Il mondo accademico inglese in fermento per le drastiche misure economiche annunciate dal governo Stampa
Sally Hunt, segretario generale dello University and College Union – il sindacato del personale universitario –, sottolineando che le nuove misure faranno diventare gli atenei inglesi tra i più cari al mondo, ha detto: «È ora che i politici si rendano conto che l’istruzione è un investimento per il futuro di tutti noi e non una pietra che ci portiamo al collo». Le ha fatto eco Aaron Porter, presidente della National Union of Students, che ha aggiunto: «Non possiamo ammettere che le generazioni precedenti riversino il proprio debito su quelle future». Nonostante la ferma opposizione di studenti e accademici il progetto di riforma è stato approvato dal Parlamento ed è ormai una realtà. Ciò significa che le tasse potranno triplicare nuovamente, lievitando fino a 9.000 sterline (14.000 euro circa) l’anno. L’importo è senz’altro elevato, ma i sostenitori della riforma fanno notare che sarebbe più corretto parlare di “rimborso” anziché di “tassa”: gli studenti, spese vive a parte, non dovrebbero sostenere alcun esborso nell’immediato, potendo contare su un sistema di prestiti che prevede la restituzione del dovuto solo dopo che l’interessato si è laureato, ha iniziato a lavorare e ha raggiunto un reddito annuo superiore a 21.000 sterline. A quel punto i rimborsi sarebbero fissati sulla base del salario percepito e sarebbero sospesi in caso di disoccupazione o di riduzione del reddito al di sotto della soglia fissata. Nel caso di un laureato con un salario di 25.000 sterline, viene fatto notare, la rata mensile si aggirerebbe intorno alla modica cifra di 30 sterline. Inoltre dopo trent’anni il debito si estinguerebbe automaticamente a prescindere dai versamenti effettuati. Ma non sono solo gli studenti a protestare. Da mesi tutto il mondo accademico inglese è in fermento per le drastiche misure economiche annunciate dal governo e che, nel settore della formazione, vanno a colpire soprattutto le università, risparmiando almeno in parte la scuola primaria e l’istruzione secondaria. Che il quadro fosse critico si è capito all’inizio del 2010, quando il precedente governo Brown aveva annunciato un taglio di 449 milioni di sterline negli stanziamenti e del 5% nella pianta organica dei docenti e ciò nonostante si fosse in un anno accademico da record in cui le richieste di iscrizione – un terzo delle quali non accolte – avevano superato quota 570.000, con una crescita del 22,9% rispetto al 2009-2010. La University and College Union, denunciando la concreta possibilità di una riduzione degli standard qualitativi della formazione erogata, aveva stimato in 15.000 i posti di lavoro che sarebbero venuti a mancare, con i docenti più anziani e costosi rimpiazzati in larga parte da figure professionali meno onerose. Oggi la manovra è divenuta realtà e si articola in una serie di tagli che nel prossimo quadriennio ammonteranno a 81 miliardi di sterline. Il settore pubblico subirà una contrazione della spesa pari, in media, al 25% degli attuali budget, con una perdita di 750.000 posti di lavoro; l’IVA passerà dal 17,5 al 20% e vi saranno nuove tasse per 29 miliardi di sterline. Per l’università il budget dovrebbe passare dagli attuali 7,1 a 4,2 miliardi di sterline nel 2015: ciò vuol dire che gli stanziamenti caleranno del 40%, pur con una particolare protezione promessa per le discipline scientifiche e tecnologiche (-10%), il che, di converso, implica che lo Stato farà praticamente venire meno il proprio sostegno in ambito umanistico e letterario.
(Fonte: R. Cornacchini,  Rivistauniversitas n. 118, dic 2010)