Home 2011 5 Settembre
5 settembre
Un software scova copioni PDF Stampa E-mail
Copioni, avete le ore contate. La vostra disfatta parte da Venezia, Università Cà Foscari. Comodo ciondolare in internet e fare copia-incolla, vero? Senza neanche rielaborare qua e là, né controllare la punteggiatura, né rileggere, vero? Gran belle tesi di laurea le vostre, vero? Ce li immaginiamo i vostri sorrisini furbetti da chi la sa lunga. E scruta noi, quelli che seguirono religiosamente il sacro testo di Umberto Eco, "Come si fa una tesi di laurea" (che ammoniva: i titoli dei libri sottolineati, ossia in corsivo, ma questo format non lo prevede e quindi siamo costretti a ricorrere alle virgolette alte, quelle dei periodici... ci scusi, maestro), consultando archivi, compilando schede su schede, affastellando autori e titoli, ricopiando tutto a macchina... Il Grande Vendicatore si chiama compilatio.net ed è un software che ha già radiografato 25 testi scovando due copioni, uno all'80 e l'altro addirittura al 90 per cento. Studenti sospesi, com'è giusto. Ma siamo appena all'inizio. Vi piace un testo? Citatelo tra virgolette, commentatelo, discutetelo. Ma il copia-incolla pigro e ottuso no!
(Fonte: U. Folena, Avvenire 17-08-2011)
 
La Guardia di Finanza per i furbetti delle tasse alla Federico II PDF Stampa E-mail
La retta è modesta. Si parte da un minimo di 450 e si arriva a 1.200 euro. E’ questa la quota d’iscrizione alla Federico II di Napoli. Eppure anche all'università si annidano gli evasori fiscali anche quando si devono pagare cifre contenute. Il prestigioso ateneo ha cercato di correre ai ripari siglando un accordo con la Guardia di Finanza proprio per verificare le dichiarazioni Isee presentati dagli studenti al momento dell'iscrizione. Non è giusto - spiega il pro-rettore Gaetano Manfredi - che i poveri finanzino l'università di cui godono i ricchi». La richiesta di aiuto al finanzieri svela le difficoltà dell'ateneo. Su 100 mila iscritti la metà, in base alle dichiarazioni, rientra nelle prime cinque fasce e sono quelle che partono da un minimo di 450 euro e che arrivano a circa 550 euro. Possibile che chi è iscritto abbia un reddito basso, genitori monoreddito, senza la casa di proprietà? I controlli hanno riguardato mille studenti e i risultati arriveranno a breve. E l'anno prossimo si raddoppia e i controlli a campione riguarderanno- auspica Manfredi - almeno 2.000 persone. L'obiettivo - aggiunge il pro-rettore non è solo quello di stanare chi elude con dichiarazioni false le tasse ma con quanto si riesce a recuperare saremo nelle condizioni di aumentare le borse di studio e di aiutare effettivamente gli studenti più bisognosi».
(Fonte: E. Romanazzi, Il Mattino 26-08-2011)
 
L’università secondo il Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore PDF Stampa E-mail

Il compito dell’università è ritrovare la sua vocazione originaria, contenuta in quella parola - universitas - che la modernità ha frantumato in una specializzazione estrema di saperi così spesso privi, oggi, di un’ispirazione autenticamente umana. Cita l’Ex Corde Ecclesiae di Giovanni Paolo II, Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, per dire che non si può separare il sapere dal bene. E la dimensione religiosa dell’uomo - il senso religioso - indica la strada. Senso religioso e università: professor Ornaghi, non è un accostamento strano?

