Le proposte dell’ANVUR per il sorteggio delle commissioni per l’abilitazione nazionale |
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La legge 240/10 prevede un doppio passaggio per divenire professore ordinario o associato – il conseguimento di un’abilitazione nazionale (art. 16) a numero aperto e una chiamata locale (art. 18). Prevede anche che il ministero indichi in apposito decreto i requisiti minimi per l’abilitazione (art. 16 comma 3). Infine, prevede che i membri della commissione siano sorteggiati in un elenco di professori ordinari che i) facciano richiesta e ii) siano valutati positivamente dall’ANVUR (art. 6 comma 7). Ora l’ANVUR ha pubblicato le sue proposte. Per poter partecipare al sorteggio dei commissari per le nuove abilitazioni nazionali, un professore ordinario deve aver pubblicato, negli ultimi dieci anni, più della mediana dei suoi colleghi di settore concorsuale. Quindi almeno il 50% degli ordinari diventerebbero “zombie accademici”. Analogamente, per essere ammesso al concorso, un candidato dovrebbe aver pubblicato più della mediana della fascia a cui concorre, con un aggiustamento per l’anzianità accademica. Un aspirante ordinario dovrebbe aver pubblicato più della mediana degli ordinari in servizio, un aspirante associato più della mediana degli associati. Come si calcolano le pubblicazioni? L’ANVUR suggerisce, almeno in prima approssimazione, criteri diversi per i settori 1-9, che comprendono le discipline scientifiche e medicina e gli altri (10-14). Questi ultimi comprendono Lettere, Legge e le cosiddette scienze sociali. Economia, statistica ed econometria sono però considerate scientifiche. Per le discipline scientifiche si adotta come criterio principale il numero di pubblicazioni su riviste ISI (o Scopus), e come criteri accessori il numero di citazioni e l’h-index. In pratica, il CINECA (il braccio informatico del ministero) dovrebbe prima contare tutti gli articoli che i professori ordinari avranno aggiunto alla loro lista personale e calcolare la mediana, elencare i professori che la superano e poi controllare che essi superino anche la mediana di uno degli altri due criteri di riferimento (h-index o numero di citazioni), presumibilmente usando un programma standard come Publish or Perish. Per i settori umanistici il solo criterio è il numero di pubblicazioni, ponderato per la tipologia (libri, articoli etc.). L’ANVUR afferma esplicitamente che questi criteri sono validi solo per le prossime abilitazioni, e auspica di potersi basare in futuro su liste di riviste e case editrici di qualità. (Fonte: G. Federico, noiseFromAmerika 07-07-2011)
Due commenti.
1) Quante probabilità ci sono che il regolamento sia approvato senza modifiche? Per completezza di informazione si dovrebbe dire che il parere dell'ANVUR è solo uno dei 3 (tre) pareri sul merito, richiesti peraltro da un Regolamento (quello sull'abilitazione) che non solo deve ancora entrare in vigore, ma è ancora ben lungi dall'esserlo. Gli altri 2 pareri sono quelli del CUN (introduzione, specifiche dei criteri) e del CEPR (che non ha manco un sito istituzionale, in questo Paese in via di sottosviluppo). Quindi la probabilità attualmente è un terzo; meglio sarebbe dire che in questo pasticcio di pareri e parametri numerologici la voce finale ce l'avrà ancora il Consiglio di Stato, perché il decreto da preparare (da parte del Ministero) dovrà avere natura regolamentare, e quindi essere sottoposto anche a quello scrutinio. (Renzino l'Europeo, 07-07-2011)
2) La soluzione ovvia e semplice sarebbe stata di dire che "uno non entra dove ha fatto il dottorato/assegno". Una sana "non-imbreeding rule" basata su pratiche standard. Purtroppo va contro la mentalità corporativa, localista e familistica degli italiani. Sarebbe stata una norma semplice ed efficace, a costo zero, nessuno avrebbe potuto dirsi danneggiato. (marcoxa, 09-07-2011) |
I criteri per valutare le pubblicazioni nei concorsi per l’abilitazione nazionale |
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(A proposito dei) criteri di valutazione per i candidati ai concorsi universitari (per l’abilitazione nazionale) emanati di recente dalla neo istituita Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR). In particolare dove si stabilisce quale peso dare alle pubblicazioni dei candidati. Ebbene, d'ora in poi, ha stabilito l'ANVUR, una monografia pubblicata presso quello che viene definito «un editore internazionale» avrà un peso 3, un articolo pubblicato su «una rivista internazionale» 1,5, mentre una monografia pubblicata presso quello che viene definito «un editore nazionale» avrà solo un peso 1,2, e infine un peso di appena 0,5 un articolo su una rivista italiana (ma l'aggettivo italiano è sempre pudicamente omesso; viene sempre scritto «nazionale»: chissà perché). Dal che sembra inevitabile trarre le seguenti conseguenze: a) che ai fini di un concorso per insegnare in un'università della Repubblica un libro di 500 pagine pubblicato, mettiamo, da Einaudi o dal Mulino vale meno di venti pagine pubblicate su una rivista americana, spagnola o tedesca che sia; b) che per definizione gli editori e le riviste «nazionali», cioè italiane, non possiedono né possono in alcun caso possedere un carattere «internazionale»: questo appartenendo solo a ciò che si pubblica in lingue diverse dalla nostra; c) che tutti gli studiosi nati nella Penisola sono invitati a cessare d'ora in poi dall'usare l'italiano nei loro scritti e dall'avere come referenti culturali iniziative editoriali di qualunque tipo che adoperino la lingua italiana; in sostanza la cosa più ragionevole che possono fare è di diventare inglesi.
