NUOVI STATUTI. COME CAMBIA LA GOVERNANCE IN 37 ATENEI Stampa
Per la tipologia dei componenti del CdA, già da ora è possibile avere un’idea degli orientamenti dando una scorsa al confronto tra gli Statuti sinora approvati e/o pubblicati sulla G.U. (vedi la Tabella 1), nella quale sono censite 37 università (abbiamo escluso le private quelle telematiche e quelle aventi statuto speciale). Di esse 15 hanno un CdA fatto di 11 membri, 9 sono con CdA di 10 membri, 10 con CdA di 9 membri, Venezia IUAV ha solo 7 componenti e Pisa S. Anna 5. Nel caso di composizione 11 membri ci si è attenuti in generale alla formula del 5+3, ovvero cinque componenti appartenenti al corpo accademico e 3 esterni (oppure 2, nel caso di un CdA con 10 o 9 membri).



In generale i componenti del corpo accademico sono docenti e a volte è prevista anche la presenza di qualche componente del personale tecnico-amministrativo (TA), e ciò avviene in 18 casi su 37. Altre volte non viene fatta distinzione tra docenti e TA, per cui si sceglie indifferentemente, a seconda delle varie modalità. Infine, nella scelta dei docenti solo in pochi casi si rispetta una proporzione tra le fasce (ordinari, associati e ricercatori) (Bari, Parma, Piemonte Orientale) o una ripartizione in aree disciplinari, effettuando delle aggregazioni delle 14 aree del CUN (Foggia, Palermo, Parma, Pisa, Salerno). Per quanto riguarda gli esterni sono in generale 3 o 2 (in base al numero dei componenti il CdA), con qualche eccezione, come a es. Venezia Ca’ Foscari, che ne ha 4. Se non fosse per l’eccezione di Trento, si direbbe che tutte le università hanno resistito alla tentazione di un’immissione massiccia di componenti esterni al mondo universitario, lasciando saldamente il governo degli atenei in mano ai docenti espressi dal suo personale di ruolo.
E qui, infatti, arriviamo alla sostanza della nuova mappa di potere che si è venuta a disegnare dopo l’approvazione della L. 240 che, oltre a spostare gli equilibri verso il CdA a scapito del Senato, ha poi permesso di stabilire una serie di norme che possono lasciare più o meno spazio a pratiche di scelta democratica e a procedure condivise. Di fronte alla dizione della legge che parla di “designazione o scelta” tra le candidature individuate “anche mediante avvisi pubblici” si sono avute diverse linee interpretative. In molti atenei la si è interpretata come un’esplicita esclusione di un processo elettivo comunque concepito, per cui si è intesa la scelta come una prerogativa del rettore, o di organismi da questo controllati, in base alla necessità di assicurare una governance efficace grazie a una “squadra di governo” coerente con la sua linea politica, che evitasse i mali dell’assemblearismo democratico e la sua conseguente deresponsabilizzazione.
Altri statuti hanno invece addirittura inteso la scelta come procedura elettiva più o meno indebolita o mascherata, secondo varie modalità; oppure hanno concepito il processo di scelta dei componenti interni ed esterni in modo da sottrarli quanto più possibile alla discrezionalità del rettore, per evitare che questo si trasformasse in un dominus. La conseguenza di ciò è stata la strana circostanza che il MIUR ha dovuto fare delle obiezioni sia agli atenei che hanno imboccato la linea della centralizzazione nelle mani del rettore del potere di designazione (come a Catania, nel qual caso il Miur ha invocato la sospensiva dello Statuto al TAR, che l’ha respinta), sia a quelli che invece hanno stabilito una procedura elettiva. In altri casi, come a Milano lo statuto è stato modificato a seguito delle osservazioni del Miur, per cui la modalità della designazione degli 8 componenti (4 interni e 4 esterni) – prima tutti designati dal SA a scrutinio segreto – avviene ora per 3 dei 4 esterni su proposta del Rettore.
(Fonte: F. Coniglione, roars.it 20-03-2012)