Ricerca. Investire sui giovani ricercatori |
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Investire sui giovani Ricercatori conviene perché nei primi anni di carriera un ricercatore produce i migliori risultati, quelli che definiranno la sua strada futura. Per questo i Governi delle più importanti economie mondiali vedono nella Ricerca uno strumento di ripresa economica e lo supportano attraverso continui investimenti economici e tecnologici, anche in momenti di grave crisi. In Italia purtroppo non è così: la continua “fuga di cervelli” dai nostri Enti di Ricerca ne è un’ottima testimonianza. La professione del giovane Ricercatore in Italia è caratterizzata, oltre che da una scarsa retribuzione (almeno il 30% in meno rispetto ai colleghi europei), da una ridottissima disponibilità di fondi di ricerca, da un continuo aumento dei carichi didattici e da pessime possibilità di carriera a causa del blocco del turn over che, nella migliore delle ipotesi, prevedono il raggiungimento della posizione di Professore (e del rispettivo trattamento economico) solo dopo 10/15 anni. Tutto questo senza contare che spesso l’ingresso nel mondo della Ricerca avviene dopo un lungo periodo di precariato scarsamente retribuito. (Fonte: http://giovaniricercatoriuniversitari.wordpress.com/ 14-09-2011) |
Ricerca. Assurdo dedurne la qualità dalla quantità di fondi |
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Premesso che la valutazione della ricerca scientifica di un docente universitario è una vexata quaestio in quanto inevitabilmente basata su criteri altamente opinabili, va però sottolineato come il criterio (definito correttamente dal professor Tullio Gregory «aziendalista e manageriale» sul Corriere del 10 settembre) di attrarre finanziamenti per la propria ricerca, applicato a un docente ai fini della sua valutazione accademica, sia fuorviante e improprio, anche se va molto di moda. Un docente non deve essere un self-made industriale della cultura. Reperire fondi è del tutto diverso da fare ricerca. È assurdo dedurre dalla quantità di fondi la qualità della ricerca. In base ai meccanismi di valutazione dei progetti di ricerca presentati a enti nazionali e/o internazionali, accade molto spesso che i docenti valutati oggi diventino domani valutatori dei progetti presentati dai colleghi che li hanno precedentemente valutati, in quanto usualmente i progetti di ricerca sono oggidì così specializzati da essere sottoposti alla valutazione di una cerchia abbastanza ristretta di «esperti», fatalmente in un rapporto frequentemente amicale tra loro. In conclusione, non si possono applicare in Italia acriticamente alcuni criteri di valutazione della ricerca usati essenzialmente nei Paesi di lingua anglosassone, i quali — piaccia o dispiaccia — hanno università totalmente diverse dalle nostre. (Fonte: G. Scalabrino, Corsera 19-09-2011) |
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In applicazione a quanto previsto dal D.M. n. 51/Ric. del 19 marzo 2010 (Bando PRIN 2009) relativamente alla ripartizione delle risorse destinate a finanziare progetti di ricerca universitaria di rilevante interesse nazionale, si ricorda che è disponibile in rete, all'indirizzo http://prin.miur.it, la lista dei progetti di ricerca ammessi a cofinanziamento del Bando PRIN 2009. (Fonte. MIUR 14-09-2011) |
Ricerca. L’aumento delle imprese spin off |
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Sono ormai più di 800 le imprese italiane "derivate" da progetti di ricerca nati fra le aule delle università e dei centri pubblici di ricerca della penisola. Ict, elettronica, automazione industriale. Ma anche scienze della vita, nanotecnologie, energia e ambiente. Popolate spesso da un mix di docenti, studenti, dottorandi e ricercatori, le imprese spin off della ricerca pubblica generano un giro d'affari annuo che si aggira attorno ai 600 milioni di euro dando lavoro a quasi 8mila professionisti fra scienziati, tecnici e ingegneri. Una geografia complessa e articolata, che racconta di un'Italia impegnata nello sviluppo dei settori industriali perno per la crescita futura. «Un fenomeno, quello degli spin-off italiani, piuttosto recente - spiega Chiara Balderi, borsista post-dottorato della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa - Gran parte delle 802 imprese che abbiamo censito sono nate dal 2000, finendo per strutturarsi essenzialmente come microimprese, più frequentemente di servizi, partecipate in genere da persone fisiche e con una ridotta presenza di partner industriali e finanziari nel capitale sociale». Il che si traduce in una media di dieci addetti per impresa per un fatturato annuo medio di 700mila euro. Emilia Romagna, Lombardia e Toscana sono le regioni dove si concentra il maggior numero di spin off. (Fonte: M. Del Barba, Il Sole 24 Ore 14-09-2011) La ricerca sugli spin-off in Italia: http://www.enea.it/it/enea_informa/documenti/RapportoSpinoff.pdf |
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