Manovra finanziaria. Qualche passo indietro sull’università Stampa
Il presidente della Repubblica ha ottenuto quello che poteva ottenere e a cui teneva di più. Cioè una prova di sensibilità del governo sui fronti in sofferenza della cultura e dell'università. In modo che fossero salvaguardate certe eccellenze italiane, che gli sembrava «insopportabile» fossero penalizzate. Tre passi indietro rispetto alla stangata prevista fino a domenica sera: 1) lo scorporo dal decreto anticrisi dell'elenco di 232 fondazioni e istituti sui quali si dovevano abbattere drastici tagli, passati dal 70 al 50 per cento (deciderà il ministro Bondi chi merita di essere sostenuto, motivando le sue scelte); 2) la promessa di un riesame della ventina di enti da sopprimere indiscriminatamente; 3) l'impegno a ricostituire il fondo dei finanziamenti per gli atenei e i centri di ricerca e formazione (anche se restano le riduzioni di spesa previste per il 2011) e a riconsiderare presto il problema dell'inquadramento dei ricercatori, ora penalizzati ai livelli più bassi delle carriere. È stato grazie a queste rettifiche ottenute in extremis, cui si sono aggiunte correzioni tecniche di singoli articoli gravati da dubbi di «sostenibilità giuridica e istituzionale», che Giorgio Napolitano ha potuto firmare ieri mattina la manovra anticrisi. Immediatamente pubblicata, poi, sulla Gazzetta Ufficiale. Un via libera obbligato, dopo i febbrili contatti tra i tecnici del Quirinale e quelli di Palazzo Chigi, a misure in grado di fare cassa con urgenza per 24.9 miliardi. Obbligato sia perché, lo staff del Colle tiene a ricordarlo, l'esclusiva responsabilità dei decreti legge ricade sull'esecutivo tanto «per gli indirizzi quanto per il merito», sia perché lui stesso considera senza alternative e dunque «inevitabile» un intervento forte per allinearci agli sforzi del resto d'Europa. (Corsera 02-06-2010)