Home 2011 27 Giugno
27 Giugno
Sedici milioni a sostegno degli Spin-Off PDF Stampa E-mail

Più che un vero e proprio bando, è una misura "a sportello", dunque sempre aperta: chi ha un progetto lo presenta al ministero in qualsiasi momento, il dossier viene esaminato e – se supera la valutazione – finanziato, senza bisogno di entrare in una graduatoria. È lo strumento di sostegno agli spin-off previsto dal decreto ministeriale del Miur numero 593/2000 che, attuando quanto previsto dal decreto legislativo 297/1999, dal 2001 a oggi ha finanziato la creazione di 90 neoimprese, con 37,2 milioni di investimenti diretti da parte del Miur e altri 33,8 a carico dei privati. Da allora la misura formalmente non si è mai chiusa, ma nelle settimane scorse il Miur ha deciso di stanziare altri 16 milioni, di fatto confermando questo strumento come uno dei più importanti per il trasferimento tecnologico in Italia.

Soprattutto per chi opera in contesti pubblici, visto che i soggetti autorizzati a presentare la propria idea d'impresa sono professori e ricercatori universitari, personale dipendente di enti di ricerca, dottorandi e titolari di assegni di ricerca. È a loro che tocca firmare la richiesta che va consegnata al Miur insieme a un business plan quinquennale in cui va tracciato il percorso di sviluppo dell'impresa, dalle attività di ricerca a quelle sperimentali, fino al debutto sul mercato.

Accanto agli aspiranti imprenditori, possono presentarsi le stesse università o enti di ricerca di provenienza, ma anche imprese, banche o fondi d’investimento, perché l'idea è proprio quella di riunire, da subito, tutte le competenze necessarie a garantire uno sviluppo virtuoso all'impresa. Anzi, proprio la presenza di più partner è uno degli elementi che può contribuire positivamente alla valutazione del dossier, dal momento che «tra gli obiettivi della misura c'è proprio quello di radunare ricercatori, finanziatori e imprenditori intorno a un'idea scientifica applicata», evidenzia Fabio Filocamo, responsabile per la ricerca industriale del Miur, sottolineando che il traguardo resta comunque «un prodotto, processo o servizio industrializzabile e commerciabile dall'impresa di nuova costituzione». In pratica, il mercato.

L'esperienza di questi primi dieci anni dimostra che lo strumento di per sé funziona, ma ha potenzialità ancora in parte da scoprire: il fondo perduto, la possibilità di finanziare fino a 500mila euro per intervento, l'erogazione del 50% del contributo in anticipo e senza la richiesta di garanzie da parte dei proponenti, fanno di questo strumento uno dei più agili tra quelli a disposizione, e come avvenuto nell'ultimo anno si riusciranno a contenere i tempi di istruttoria. Per quanto riguarda i fondi erogati, in cima alla classifica c'è la Lombardia (20,2 milioni di investimenti attivati, di cui la metà a carico del Miur), seguita da Lazio (10,4 milioni), Toscana (6,1), Emilia Romagna (5,5) e Campania (4,4).

Per quanto riguarda i settori, il decreto non fa preferenze: sono ammessi tutti gli ambiti, purché abbiano lo scopo di utilizzare i risultati della ricerca applicata ai fini dell'innovazione del sistema produttivo.

Nel corso della sua valutazione, la commissione si concentra non solo sui contenuti tecnico-scientifici del progetto, ma anche (e soprattutto) sui piani di sviluppo e finanziari, nonché potenzialità imprenditoriali e possibili ricadute economico-occupazionali. I contributi sono erogati da risorse del Far, il Fondo per le agevolazioni alla ricerca, e prevedono maggiorazioni per le piccole e medie imprese.
(Fonte: M. Ferrando. Il Sole 24 Ore 19-06-2011)
 