L’accostamento non è strano, anzi, è fruttuoso per la crescita stessa dell’università, in un momento non facile né per l’università né per la conoscenza in generale. Il titolo fa l’ipotesi che la radice dell’università stia «dentro» l’uomo: senso religioso vorrebbe dire che la sua coscienza è rapporto con la verità, con l’infinito. La radice è la parte nascosta, ma è anche la più importante, perché se le radici sono buone, poi l’albero è rigoglioso. Suggerisce anche che solo questa apertura della ragione possa legittimare l’«impresa» del sapere, cioè l’università. Ritrovare oggi questa radice significa dare alle università nuovo respiro ma anche riportarle alla loro vocazione originaria. L’università come forma di conoscenza chiamata a essere universitas. L’etimo ci porta all’opposto dell’iper-specializzazione così frequente ai giorni nostri. In questo senso le università di oggi, quelle che sono chiamate «università di tendenza», quindi anche le università cattoliche, dispongono di un plusvalore autentico, che - come disse Giovanni Paolo II nella Ex Corde Ecclesiae - è «la continua indagine della verità mediante la ricerca, la conservazione e la comunicazione del sapere per il bene della società».

Secondo lei oggi l’università è in crisi?

È un fatto che le nuove sfide pongono l’università di fronte a problemi non solo organizzativi, ma riguardanti il loro stesso significato come istituzioni culturali. Il vero compito al quale un’università non può sottrarsi è quello di tenere più stretto possibile il nesso tra la parte formativa e la parte della ricerca. Sotto questo profilo la radice umana dell’università, quella che nel titolo dell’incontro è il senso religioso, è la sola che può dare vera unitarietà - per recuperare un termine antico, ma ancora valido -, e di conseguenza organicità ai nessi reciproci delle diverse forme di sapere.

Ma da che cosa dipende secondo lei la crisi di questa istituzione?

Più che di crisi parlerei di travaglio, che come tale contiene la possibilità di nuovi sviluppi in senso positivo e non solo l’eventualità negativa di un tracollo. Esso dipende da moltissimi fattori, esterni e interni. Le università dell’occidente nascono quando si forma il sistema politico culturale dell’Europa medioevale e poi moderna. Il travaglio di oggi viene dal fatto che siamo alle prese con un nuovo sistema politico e culturale che non è più soltanto quello dell’Europa che conosciamo. In questo quadro, stiamo scontando le onde ultime di quel lungo processo di frammentazione del sapere cui ha condotto la stessa università moderna. Il suo principio è che il massimo di specializzazione e di autonomia della conoscenza è ciò che rende la conoscenza più alta.

Che cosa si deve fare?

Si tratta adesso non di ricostruire un’artificiosa unità del sapere, ma di trovare ciò che davvero «lega» in profondità le diverse forme di conoscenza. Oggi la radice va cercata nell’antropologia: nell’unità della persona che studia e ricerca la verità delle cose, nel suo «senso religioso» appunto.

Lei è rettore di una università cattolica. Il pregiudizio scientista sulla neutralità della conoscenza e la sua incompatibilità con la fede, ieri così forte, oggi è caduto.

Se vuole dire che la vita è divenuta più facile, non sono del tutto d'accordo. È vero che di quel pregiudizio ottocentesco rimangono soltanto alcuni scampoli, però attenzione, perché c’è una derivazione diretta di quella concezione che è tuttora presente in ciò che chiamiamo sbrigativamente relativismo ma che potremmo meglio chiamare politeismo dei valori, e il suo pericolo non è inferiore a quello dell’antico pregiudizio verso un orientamento cattolico incompatibile per definizione con il sapere scientifico. Per esso l’identità cattolica è un valore come un altro, che nulla aggiunge né toglie...

Quali risposte deve elaborare un’istituzione che voglia definirsi «cattolica»?

Tornerei alla parola «vocazione». Essere chiamati vuol dire cercare di guardare il futuro sulla base della propria storia. Le risposte concrete vanno elaborate sulla base di questo presupposto fondamentale. Vocazione è far vedere che la storia che portiamo, il modo in cui guardiamo il futuro è più importante della produzione di nuove forme di conoscenza che non sono portatrici di affermazioni forti, positive, sulla persona e il bene comune.

