Sulla mediocrità culturale Stampa
Se alle aristocrazie del censo non subentrano, grazie ad «ascensori sociali», élite qualitative, si ha fatalmente una mediocrità senza oro. In ciò il pensiero liberale ha trovato un proseguimento nelle riflessioni sulla meritocrazia, assente in Italia, come spiega Roger Abravanel. Senza un'eccellenza basata sul merito — curato come bene altrettanto prezioso dell'elevazione generale della società — la mediocrità di ferro non diventerà mai la mediocrità d'oro di Orazio, che Galasso giustamente auspica. Nelle università italiane, ad esempio, il voto che si dà all'asino è numericamente troppo propinquo a quello che si dà al sapiente, perché l'emergere sopra la massa per talento e studio è tuttora malvisto. Così i bravi sono messi in ginocchio e lasciano l'Italia. Il mio discorso è, pertanto, l'opposto di una chiusura elitaria vecchio stile! E’ la denuncia che il disconoscimento della qualità, già grave in una società marcatamente di classe, è terribile in una società cosiddetta democratica, che ha distrutto la vecchia élite borghese senza averne allevata un'altra basata esclusivamente sull'originalità del pensiero, come si alleva invece a Harvard, a Cambridge e in tutte le prime università del mondo. Le nostre, al contrario, sono in coda, perché adottano solo la quantità. Di qui una crisi grave della ricerca e della cultura (fra l'altro sono stati quasi azzerati i finanziamenti statali per i beni culturali) e una crisi altrettanto grave nella formazione della classe dirigente, che dovrebbe uscire da alte scuole per essere all'altezza dei problemi che l'Italia deve fronteggiare.
(A. Carandini replica a G. Galasso e A. Berardínelli, Corsera 26-01-2011)