L’offerta formativa della Sapienza di Roma PDF Stampa E-mail
La più grande università italiana batte ogni record non solo di iscritti ma anche di corsi di laurea loro offerti. Alla Sapienza di Roma, oltre 120mila studenti e undici facoltà, nonostante la riduzione degli insegnamenti voluta dalla riforma del sistema universitario, sono oltre 350 le lauree triennali e specialistiche che saranno attivate nel prossimo anno accademico. La lista ufficiale, fanno sapere da piazzale Aldo Moro, sarà pronta solamente quest'oggi, dopo che il Rettore avrà approvato l'offerta formativa per l'anno 2011-2012, ma il numero di insegnamenti non si discosterà da quello dell'anno appena trascorso: 291 corsi tra lauree di primo e di secondo livello, cui vanno a sommarsi i master e le scuole di specializzazione. Una didattica smisurata che necessita di un'opera di razionalizzazione per migliorare le proprie performance e la qualità dei propri laureati: e proprio in questo senso sta andando l'azione del Rettore Luigi Frati. A scorrere l'elenco degli insegnamenti si scopre infatti che sono numerosi i corsi interfacoltà e multidisciplinari, che offrono un migliore utilizzo delle risorse e soprattutto una preparazione globale agli iscritti. Attenzione rivolta non solo alla "contaminazione" delle discipline ma anche e sempre di più all'estero: sono infatti decine i corsi (dalla facoltà di Architettura a quella di Medicina, da Lingue a Farmacia, da Sociologia fino a Economia) che consentono agli studenti di completare la propria formazione in un Paese straniero, e di ottenere il titolo di dottore non solo alla Sapienza ma anche nell'università estera.
(Fonte: Il Sole 24 Ore 15-.06-2011)
 
L’offerta formativa dei politecnici PDF Stampa E-mail

Se le lauree in discipline tecnico-scientifiche sono quelle che consentono ai giovani di trovare un'occupazione già all'indomani del conseguimento del titolo, quelle ottenute al Politecnico di Milano e a quello di Torino sono passaporti certi per una brillante carriera. E anche per il prossimo anno accademico, gli studenti che vorranno acquisire in questi due atenei competenze in Ingegneria, Architettura o Design, non avranno che l'imbarazzo della scelta: nel complesso, solo a Milano sono 77 i corsi di laurea triennale e specialistica attivati per il 2011-2012 mentre nel capoluogo piemontese sono 56. Un'offerta formativa di ampio respiro (che permette anche in questo caso l'apprendimento in lingua inglese in numerose discipline e il conseguimento del doppio titolo di laurea) rimasta sostanzialmente invariata rispetto all'anno accademico appena trascorso ma che sempre più punta sull'innovazione e sull'eccellenza: nuove collaborazioni con atenei di mezzo mondo, possibilità di stage in aziende leader nel panorama nazionale, incontri e lezioni con i maggiori esperti mondiali, un'attenzione all'estero sempre crescente.

Tra le innovazioni la possibilità per ingegneri, architetti e designer di articolare il proprio percorso tra Italia ed estero due nuovi corsi di laurea magistrale totalmente in inglese dedicati a quanti vogliano specializzarsi in ingegneria spaziale e delle telecomunicazioni. Ma le lezioni in Master of Science in Space Engineering e in Science in Telecommunication Engineering non saranno le uniche a essere tenute in una lingua straniera: tra i poli di Milano-Bovisa, Milano-Leonardo e le sedi di Como, Lecco, Piacenza e Mantova, l'ateneo meneghino offrirà ai propri iscritti un ampio bouquet di corsi dedicati a quanti vogliano studiare in Italia con un occhio rivolto oltre-confine. Ecco allora, solo a titolo di esempio, per la Scuola di Architettura e Società i corsi di Urban Planning, Architecture e Policy Design, per la Scuola di Design le lezioni di Product Service System Design, per quella in Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale la specialistica in Civil Engineering for Risk Mitigation e in Environmental and Geomatic Engineering, per quella in Ingegneria dell'Informazione i corsi in Telecommunication Engineering, Electronic Engineering e Automation Engineering. Ma l'offerta è ancora lunga e sul sito delle singole facoltà è possibile consultare l'intero programma dei corsi che partiranno in autunno.

E lunga è anche quella del Politecnico di Torino che per il prossimo anno offrirà ai propri studenti 56 corsi di laurea tra triennale e specialistica con numerose possibilità di completare gli studi all'estero. A scorrere la lista delle discipline, si scoprono le occasioni di conseguire il titolo di dottore in Ingegneria della Produzione Industriale non solo sotto la Mole ma anche in Irlanda, Spagna e Francia grazie al Duble Degree, quello in Mechanical Engineering in Cina, in Architettura Costruzione Città in vari atenei dell'America Latina (Cile, Argentina, Messico, Brasile), quello in Ingegneria aerospaziale nel Regno Unito o in Ingegneria Chimica in Svezia. Ma la doppia laurea in Italia e all'estero non è l'unica occasione che i giovani talenti che vogliano diventare architetti, ingegneri o designer possono cogliere grazie al Politecnico torinese: «Tutte le lezioni del primo anno e buona parte di quelle del secondo e del terzo - spiegano dall'università - sono disponibili anche in inglese». Come dire: chi si voglia costruire un futuro con una forte propensione all'internazionalità, dovrà pensarci già al momento dell'iscrizione e della scelta del percorso di studi. In inglese, naturalmente.
(Fonte: Il Sole 24 Ore 15-06-2011)
 