Lei attribuisce alla sua università una particolare «missione civile» in relazione alla storia italiana?

Semplificando, direi che la missione civile è quella di anticipare i tempi, capire che cosa il domani richiede rispetto al presente. Agostino Gemelli ha giocato a suo tempo su due fronti principali: quello di una cultura che non fosse succube delle altre forme culturali - nel caso, di quel pregiudizio che si diceva; e quello della costruzione di una classe dirigente pensata con lo sguardo rivolto a un domani prevedibilmente diverso rispetto al presente. Si può lavorare per un generico e astratto bene comune senza che questo chieda un prezzo nella sfera della coerenza ideale ai propri valori?

Dunque un’università non deve fornire solo conoscenze ma anche una virtù?

Se non lo facesse, verrebbe meno alla sua finalità educativa. Come dicevo, le «università di tendenza» sono quelle più simili ai prototipi di università. Se il momento educativo diventasse secondario saremmo dentro ad altre forme di professionalizzazione.

Si parla di modello universitario europeo, britannico, americano, asiatico... Che cosa pensa quando legge le classifiche delle «migliori università» del mondo?

Naturalmente le guardo tutte, le comparo, senza perdere di vista i criteri classificatori. Credo che siano uno strumento forse utile per migliorare, ma non vanno certamente prese in modo unilaterale. Occorre grande prudenza... Possiamo ispirarci a un modello, ma occorre farlo dentro una visione culturale. È questa che dà forma al modello «reale» che costruiamo giorno per giorno. Invece di un modello dato cui sarebbe bello approssimarci, preferisco quello contenuto nel nostro patrimonio storico e ideale, cioè nella nostra tradizione.

Lei ha avuto modo di incontrare diverse generazioni di studenti. La frammentarietà del sapere e, per riprendere il suo termine, il politeismo dei valori come hanno cambiato le ultime generazioni?

Hanno reso più difficile cogliere tutto ciò che la ragione in qualche modo segna come elemento fondamentale di unitarietà nel vivere quotidiano. L’attitudine al consumo, a vivere nell’istante, al pensiero effimero ha reso a tutti più difficile distinguere ciò che conta, ciò che dura, da ciò che passa. Questo mi pare uno dei primi compiti che devono darsi oggi gli educatori.

Non si è mai smesso di parlare di riforme. Qual è la riforma che serve di più oggi all’università?

Le vere riforme sembrano sempre impossibili, ma con Albert Hirschman sono convinto che «in ogni condizione c’è sempre una riforma possibile». La riforma di cui ci sarebbe più bisogno? Per un rettore, la possibilità di scegliere i docenti ritenuti più idonei ad essere maestri ed educatori dei giovani.
(Fonte: F. Ferraù, intervista a L. Ornaghi, il sussidiario.net 22-08-2011)
 
