Home 2011 12 Agosto
12 Agosto
Un identikit qualitativo di partenza dei futuri universitari PDF Stampa E-mail

Il 2° Rapporto sulla qualità nella scuola, indagine recentemente promossa e presentata da "Tuttoscuola", grazie ai 96 indicatori che misurano analiticamente per l'anno scolastico 2009/10 le aree di eccellenza e di criticità del sistema di istruzione, provincia per provincia, offre validi elementi per ipotizzare un identikit qualitativo di partenza dei futuri universitari.

Nell'anno scolastico che sta terminando, sette maturi su dieci hanno optato in media per l'immatricolazione universitaria: più numerose le studentesse rispetto alla componente maschile. Sono diminuiti in valori assoluti (294.845 unità) rispetto agli immatricolati pari a 323.930 unità, registrati nell'a.a. 2005/06. Più convinta e massiccia è stata la propensione al proseguimento degli studi da parte dei liceali, provenienti dallo scientifico (36,8%) e dal classico (14,6%), che da soli hanno oltrepassato la soglia del 50% del totale degli immatricolati.

Sul piano quantitativo, nell'anno scolastico 2009/10 ha conseguito il diploma il 97% dei maturandi iscritti ai licei, il 90% di quelli degli istituti tecnici e l'86% dei professionali e istituti d'arte. Nell'Esame di Stato 2010 poco più del 10% dei neo-diplomati ha conseguito la maturità con il minimo dei voti (60/100) e soltanto il 6,6% (un diplomato su quindici) ha conseguito il massimo della votazione e spesso anche la lode. Piuttosto significativa e destinata a influire sulla composizione dei futuri immatricolati per scuola secondaria di provenienza, la percentuale in flessione dei diplomati nei licei (-1%), nei tecnici (oltre 5%) e nei professionali e artistici (-9%).
(Fonte: M.L. Marino, rivistauniversitas 26-07-2011)
 
L’OCSE raccomanda di sopprimere le bocciature ma bocciare fa bene al merito PDF Stampa E-mail
L’Ocse raccomanda di sopprimere le bocciature a scuola. Con quali argomenti? Il più inconsistente è quello economico, e cioè che le bocciature inciderebbero del 10% sul bilancio educativo. Con questo criterio tanto varrebbe tornare a qualche secolo fa: chi ha i mezzi paga un precettore, gli altri si arrangiano come possono. L’istruzione moderna è un investimento e non un lusso. Tuttavia, l’Ocse sostiene che il sistema delle bocciature è inefficace, produce perdita di fiducia, isolamento, ingresso ritardato nel lavoro e che la qualità dell’istruzione è migliore nei Paesi in cui non si boccia, secondo le sue stime; circa le quali vi sarebbe molto da dire, visto che i modelli da imitare sono la disastrata scuola inglese e quella finlandese i cui «successi» come mostrano numerose analisi sono molto discutibili. Il nodo a cui l’Ocse non da risposta è: quali strumenti restano per premiare il merito? In Italia, la soppressione degli esami di riparazione autunnali non ha conseguito l’effetto di eliminare le «ripetizioni» private, che sono diventate ora un immenso giro d’affari da far impallidire quello artigianale di un tempo. In cambio, ha tolto alla scuola uno dei principali incentivi allo studio diligente. Il mantra già diffuso, «chi me lo fa fare di studiare, visto che tutti vengono promossi?», diventerà il primo comandamento dello studente. Se non si chiarisce quali incentivi e penalizzazioni efficaci introdurre in cambio, vuol dire soltanto che si mira a una scuola in cui il merito non vale niente. Con tutto il rispetto per l’Ocse, ci sembra che l’eliminazione della scuola meritocratica, un modello che ha garantito straordinari successi culturali e scientifici all’occidente, imitati in tutto il mondo, è una scelta troppo importante perché sia delegata ai cosiddetti «esperti». È in gioco qualcosa che coinvolge il futuro delle nostre società e che non può essere deciso con l’esibizione di statistiche e al livello di organismi tecnocratici. La vicenda in oggetto può apparire minore, ma in realtà è solo l’ultimo gradino di un declino delle strutture europee dell’istruzione che sembra inarrestabile, consegnato com’è a organismi e gruppi che si mostrano totalmente insensibili, se non sordamente ostili, alle denunce e critiche di tanti insegnanti, uomini di cultura e tanta parte dell’opinione pubblica.
(Fonte: G. Israel, Il Messaggero 27-07-2011)
 
