Home 2011 1 Novembre
1 Novembre
Studenti. Spese per fuorisede di lauree triennali PDF Stampa E-mail
Anche quest'anno Federconsumatori ha monitorato le spese per uno studente di un Corso di Laurea Triennale fuorisede (continuazione della prima parte del II Rapporto Nazionale sui costi degli Atenei italiani 2011, relativa ai costi di iscrizione alle Lauree Triennali, che e' disponibile sul  sito http://www.federconsumatori.it/).  Le cifre emerse rivelano costi impressionanti, soprattutto per i circa 450.000 studenti fuori sede presenti in Italia: gli studenti fuori sede il cui reddito rientra nella II fascia spendono in media 8.860 euro annui affittando una stanza singola (+9% rispetto al 2010) e 7.750 euro annui affittando una stanza doppia (+12% rispetto al 2010); gli studenti fuori sede il cui reddito rientra invece nella III fascia spendono in media 9.211 euro annui affittando una stanza singola (+9% rispetto al 2010) e 8.101 euro annui affittando una stanza doppia (+12% rispetto al 2010). A registrare le spese più elevate sono le città universitarie del Centro-Nord, lievemente minore invece risulta studiare al Sud (in media si spente il 25-30% in meno rispetto alla media nazionale). Seppur notevolmente minori, non sono certamente trascurabili nemmeno i costi da sostenere per mantenere un figlio all'università in sede, vale a dire nella stessa provincia di residenza (costi relativi solo alle spese per lo studio), che sono molto più elevati rispetto allo scorso anno: gli studenti in sede il cui reddito rientra nella II fascia spendono in media 1.327 euro, il 17% in più rispetto al 2010; gli studenti in sede il cui reddito rientra invece nella III fascia spendono in media 1.678 euro, il 14% in più rispetto al 2010. Nei paesi sviluppati, da oltre un decennio, si registra una velocità di crescita dei costi per l'istruzione universitaria doppia rispetto a quella dell'inflazione, ma in Italia questa tipologia di costi cresce con una velocità notevolmente maggiore, da 3 a 4 volte quella dell'inflazione.
(Fonte: AGI 21-10-2011)
 
Studenti. Troppi rispetto al mercato del lavoro? PDF Stampa E-mail
L’autore di un articolo su ‘il Sole 24 Ore’ sostiene che i laureati in discipline umanistiche sono troppi e mediocri; ciò avviene per la cupidigia delle università che vogliono accaparrarsi iscritti, a causa di studenti purtroppo non formati alla professione dal liceo e non incalzati da necessità economiche (in Italia ci sarebbe un «relativo benessere»!) che rimandano il problema del lavoro studiando. La cura proposta è quella di una bella selezione in entrata, previa riqualificazione delle materie umanistiche liceali, utile, questa, a forgiare «cittadini migliori». Pratiche e serie soluzioni, conclude l'autore, per medicare un'Italia piena di retorica più che di cultura. Riassunto il pezzo, sciolgo le ambiguità che la sua apparente schiettezza nasconde. Per cominciare: gli studenti sono troppi rispetto a cosa? Rispetto al mercato del lavoro, unica unità di misura su cui l'articolo tara la sua università ideale. Obietto: vogliamo studiare per occupare il posto che il mercato ci assegna oppure per apprendere ed elaborare un pensiero libero di modificare l'esistente? Studiare per scoprire, pensare e cambiare la realtà, e ammettere che questa potenzialità sia in tutti fino a contraria prova, è un percorso che comporta qualche sperpero, e che non ci renderà "produttivi" allo scoccare dei ventitré anni? Beh, si tratta di un costo necessario, poiché volere persone già in possesso dei propri interessi a diciotto anni implica una concezione disumana degli individui (irrigiditi in una scelta e in un ruolo sociale dall'adolescenza alla morte) praticata nei modelli statuali - totalitari e ultracapitalistici - in cui il singolo esiste solo in quanto parte di un ordine produttivo e sociale. Negli ultimi vent'anni l'università di massa ha dismesso il proprio fondamento politico di ideale democratico e si è ridotta a un'ipotesi di mercato (lo studente come cliente dell'azienda università). Oggi questa università è riconosciuta fallimentare non rispetto ai propri contenuti culturali ma, appunto, rispetto al mercato che l'ha infeudata; poco produttiva sui grandi numeri, deve richiudersi sul proprio classismo originario e sulla "produzione di qualità": quella delle élites dirigenti. Vogliamo discutere seriamente la natura dell'università e dell'umanesimo attuali? Allora diciamo subito che questi due elementi non sono determinati in alcun modo dal numero degli studenti di lettere, e reimpostiamo la discussione.
(Fonte: S. Gentili, Il Manifesto 26-10-2011)
 
