LEGGE DI STABILITÀ. IL FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO (FFO) DELLE UNIVERSITÀ STATALI SARÀ INFERIORE ALLE SPESE FISSE DI PERSONALE Stampa

Gli atenei spendono per le buste paga di docenti e tecnici 6,62 miliardi, mentre l'assegno (FFO) staccato dallo Stato si fermerà a 6,6 miliardi. Se i finanziamenti statali se ne vanno tutti per il personale già assunto, gli spazi per lo sviluppo e gli investimenti in ricerca si riducono alquanto. La dote aggiuntiva al fondo di finanziamento ordinario si fermerà a 100 milioni di euro, e di conseguenza la dote statale agli atenei si ridurrà

del 4,3% rispetto all'anno prima. Un taglio inedito nelle dimensioni, perché l'ultimo precedente analogo risale al 2011 (-3,8%). Nello stesso tempo sono stati concessi 52,5 milioni ai Policlinici delle università non statali. Numeri che spingono il  presidente della CRUI a parlare di «incredibile mancanza di sensibilità di Governo e Parlamento, che hanno trovato il modo di non abolire le Province, di aiutare i Comuni ma non di mettere le università statali nelle condizioni di garantire i diritti costituzionali alla formazione e alla ricerca».
Il ministro Profumo ha denunciato in prima persona il «rischio default» nelle università ma nemmeno il suo pressing ha fatto breccia.
Il «rischio-default» evocato da Profumo si può declinare in vari modi, e prima di tutto non è ovviamente uguale in tutti gli atenei perché ogni bilancio racconta una storia diversa. Un primo indicatore di sofferenza è dato dal rapporto fra le entrate stabili di un'università, che oltre al FFO comprendono i contributi studenteschi e le risorse per la programmazione, e le spese di personale: in alcuni atenei meridionali, da Foggia a Cassino, dalla seconda Università di Napoli a Sassari, le buste paga nel 2011 hanno consumato più dell'85% delle entrate stabili (Tabella A). Questa condizione dipende da più fattori, e oltre al peso del personale è dettata anche dalla quantità di contributi statali assegnati a ogni ateneo dai meccanismi del «finanziamento premiale» che misura le risorse in base alle performance delle strutture in fatto di ricerca e didattica. A considerare "problematico" un indicatore di questo tipo è comunque la riforma Gelmini (nella parte attuata con il Dlgs 49/2012) che limita le possibilità di assunzioni per chi sta sopra l'80% sulla base dell'esigenza di riequilibrare i conti prima di ampliare gli organici. Con la riduzione di risorse in programma alla luce della legge di stabilità, nel 2013 il tetto potrebbe essere superato da 32 università, cioè dalla metà degli atenei statali. Un'altra declinazione del «rischio-default» si può incontrare sugli oneri di indebitamento. In questo caso il limite problematico è fissato dallo stesso decreto attuativo della riforma Gelmini al 15%, e in base agli ultimi dati ministeriali è stato già superato da cinque atenei. Si vedano le Tabelle 1 e 2. (Fonte: G. Trovati, IlSole24Ore 20-12-2012)

 

TABELLA A. Il supposto “rischio default” dei primi 10 atenei con soglia di stabilità superiore all'80%
(Fonte: uninews24.it 27-12-2012)

Università di Foggia (89,16%)

Università Cassino (88,1%)

Seconda università di Napoli (85,5),

Università  Sassari (85,2%),

Università Bari (84,6)

Università Federico II di Napoli (83,7%).

Università Tor Vergata (83,4%)

Università Messina (83%),

Università del Molise (82,4%)

Università Palermo (82.1%).

TABELLA 1. L'andamento del fondo ordinario negli ultimi anni.
In milioni di euro. (Fonte: IlSole24Ore)



TABELLA 2. Le università in pericolo per debiti. Dati in percentuale
(Fonte: IlSole24Ore su dati CNSVU e CRUI)


(*) Rapporto fra oneri di ammortamento e fitti passivi rispetto alle entrate stabili