Molte domande sulle università telematiche in Italia Stampa

Gli atenei telematici italiani sono diventati a tutti gli effetti un "sistema parallelo" per ottenere a pagamento una laurea in tempi da record, accorciando corsi di studio e collezionando crediti formativi. Un metodo rodato e oliato per diventare dottori a caro prezzo ma con il minimo dell'impegno. Un anno di studi come sconto garantito, 24 mesi contro i 36 necessari, esami senza rischi e tesi compilate in fretta. Un business da oltre 100 milioni di euro l'anno, senza contare i proventi di master e specializzazioni. Le U. T. poggiano su una normativa più o meno evanescente (telematiche perché? sede dove?) ma godono di prerogative del tutto equivalenti a quelle proprie di ogni università pubblica. Possono erogare titoli, riconoscere studi ed esperienze di lavoro pregressi, hanno un rettore che partecipa alla CRUI, possono bandire concorsi per ogni tipo di personale universitario. Insomma: sono università a tutti gli effetti tranne che per il dovere di esistere fisicamente ora e qui. In Italia le università telematiche sono 11, il numero più alto di tutta Europa, dove in ogni nazione ne esistono una o due soltanto. Infatti, la sfida dell'e-learning non ha portato alla creazione di una grande università telematica pubblica, come la Uned spagnola che ha 150 mila allievi, o la Open University inglese, che ne ha oltre 180 mila, ma alla creazione di tante piccole realtà con dichiarato scopo di lucro. Gli studenti dal 2003 ad oggi sono aumentati del 900%, erano 1.529 nell'anno accademico 2004/2005, sono oggi circa 14 mila, un po' meno dell'1% di tutto il sistema universitario. Ma da che cosa nasce quest’anomalia italiana, verso la quale lo stesso ministro Gelmini ha annunciato "tolleranza zero"? Come mai, pur essendo arrivati ultimi in Europa nella creazione dell'e-learning, gli atenei telematici sono poi diventati così numerosi in soli sette anni? Quanto valgono sul mercato del lavoro queste lauree? E soprattutto come mai ben 7 atenei su 11 sono stati autorizzati uno dopo l'altro in soli 5 mesi, dal gennaio al maggio del 2006? Ma chi c'è dietro le università telematiche, dove il corso di studio avviene da casa con forum e videoconferenze e si frequenta la sede dell'ateneo soltanto per dare gli esami? Quali capitali? Quali interessi? Ad esempio la Roma Mercatorum è espressione diretta delle Camere di Commercio Italiane, mentre la Guglielmo Marconi, la più frequentata tra le università telematiche, con oltre 8000 allievi e 30 corsi di laurea, sorge con l'apporto di Wind e di un gruppo di banche. Diverso il caso della Uninettuno, fondata da un consorzio di università pubbliche con un team di aziende, Rai, Telecom e Confindustria, E un consorzio di 5 università si ritrova anche dietro la Iul di Firenze, Italian University on Line, unica università telematica pubblica in Italia. "Il vero problema è che le università telematiche, molte delle quali non avrebbero nemmeno i requisiti minimi per esistere, si sono trasformate in pochi anni in luoghi dove ottenere con facilità una laurea, che serve poi a farsi strada nella pubblica amministrazione. Con titoli del tutto equivalenti alle lauree statali sia come punteggio per i concorsi, che per gli avanzamenti di carriera", spiega Giovanni Azzone, docente al Politecnico di Milano, vicepresidente del Cnvsu. Un'ingiustizia dunque, tutta a discapito di chi per ottenere un titolo studia e s’impegna. Altra domanda. Come mai ad esempio le università telematiche indicono decine di concorsi a cattedra e poi non assumono quasi mai i docenti idonei, creando un vero e proprio esercito di "prof fantasma"? Quali sono i rapporti di convenienza, non sempre limpidi, con le università statali? Quali ancora gli illeciti veri e propri? È dal meccanismo dei concorsi che bisogna partire, per cercare di decodificare quello che Paolo Ferri, esperto di e-learning, docente di Scienze della Formazione all'università Bicocca di Milano e anche presso la telematica Iul di Firenze, definisce "il mercato delle lauree parallele, dove spesso l'università on line è la scorciatoia facile e a pagamento per chi non riesce ad affrontare l'università statale". Con l'aggiunta, dice Ferri, che a volte "questo meccanismo coinvolge anche i docenti di atenei pubblici che insegnano a contratto nelle telematiche e che qui si comportano in modo più spregiudicato... ". Partendo dal dato che "dei 222 docenti di ruolo necessari a coprire i 74 corsi di studio attivati nell'anno accademico 2009/2010 oggi ne sono presenti soltanto 42", questo vuol dire che in gran parte degli atenei a distanza, spiega Giovanni Azzone del Cnvsu, "per non affrontare l'onere economico dei docenti di ruolo, si lavora con personale a contratto, con numeri ridotti al minimo, che di certo non possono garantire l'offerta formativa promessa dai corsi di laurea pubblicizzati dall'ateneo". A fronte dei numeri citati nel rapporto degli esperti del ministero, e cioè 42 docenti sui 222 necessari, "vi sono ben 164 posti banditi per concorso". Dove sono finiti questi "docenti fantasma", come mai pur essendo stati dichiarati idonei non hanno poi avuto la cattedra nell'università telematica? La realtà è nascosta tra le pieghe della legge, si legge nel dossier degli esperti del Cnvsu, "perché prevedeva che per gli atenei di nuova nomina si potessero computare nell'organico non solo i docenti effettivamente presenti, ma anche le procedure concorsuali bandite e non ancora concluse". Ossia ai numeri veri si potevano sommare numeri "ipotetici". La possibilità di bandire concorsi stimolò subito l'immaginazione degli addetti.  Abbiamo casi di concorsi banditi e celebrati con vincitori mai chiamati lì, ma subito accolti da un'università statale in quanto idonei. II che prevede che la telematica si accolli solo le spese del rito concorsuale e la statale quelle dello stipendio del vincitore, alla faccia di programmazione e vincoli di turn over. Non si scomodi il fumus sceleris, basta la più casareccia pastetta. (Fonti: Il Fatto Quotidiano 30-03-2010; La Repubblica.it 02-04-2010; skywalkerboh.blogspot.com 06-04-2010)