Studenti. Il secondo rapporto federconsumatori 2011 sull’importo delle tasse. Gli effetti perversi dell’evasione fiscale PDF Stampa E-mail

Secondo rapporto.
Come nel primo rapporto, le Università del Nord sono risultate più care rispetto a quelle del Sud. Suddividendo i valori I.S.E.E. (l’indicatore della situazione economica equivalente) in cinque fasce (fino a 6.000 euro per la prima, fino a 10.000 per la seconda, 20.000 per la terza, 30.000 per la quarta e oltre 30.000 per la quinta), gli atenei del Nord sono stati più cari dell'8,22% rispetto alla media nazionale se si considera la prima fascia, del 15,54% per la terza, del 23,23% per la quinta.
L'indagine indica che l'Università di Parma è l'ateneo con le tasse più alte d'Italia: se si considerano i redditi della prima fascia, le tasse hanno toccato gli 890 euro circa per le facoltà umanistiche e poco più di 1000 euro per le facoltà scientifiche. Al secondo posto l'Università di Verona, con una spesa media di 642 euro per la prima fascia, e al terzo posto l'Università degli Studi di Milano. L'Università "Aldo Moro" di Bari, al contrario, è risultato l'ateneo che ha applicato le tasse più basse: 290 euro sia per le facoltà scientifiche e umanistiche. L'università pugliese ha preceduto di poco l'Alma Mater - Università di Bologna, dove chi ha dichiarato un I.S.E.E. inferiore a 20 mila euro ha avuto tasse inferiori del 35% rispetto alla media nazionale (304 euro per facoltà umanistiche e scientifiche). La Puglia si è confermata la Regione in cui studiare costa meno, anche se è opportuno segnalare che in questa Regione l'importo della retta è dovuto al merito e che, in caso di votazione bassa o basso numero di crediti conseguiti, la tassa aumenta.
Rispetto al 2010, il rapporto 2011 ha evidenziato una riduzione dei costi per gli studenti appartenenti alle prime due fasce (rispettivamente dell'1 e del 4%) e un incremento a carico degli appartenenti alla quarta e quinta fascia (+4 e +10%). I costi relativi alla terza fascia sono rimasti invariati. Un aspetto interessante su cui si è soffermato il rapporto ha riguardato il costo dell'università per le famiglie, che si affianca al problema sempre più acuto dell'evasione fiscale: secondo i dati dei CAF, nel 2011 il 32% dei contribuenti ha dichiarato redditi inferiori ai 15.000 euro; ciò vuol dire che gli studenti si sono posizionati in prima o seconda fascia, pagando una tassa media di 515 euro, anche se le loro famiglie erano composte di lavoratori autonomi (es. ristoratori, gioiellieri, albergatori). L'evasione fiscale ha il dramma di parificare famiglie di lavoratori autonomi a famiglie al cui interno vivono semplici operai non specializzati. All'evasione fiscale si aggiungono i tagli al settore dell'istruzione, con il rischio concreto di avere sempre più studenti che si posizionano nelle prime fasce e l'assoluta mancanza di risorse da distribuire agli studenti bisognosi.
(Fonte: D. Gentilozzi, http://www.rivistauniversitas.it/articoli.aspx?IDC=2349 25-10-2011)