Benedetto XVI parla ai docenti universitari PDF Stampa E-mail

Il discorso pronunciato il 19 agosto in Spagna da Benedetto XVI nella basilica di San Lorenzo di El Escorial durante l'incontro con i giovani docenti delle università spagnole e di altre nazioni.
“Nell'essere insieme con voi, mi tornano alla mente i miei primi passi come professore all'università di Bonn. Quando si vedevano ancora le ferite della guerra ed erano molte le carenze materiali, tutto era superato dall'entusiasmo di un'attività appassionante, dal contatto con colleghi delle diverse discipline e dal desiderio di dare risposta alle inquietudini ultime e fondamentali degli alunni. Questa «universitas», che ho vissuto, di professori e discepoli che assieme cercano la verità in tutti i saperi, o, come avrebbe detto Alfonso X il saggio, tale «riunione di maestri e discepoli con volontà e obiettivo di apprendere i saperi» (Siete partidas, partida II, tit. XXXI), rende chiaro il significato e anche la definizione dell'Università. Nel motto di questa Giornata mondiale della gioventù «Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede» (Co12,7), potrete trovare anche luce per comprendere meglio il vostro essere e la vostra missione. In questo senso, e come ho già scritto nel Messaggio ai giovani in preparazione a questigiorni, i termini «radicati, fondati e saldi» indirizzano a fondamenti solidi per la vita (cfr n. 2).
Tuttavia, dove troveranno i giovani tali punti di riferimento in una società sgretolata e instabile? Talvolta si ritiene che la missione di un professore universitario sia oggi esclusivamente quella di formare dei professionisti competenti ed efficaci che possano soddisfare la domanda del mercato in ogni momento preciso. Si afferma pure che l'unica cosa che si deve privilegiare nella congiuntura presente sia la pura capacità tecnica. Certamente, oggi si estende questa visione utilitaristica dell'educazione, anche di quella universitaria, diffusa specialmente a partire da ambiti extrauniversitari. Tuttavia, voi che avete vissuto come me l'università, e che la vivete ora come docenti, sentite senza dubbio il desiderio di qualcosa di più elevato che corrisponda a tutte le dimensioni che costituiscono l'uomo. Sappiamo che quando la sola utilità e il pragmatismo immediato si ergono a criterio principale, le perdite possono essere drammatiche: dagli abusi di una scienza senza limiti, ben oltre se stessa, fino al totalitarismo politico che si ravviva facilmente quando si elimina qualsiasi riferimento superiore al semplice calcolo di potere. Al contrario, l'idea genuina di università è precisamente quello che ci preserva da tale visione riduzionista e distorta dell'umano. In realtà, l'università è stata ed è tuttora chiamata a essere sempre la casa dove si cerca la verità propria della persona umana. Per tale ragione non a caso fu la Chiesa ad aver promosso l'istituzione universitaria, proprio perché la fede cristiana ci parla di Cristo come del Logos mediante il quale tutto è stato fatto (cfr Gv 1,3), e dell'essere umano creato a immagine e somiglianza di Dio. Questa buona novella scopre una razionalità in tutto il creato e guarda all'uomo come a una creatura che partecipa e può giungere a riconoscere tale razionalità. L'università incarna, pertanto, un ideale che non deve snaturarsi, né a causa d’ideologie chiuse al dialogo razionale, né per servilismi a una logica utilitaristica di semplice mercato, che vede l'uomo come semplice consumatore. Ecco la vostra missione importante e vitale. Siete voi che avete l'onore e la responsabilità di trasmettere questo ideale universitario: un ideale che avete ricevuto dai vostri predecessori, molti dei quali umili seguaci del Vangelo e che, in quanto tali, si sono convertiti in giganti dello spirito. Dobbiamo sentirci loro continuatori in una storia ben distinta dalla loro, ma nella quale le questioni essenziali dell'essere umano continuano a reclamare la nostra attenzione e ci spingono ad andare avanti. Con loro ci sentiamo uniti a quella catena di uomini e donne che si sono impegnati a proporre e a far stimare la fede davanti all'intelligenza degli uomini. E il modo di farlo non consiste solo nell'insegnarlo, ma ancor più nel viverlo, incarnarlo, come anche lo stesso Logos s’incarnò per porre la sua dimora fra di noi. In tal senso i giovani hanno bisogno di autentici maestri; persone aperte alla verità totale nei differenti rami del sapere, sapendo ascoltare e vivendo al proprio interno tale dialogo interdisciplinare; persone convinte, soprattutto, della capacità umana di avanzare nel cammino verso la verità. La gioventù è tempo privilegiato per la ricerca e l'incontro con la verità. Come già disse Platone: «Cerca la verità mentre sei giovane, perché se non lo farai, poi ti scapperà dalle mani» (Parmenide, 135d). Questa alta aspirazione è la più preziosa che potete trasmettere in modo personale e vitale ai vostri studenti, e non semplicemente alcune tecniche strumentali e anonime, o alcuni freddi dati, usati solo in modo funzionale. Perciò v’incoraggio caldamente a non perdere mai questa sensibilità e quest’anelito per la verità; a non dimenticare che l'insegnamento non è un'arida comunicazione di contenuti, bensì una formazione dei giovani che dovrete comprendere e ricercare; in essi quali dovete suscitare questa sete di verità che hanno nel profondo e quest’ansia di superarsi. Siate per loro stimolo e forza. Per tale motivo, è doveroso tenere a mente, in primo luogo, che il cammino verso la verità piena impegna anche l'intero essere umano: è un cammino dell'intelligenza e dell'amore, della ragione e della fede. Non possiamo avanzare nella conoscenza di qualcosa se non ci muove l'amore, e neppure possiamo amare qualcosa nella quale non vediamo razionalità, dato che «Non c'è l'intelligenza e poi l'amore: ci sono l'amore ricco d’intelligenza e l'intelligenza piena di amore» (Caritas in veritate, 30). Se verità e bene sono uniti, così lo sono anche conoscenza e amore. Da questa unità deriva la coerenza di vita e di pensiero, l'esemplarità che si esige da ogni buon educatore. In secondo luogo, occorre considerare che la stessa verità è sempre più alta dei nostri traguardi. Possiamo cercarla e avvicinarci a essa, però non possiamo possederla totalmente, o meglio è essa che ci possiede e che ci motiva. Nell'opera intellettuale e docente, perciò, l'umiltà è una virtù indispensabile, che ci protegge dalla vanità che chiude l'accesso alla verità. Non dobbiamo attirare gli studenti a noi stessi, bensì indirizzarli verso quella verità che tutti cerchiamo. In tale compito vi aiuterà il Signore, che vi chiede di essere semplici ed efficaci come il sale, come la lampada che fa luce senza fare rumore (cfr Mt 5,13-15). Tutto ciò ci invita a volgere sempre lo sguardo a Cristo, nel cui volto risplende la verità che ci illumina, ma che è anche la via che ci conduce alla pienezza duratura, poiché è il Viandante che è al nostro fianco e ci sostiene con il suo amore. Radicati in Lui, sarete buone guide per i nostri giovani. Grazie”.
(Fonte: Avvenire 20-08-2011)

