Salta per gli atenei la possibilità di finanziarsi brevettando le invenzioni dei propri ricercatori Stampa

Il decreto legislativo di integrazione e di armonizzazione europea del Codice della proprietà industriale, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri, ha, infatti, cancellato all'ultimo momento le (tre differenti ipotesi di) norme che avrebbero equiparato i dipendenti delle università – almeno sotto questo aspetto – ai lavoratori delle aziende private, che non possono registrare a titolo proprio le invenzioni. Resta quindi in vigore, l'Italia unico paese in Europa, il sistema attuale che prevede che tutti i diritti esclusivi sulle invenzioni spettano ai ricercatori, fatto salvo il diritto delle università a una percentuale sui proventi dallo sfruttamento economico del brevetto. Secondo alcuni giuristi la scelta pone un problema di efficienza del sistema universitario, privandolo di risorse finanziarie potenzialmente ingenti, ma soprattutto fa sorgere una questione di uguaglianza tra lavoratori (discriminando quelli privati) e dà spazio a interrogativi di correttezza circa il mancato esercizio della delega sul punto da parte del governo. Ma la questione universitaria è solo una parte del lavoro di organizzazione, risistemazione e aggiornamento del Codice della proprietà industriale terminato ieri. Il decreto, che ora dovrà essere promulgato e poi attendere la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale», porta dentro un unico testo materie nuove e regolate da norme sparse (per esempio, le biotecnologie), adegua la legislazione sui diritti dei marchi disinnescando procedure di infrazione già aperte (come nella tutela allungata per il design industriale), innova le procedure giudiziarie di tutela delle parti (anche di quelle che vorrebbero evitare in anticipo un'accusa di contraffazione) e i procedimenti amministrativi di registrazione dei brevetti.

Proprio la protezione allungata del design industriale è uno dei punti qualificanti del decreto legislativo. La nuova formulazione dell'articolo 239 del Codice ripristina la tutela per le opere che, dopo l'aprile del 2001, erano diventate di pubblico dominio (e quindi duplicabili senza limiti), e di fatto pone fuori dalla legalità quelle abusivamente riprodotte dopo il 2006. L'approvazione della norma frena la procedura di infrazione europea per la quale l'avvocato generale, nel giugno scorso, aveva, di fatto, chiesto una censura per l'Italia.

Significative, secondo gli addetti ai lavori, anche le modifiche processuali introdotte ieri. La «descrizione» (il procedimento speciale con cui il titolare di brevetto chiede al giudice provvedimenti d'indagine anche molto invasivi contro sospetti contraffattori) diventa un procedimento in contradditorio - con maggiori garanzie per la difesa – e viene spostata nella competenza dello stesso giudice che opera il sequestro e l'inibitoria. Strumento per l'efficienza giudiziaria, e perciò economica, potrebbe diventare anche la nuova azione di accertamento negativo d'urgenza, con la quale un'impresa può chiedere alla magistratura di stabilire che i suoi prodotti non integrano una contraffazione di opere altrui protette da brevetto. Infine, sempre in aula giudiziaria, debutta la consulenza tecnica preventiva, per «anticipare» l'orientamento del processo e favorire la conciliazione. Nei giudizi di nullità brevettuale, tra l'altro, non sarà più necessario citare l'inventore.

Quanto all'armonizzazione di sistema, il nuovo Codice equipara nei fatti il brevetto italiano e quello europeo (Epc 2000), riducendo tempi e procedure per le aziende, semplifica le procedure per la tutela dei segreti militari e crea piste privilegiate nel contenzioso amministrativo per i mandatari di marchi e brevetti.

Tutto questo sforzo di armonizzazione e modernizzazione di diritti ha prodotto, secondo i commissari che si sono occupati del progetto, un Codice della proprietà industriale tra i più avanzati nel mondo occidentale. Con l'unica ombra del brevetto "universitario". (A. Galimberti, Il Sole 24 Ore 31-07-2010)