 
Professori universitari a contratto PDF Stampa E-mail
La legge di riforma introduce due tipologie di docenza a contratto: 1) docenze “alta qualificazione” rivolte ad esperti in possesso di un significativo curriculum scientifico o professionale. Tali contratti, possono essere gratuiti o a compenso libero e possono essere attribuiti solo a chi sia dipendente di altre amministrazioni, pensionato o lavoratore autonomo (in quest’ultimo caso è previsto un reddito minimo di 40000 euro annui). 2) docenze “adeguati requisiti scientifici e professionali” rivolte a chiunque abbia i titoli per partecipare alla procedura di valutazione comparativa per l’attribuzione del contratto. Questi sono i contratti di docenza rivolti ai precari e il compenso deve essere fissato a livello nazionale dal MIUR (niente affidamenti gratuiti o a cifre simboliche, quindi). Il fine dell'ANDUC (Associazione Nazionale Docenti Universitari a contratto) è quello di favorire l'inserimento, e la tutela di una categoria "definita dalla riforma Gelmini" di altissima qualità professionale e scientifica". Gli associati, si augurano che gli Atenei possano fare un buon uso di queste figure, ormai necessarie, per la didattica universitaria, evitando inutili e superflui conflitti di competenze, che, non hanno ragione di esistere, anche, in considerazione del fatto, che "i docenti universitari a contratto - come afferma il loro Presidente nazionale professor Franco Scarpino - sono titolari della cattedra per un anno accademico (proroga max 5 anni), tengono i corsi, alla pari dei docenti strutturati, partecipano alle sedute di Laurea, seguono attentamente gli allievi anche con azioni di tutorato, sono sempre più disponibili al confronto e alla ricerca". L'ANDUC, al fine di favorire l'impiego dei docenti universitari a contratto, ha predisposto nell'area dedicata del proprio sito, www.anduc.135.it, uno spazio per la ricerca delle cattedre nei vari atenei Italiani.
(Fonte: ANDUC www.anduc.135.it 18-10-2011)
 
Occupati dopo tre anni dalla laurea. L’esempio dei chimici PDF Stampa E-mail
Dopo il minimo del 2000, quando in tutta Italia gli immatricolati in Scienze chimiche erano poco più di mille, adesso siamo sopra quota 3 mila. Ma perché oggi un ragazzo dovrebbe scegliere questa strada? Orientagiovani ha più di una risposta. E per farsi un’idea basta scorrere i dati del dossier preparato insieme con Assolombarda e Federchimica. Qualche esempio. Il 90% dei chimici trova lavoro entro tre anni dalla laurea. E non è un lavoro qualsiasi ma adatto ai propri studi, mentre per Scienze politiche si scende al 46%. Il precariato è ancora una rarità, visto che il 95% degli addetti ha un contatto a tempo indeterminato: E questo perché — spiega Cesare Puccioni, presidente di Federchimica— le «persone che lavorano nel nostro settore non sono intercambiabili, occorrono professionalità specifiche con un livello più elevato della media». «La chimica— dice Gianfelice Rocca, vice presidente di Confindustria per l’education — è uno dei più grandi settori industriali a livello mondiale e costituisce una base irrinunciabile per lo sviluppo economico del nostro Paese». Senza la chimica, in sostanza, è molto difficile che l’Italia possa tornare a crescere. La preparazione dei nostri ragazzi è solo di poco inferiore a quella dei loro colleghi stranieri: nei test internazionali sulle materie scientifiche raggiunge la sufficienza il 79,4% degli italiani contro l’80% della media Ocse. «Dobbiamo orientare meglio i giovani su percorsi di studio concretamente spendibili sul mercato del lavoro — dice ancora Rocca per Confindustria — e quindi indirizzare risorse verso gli istituti tecnici, le facoltà tecnico scientifiche». È in questa cornice più ampia che si punta sulla chimica.
(Fonte: D. Ferri, YOUniversal 10-10-2011)

 
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