Va subito precisato che naturalmente l'ANVUR agisce in piena autonomia dal ministero dell'Università e della Ricerca (e la sua delibera la dice lunga su che cosa pensi del proprio Paese e della sua identità una parte degli intellettuali italiani: che lo vedrebbero volentieri diventare una regione del Canada). Ma che il ministro Gelmini non abbia trovato opportuno esprimere al riguardo la propria libera opinione è singolare e significativo (e queste righe sono un invito a farlo). (Fonte: E. Galli Della Loggia, Corsera 17-07-2011) |
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Modernizzazione e innovazione nella PA: il CDS (consiglio di stato) boccia la pec (posta elettronica certificata) |
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È notizia di pochi giorni fa il parere negativo del Consiglio di Stato sull’utilizzo di mezzi telematici per la presentazione delle prossime domande per l’abilitazione a professore universitario. La disputa riguarda i concorsi che dovrebbero partire in autunno. Si tratta di un'operazione monstre: almeno 25mila candidati (ricercatori, professori associati e studiosi di varia specializzazione attualmente impiegati extra-ateneo) che devono essere selezionati da 180 commissioni composte da 900 giudicanti. Una “gara” che serve a rientrare semplicemente negli elenchi dell'abilitazione nazionale, quelli rispetto ai quali le università italiane potranno attingere per poi “chiamare” docenti ordinari e associati di tutte le materie. Davanti ad un esercito del genere in marcia sull’Università, il MiUR – il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – si era convinto a puntare sulla Pec, la posta elettronica certificata, nella prospettiva di rendere più semplice la trafila ai candidati, e più snella la selezione a chi ne era preposto. In questo modo, le “domande, corredate da titoli e pubblicazioni scientifiche” andavano “presentate per via telematica”, e così sarebbe bastata una mail certificata con tanto di pdf in allegato per assolvere la richiesta. Ma per il Consiglio di Stato il problema si è, invece, rivelato insormontabile perché, paradossalmente, “la trasmissione informatica può diventare troppo onerosa e richiedere tempi di confezionamento e lettura più lunghi”, anche perché risulterebbe “troppo difficile leggere le mail con allegati”. Poche parole a epitaffio di un lodevolissimo tentativo di modernizzazione e innovazione delle metodologie in atto nella Pubblica Amministrazione, con la conseguenza che ora tutti i candidati dovranno spendere soldi inutili (e nemmeno pochi) per riempire di carta le commissioni pre-esaminatrici (solo le pubblicazioni che dovranno essere considerate valide sono dodici, e in cinque copie, tanti sono i componenti di ogni collegio) e intasare le Poste di plichi che poi andranno ad accumularsi al MiUR per essere passati al vaglio. (Fonte: T. Marelli, Corsivo 05-07-2011) |
Gli incentivi fiscali previsti per il rientro dei laureati in Italia |
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Sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del 10 giugno 2011 n. 133 i decreti attuativi della legge sul rientro dei lavoratori in Italia mediante incentivi fiscali, approvata dal Parlamento alla fine del 2010 (Legge n. 238 del 30 dicembre 2010). Il primo decreto, che porta la data del 30 marzo 2011 ed è firmato dal ministro degli Affari esteri di concerto con il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali e con il ministro dell'Economia e della Finanze, definisce le funzioni e i ruoli dei soggetti coinvolti nella procedura di rientro in Italia, ovvero delle autorità consolari. Queste hanno il compito di emettere la dichiarazione di valore del diploma di laurea o del titolo di specializzazione post lauream conseguiti all'estero, uno degli strumenti Europass più importanti che descrive brevemente e fornisce informazioni sul titolo di studio conferito alla persona e sul suo valore. Altro compito previsto dal decreto è la vidimazione della documentazione attestante l'attività di lavoro o di impresa svolta all'estero. Il secondo decreto, datato 3 giugno 2011, è firmato dal solo ministro dell'Economia e delle finanze e individua la categoria dei soggetti che possono essere beneficiari degli incentivi fiscali previsti nella legge n. 238. I benefici si applicano ai cittadini dell'Ue nati dopo il 1° gennaio 1969 che lavorano in Italia e vi trasferiscono domicilio o residenza e che, alla data del 20 gennaio 2009, sono in possesso di un titolo di laurea, hanno risieduto continuativamente per 24 mesi in Italia e che nei due anni precedenti hanno risieduto fuori dal proprio paese d'origine o dall'Italia svolgendovi attività d'impresa o di lavoro (autonomo o dipendente) oppure per motivi di studio. (Fonte: D. Gentilozzi, rivistauniversitas 20-07-2011) |
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