I “furbetti” delle borse di studio PDF Stampa E-mail
Gli atenei italiani in tempi di ristrettezza economica non vogliono più regalare fondi ai "furbetti" delle borse di studio. I controlli sono possibili sin dal 2000 - da quando l’agenzia delle entrate ha consentito alle università l'accesso ai propri archivi, ma si sono intensificati dopo i tagli del ministro Gelmini. Spinti a una gestione più oculata dei fondi, si sono fatti furbi e hanno deciso di investigare. Le richieste di aiuto allo studio ogni anno sono quasi mezzo milione - circa uno studente su quattro ne fa domanda - ma per mancanza dei requisiti o di soldi le borse erogate sono molte meno: 154mila per l'anno accademico 2009/2010. E non sempre vanno ad aiutare gli studenti più bisognosi. Fregare la concorrenza è abbastanza semplice: basta truccare l'Isee, cioè l'indicatore dello stato economico delle famiglie. Anche perché spesso per chiedere il finanziamento è sufficiente un'autocertificazione. L'ultima battaglia è quella ingaggiata dall'università di Genova e raccontata dal Secolo XIX: grazie a un accordo tra l'Agenzia ligure per i servizi scolastici e l'Agenzia delle entrate, sono state verificate a campione 101 attestazioni degli ultimi due anni. Ben 42 sono risultate false: nella metà dei casi si trattava di certificazioni clamorosamente false, mentre l'altro 50 per cento erano state "aggiustate" tralasciando qualche entrata minore per rientrare nella fascia di reddito più favorevole. Alcuni padri "operai" in realtà erano possessori di fuoriserie e di ville. Le borse ora saranno revocate e sarà chiesta la restituzione delle somme già erogate, mentre per i "furbetti" è già pronta una segnalazione alla Procura. Anche i dati dell'Ateneo toscano sono sorprendenti: su 109 autocertificazioni ispezionate, ben 50 sono irregolari. Non diversa la situazione alla Bicocca di Milano: durante i controlli del mese di aprile, nell'università milanese sono emersi 26 sforamenti. Si attesta al 10 per cento la quota di truffe anche a Parma secondo le analisi sul biennio 2007-2009 (278 anomalie su 2.692 controlli), mentre a Frosinone sfiora il 15 per cento. Chissà cosa accadrà quando i controlli diverranno sistematici. Forse si arriverà a un'altra maxi indagine come quella che ha coinvolto l'università di Napoli nel 2005. Cinque anni di attestazioni indagate, 600 studenti beccati e risarcimenti fino a 8.000 euro ciascuno. Qualcuno aveva dichiarato di aver preso casa in affitto senza mai portare una bolletta, altri avevano imbrogliato sugli esami e i più furbi avevano addirittura falsato l'anno di iscrizione sulle domande per risultare ancora in corso nonostante una lunga militanza accademica.
(Fonte: F. Perugini, Libero 29-07-2011)
 
Abolire il valore legale della laurea PDF Stampa E-mail
Un'Università è prestigiosa o scadente in funzione del livello di preparazione assicurato e dunque dei suoi docenti. Le caratteristiche della progressione in carriera nelle Università italiane sono state oggetto, da sempre, di molte critiche. Il che significa che la qualità dei docenti non è garantita. Ma la laurea ha lo stesso valore per tutti, che abbiano studiato con il prof. Eccelso o con il prof. Modesto. Il numero delle Università cresce costantemente, in funzione dell'incremento del numero degli studenti. L'Italia è sempre più un popolo di laureati. Questo significa un incremento della spesa pubblica. È ovvio che non sia possibile sostenerlo all'infinito. Il valore legale della laurea non garantisce uguaglianza nell'accesso al mondo del lavoro. Tutti i laureati possono partecipare ai concorsi pubblici; così come avverrebbe in un sistema che non richiedesse la laurea come titolo di legittimazione a parteciparvi; il successo dipende, in entrambi i casi, dalla preparazione dei candidati, non dal titolo formale. E l'impresa privata opera, di fatto, una distinzione tra le lauree conseguite nelle Università più prestigiose e le altre, infischiandosene solennemente del valore legale della laurea. In pratica non vi è differenza tra un sistema e l'altro. La "privatizzazione" dell'Università comporta una gerarchia tra i titoli di studio: il laureato di Yale o Harvard (per fare l'esempio classico) sarà ricercato dal mercato con preferenza su quello di Poggio fiorito di Sotto. Il che penalizza i laureati di Poggio fiorito, magari ingiustamente. È vero, però, che anche questi possono dimostrare la loro preparazione in colloqui o esami preliminari, cui tuttavia può non essergli garantito l'accesso. Sotto questo profilo, l'abolizione del valore legale della laurea desta perplessità. Frequentare un'Università privata costa tanti soldi; tanto più alto è il livello, tanto più costa. Il che automaticamente esclude la maggior parte degli studenti. Il che è un male, naturalmente. Ma va anche considerato che la corsa alla laurea non è un bene: abbassa il livello qualitativo dei laureati, incrementa a dismisura la concorrenza, diminuisce il livello delle retribuzioni e delle prestazioni professionali. E poi bisogna tener conto del fatto che, nei paesi che adottano questo sistema, esistono una serie di misure studiate per facilitare l'accesso agli studenti meno abbienti: borse di studio, prestiti dello Stato da rimborsare quando si comincia a lavorare. Conclusione: la proposta non è da buttar via. Certo, occorre prevedere un sistema che garantisca l'istruzione universitaria anche ai non ricchi (se meritevoli).
(Fonte: B. Tinti, FQ 29-07-2011)
 
Interpellanza al Ministro Gelmini sulla partecipazione ad un concorso per giovani ricercatori di un funzionario pubblico cinquantaseienne PDF Stampa E-mail

Gli interpellanti (Mario Pepe (Misto-R-A), Garagnani, De Luca, Iapicca, Taddei, Scapagnini, Razzi, Franzoso, Brugger) chiedono al ministro:

se non ritenga di valutare se sussistano i presupposti per intervenire nel procedimento evidenziando la manifesta illogicità della partecipazione a un concorso per giovani ricercatori di un funzionario pubblico cinquantaseienne, rispetto ai principi generali della legge 30 dicembre 2010, n. 240;

se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per modificare quanto prima la disposizione che non pone limiti di età alla partecipazione ai concorsi per giovani ricercatori universitari.
(2-01172)
 
« InizioPrec.12345678910Succ.Fine »

Pagina 10 di 13