 
Gerontocrazia da blocco del turnover PDF Stampa E-mail
L'Ateneo di Padova conta 2.214 insegnanti: 592 ordinari, 705 associati, 909 ricercatori e 8 assistenti. L'età media dei ricercatori è 44,9 anni, quella degli associati 54 anni, per gli ordinari 60,5. Non si può certo dire, insomma, largo ai giovani. Ma la gerontocrazia accademica, abbinata alle nuove norme della legge Gelmini, sta finendo col creare grossi problemi nella copertura dei corsi di laurea per gli insegnamenti che scatteranno dal prossimo autunno. «Il nodo centrale è che i docenti collocati in pensione dopo i 70 anni di fatto noi non possiamo rimpiazzarli - spiega il preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Michele Cortelazzo - Allo stato attuale mancano i regolamenti attuativi, che dovrebbero arrivare dal Ministero, per pubblicare i bandi dei concorsi attraverso i quali coprire gli insegnamenti senza docenti. Nella mia Facoltà è già stato annullato un decreto del rettore con il quale avevamo dato parere favorevole al prolungamento dell'incarico di una docente perché non c'era la copertura amministrativa ministeriale».  A questo punto il passo successivo è quello di assumere i pensionati «accademici» con contratti di collaborazione esterna. Selezioni che avvengono tramite bando pubblico firmato dai presidi e sull'esito delle quali pesa in maniera determinante l'esperienza universitaria che i professori da poco andati a riposo possono mettere in campo rispetto al valore di un giovane promettente.
(Fonte: M. Bernardini, Il Mattino Padova 25-08-2011)
 
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