Tre osservazioni al Piano Nazionale della Ricerca Stampa

Per la prima volta s’inseriscono nel PNRic (Piano Nazionale Ricerca) dei capitoli di spesa dettagliati e operativi, in altre parole si stanziano e si allocano risorse e non si enunciano solo principî e auspicî. Tramite la redistribuzione, o meglio il reindirizzo di fondi esistenti (ricordare il motto di Tremonti) saranno finanziati su due piedi alcuni interventi prioritari selezionati da non meglio precisati Comitati di Indirizzo Strategico (CIS: viaggiare informati sull’identità del guidatore potrebbe presentare qualche vantaggio). E si parte subito: l’8% del Fondo Ordinario di finanziamento degli Enti di Ricerca (anzitutto Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e Agenzia Spaziale Italiana) è destinato alla realizzazione di 14 cosiddetti “Progetti Bandiera” (nel PNR di Tremonti, ricordate, sono chiamati “progetti-faro”), per un ammontare totale di 1.772 milioni di euro. Tre osservazioni.

Prima osservazione: si tratta di una cifra altissima, che supera di 16 volte l’ammontare complessivo dello stanziamento per i PRIN universitari (i Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale, destinati così a un ruolo decisamente più marginale), e che assai difficilmente lascerà spazio – o meglio fondi – per ricerche di altro tipo negli Enti coinvolti. In ogni caso, avanzassero soldi, ci sono sempre “in panchina” dei non meno cospicui “Progetti di interesse” dichiarati come tali ma ancora privi di un apposito finanziamento (si va dalle nanotecnologie alle reti satellitari, passando per studio delle popolazioni, internet, agroalimentare, e anche i famosi edifici ad alta efficienza energetica, che si spera qualcuno prima o poi consideri seriamente).

Seconda osservazione: si tratta di progetti ambiziosi, relativi anzitutto alla fisica, all’astrofisica e all’aerospaziale, alle biotecnologie, all’ambiente, ma anche al Made in Italy e ai beni culturali. Sono presentati come “proposti dagli enti e scelti tramite un procedimento di valutazione globale”, ma, di fatto, non risulta da nessuna parte che essi abbiano superato quelle complesse selezioni (commissioni, peer-review, arbitri internazionali etc.) che presiedono all’attribuzione di fondi pubblici di entità ben minore. Una realistica ipotesi è che il governo abbia di fatto deciso autonomamente, senza alcuna discussione pubblica, i programmi di ricerca degli Enti del nostro Paese per i prossimi anni: proprio di questo, in effetti, si lamentano alcuni, i quali tra l’altro si chiedono cosa ne sarà di tutti gli altri progetti non eletti ma avviati negli anni passati e bisognosi come minimo di fondi di mantenimento.

La cosa presenta aspetti d’interesse metodologico anche per gli Atenei: faccio solo due esempi che conosco da vicino. Primo esempio: nella mia Università sono state enucleate sin dal principio del nuovo Rettorato (2009) alcune cosiddette “aree strategiche”, che si sono tradotte quest’anno – auspice il riordino voluto dalla Gelmini – in un elemento di struttura, ovvero nella creazione di sei Scuole interdipartimentali (Global Development, International Relations, Management and Asian Studies, Government, Sustainability Science, Cultural Production and Conservation: tutto in inglese, per carità). Queste Scuole corrispondono tutte e sole a quella strategia, e sono state stabilite dal Senato Accademico senza alcuna previa consultazione con i docenti: ai singoli Dipartimenti è stato semplicemente chiesto di aderire a una o più di queste scatole preconfezionate (con tanto di linee-guida di indirizzo).

Secondo esempio: se la sbandierata “meritocrazia” ministeriale passa per una ripartizione in base al merito del 7% del Fondo di Finanziamento Ordinario per gli Atenei, è utile sapere che gli indicatori del “merito” scelti tra mille polemiche per il 2009 (la commissione ministeriale fu accusata da alcuni Rettori di favorire indebitamente le università del nord, che vi erano peraltro ben rappresentate) sono stati nuovamente ritoccati nel 2010 (via per esempio i giudizi degli studenti sulla didattica; via la percentuale di occupazione a 3 anni dalla laurea; più peso all’intercettazione di fondi europei). Ebbene, questo ritocco è avvenuto secondo criteri tanto poco trasparenti che in un documento ufficiale di un Ateneo del nord si legge testualmente che “criticamente parlando, oggi il meccanismo d’incentivazione assomiglia piuttosto a una lotteria” e che “gli obiettivi dei sistemi incentivanti sono ben altri e, se si vogliono incoraggiare le università a intraprendere cammini virtuosi secondo direttive ministeriali, bisogna annunciare in anticipo i criteri, che devono restare stabili per almeno un certo numero di anni, in modo tale che gli atenei li recepiscano e correggano (se lo desiderano) i loro comportamenti per ottenere le risorse sperate”. Si badi: l’Ateneo in questione non è mosso da alcun rancore, giacché la lotteria l’ha vinta, ottenendo un finanziamento premiale di ben 10 milioni, ovvero, di fatto, la differenza fra la vita e la morte.

Terza osservazione, e ultima: fra i Progetti Bandiera ce n’è uno di qualche interesse per i dibattiti di questi giorni: se, infatti, il primo PNR, quello di Tremonti, ha relegato il nucleare a una possibilità da approfondire un giorno insieme all’Europa dopo una bella pausa di riflessione, questo PNRic, quello della Gelmini, attribuisce recta via 39 milioni di euro (non bruscolini, e per di più “strategici”) a un progetto dal titolo “L’ambito nucleare”, che è “orientato al rafforzamento del sistema energetico nazionale”, e i cui obiettivi recitano: “realizzazione di reattori a elevato grado di sicurezza; ricerca sui siti; ricerca sulle soluzioni tecnologiche per lo smaltimento rifiuti; ricerca di materiali per sistemi nucleari innovativi a fissione”; nel medio-lungo periodo, poi, “nuovi tipi di reattori di IV generazione a neutroni veloci”. Nel PNR tremontiano si legge un trafiletto sul “Fondo per il merito”, che dovrebbe presiedere all’assegnazione di borse di studio per gli studenti più meritevoli, e di prestiti con piani di rimborso ventennali per i comunque meritevoli. Dal testo si evince che questi importanti aiuti saranno erogati sulla base di quiz standardizzati e omogenei a livello nazionale da somministrare per via telematica.

PPS: i cospicui investimenti in progetti del Ministero della Difesa (Fregate FREMM e Medium Armoured Vehicles) hanno impegnato e impegnano quasi 2 miliardi di euro in 6 anni (assegnati, è bene chiarirlo, direttamente in finanziaria); a questi si aggiungono almeno altri 100 milioni di un Progetto-Bandiera per un satellite-spia. Queste iniziative non sono state inserite per caso in entrambi i PNR, quello di Tremonti e quello della Gelmini (torneranno anche nel Piano di La Russa, mi figuro): sono “strategicamente” rilevanti perché vanno a sanare ciò che la Moratti lamentava nel PNR del 2005 e sin dalle Linee guida del 2002, ovvero la cronica assenza di investimenti nella ricerca per la difesa (1% della spesa totale in ricerca contro il 30% degli USA e il 14% della media UE): in qualcosa, almeno, stiamo crescendo.
(25-04-2011 Fonte)