologia, Discipline Antropologiche, Orientalistica, forse Beni Culturali (anche se parte degli storici dell’arte sta pensando a un apparentamento con Storia) e una possibile nuova Sis per futuri insegnanti. Il secondo farà gruppo con Filosofia, ma già si accende lo scontro, perché nessuno dei due accetta di comparire per ultimo nella denominazione del dipartimento. Storia e Lingue resistono sulle posizioni per fare area autonoma. E Geografia? Addio. Dissolta con i suoi docenti in molti rivoli. Così Scienze delle Religioni. Economia manterrà due dipartimenti forti e compatti, Giurisprudenza uno, come Scienze Politiche. «Delle due facoltà di Medicina sarebbe opportuno ne nascesse una sola - spiega il Rettore Pelizzetti -. Veterinaria farà a sé, perché ha una tradizione antica da valorizzare». Lo stesso vale per Agraria, Farmacia e Matematica, Chimica e Fisica. Ma è a Psicologia che si consuma il dilemma più grande. Molti docenti, insoddisfatti, vorrebbero cavalcare la situazione per fare il salto tanto atteso di dipartimento e anche di carriera, soprattutto nel caso dei giovani ricercatori. Un approdo allettante per loro è Scienze dell’Educazione, anche se Medicina, per ovvie ragioni di familiarità disciplinare, fa da seduttivo contraltare. Ma un’emorragia interna troppo grave potrebbe mettere addirittura a rischio la sopravvivenza del dipartimento. Non parliamo poi di tutte quelle realtà interdipartimentali, per cui il cambiamento comporta una ridefinizione dell’identità. È il caso di Sociologia o di Scienze della Comunicazione. Dove andranno i loro professori? Lo si saprà quando le forbici della riforma entreranno in azione.
(Fonte: L. Tortello, La Stampa 20-06-2011)