La formazione orientata all'estero PDF Stampa E-mail

Internazionalizzazione, possibilità del conseguimento del doppio titolo di laurea in Italia e all'estero, interdisciplinarietà. Ruota intorno a questi tre cardini l'offerta di formazione che gli atenei italiani, dalla Lombardia alla Sicilia, hanno predisposto per l'anno accademico 2011-2012. L'anno si aprirà tirando le prime somme delle novità introdotte dalla Riforma Gelmini (blocco dei corsi, trasformazione delle facoltà in scuole, controllo sulle risorse finanziarie) e che hanno obbligato gli atenei non solo a rivedere la propria organizzazione e gli statuti ma anche a riformulare l'offerta didattica dedicata agli studenti. Che secondo le stime sono in aumento un po' ovunque (solo a Bologna i nuovi iscritti sono cresciuti del 5 per cento rispetto al 2010) e cui il mercato del lavoro chiede competenze sempre più specializzate, capacità di risoluzione dei problemi in un'ottica multidisciplinare, conoscenza delle lingue e delle realtà straniere. Ecco quindi lo sforzo degli atenei, sia in termini di risorse finanziarie sia professionali, per offrire ai propri iscritti un orizzonte formativo e lavorativo internazionale. «Il ministero dell'Università e della ricerca ci ha chiesto di tagliare i corsi e risparmiare - sottolineano i responsabili della didattica di tutti gli atenei commentando lo scenario che si trovano di fronte - ma nonostante ciò cerchiamo di garantire a tutti gli studenti la possibilità di costruire un percorso formativo il più possibile specialistico e attento a chi ci sta intorno».

Così se a Venezia, la prima università italiana insieme con il Politecnico di Milano ad aver trasformato le facoltà in scuole e dipartimenti, si sperimentano inedite ibridazioni tra corsi che fondono competenze e insegnamenti tra molto distanti (come la chimica e la conservazione dei beni culturali, ad esempio), a Milano sia la Bocconi sia la Bicocca hanno attivato collaborazioni con atenei stranieri in grado di garantire agli studenti la possibilità di una formazione globale e l'opportunità di conseguire il doppio titolo di laurea specialistica. E il double degree è infatti uno degli strumenti che anche Bologna, Firenze e Roma hanno deciso di mettere a disposizione dei propri iscritti: accordi sia con università del Vecchio Continente (in primis Francia, Spagna, Gran Bretagna e Germania) sia con quelle dei Paesi emergenti. Come nel caso del Politecnico di Torino, che per i corsi di laurea in Architettura, Ingegneria Meccanica e Aerospaziale ha stipulato intese con atenei in Brasile, Cina e India che consentiranno ai giovani italiani di studiare per un anno nelle strutture ospitanti, o come alla Bocconi, che ha in attivo sedici convenzioni. «Quelle che più ci interessano in questo momento -spiega Fulvio Ortu, prorettore con delega all'internazionalizzazione - sono quelle nei cosiddetti Paesi Bric, e che vedono un sempre crescente interesse da parte degli studenti».

Ma la formazione orientata all'estero è fatta anche di altro: e così, considerato che la riforma non consente l'attivazione di corsi ex novo, le università si sono attrezzate per migliorare quelli esistenti, in primo luogo trasformando i percorsi di studio tradizionali in corsi in lingua inglese. Alla Sapienza ad esempio lo è il quaranta per cento delle lauree magistrali, diciannove sono invece quelli attivati al Politecnico di Milano, mentre a Torino tutte le lezioni del primo anno e gran parte di quelle del secondo e del terzo sono tenute anche in lingua inglese oltre che in italiano.
(Fonte: G. Bassi, Il Sole 24 Ore 15-06-2011)
 
Aumenta l’internazionalizzazione delle facoltà PDF Stampa E-mail

Le università italiane vanno all'estero per cercare nuove matricole. A settembre, per la prima volta, i test d'ingresso per la facoltà di Medicina si dovrebbero tenere anche a Londra. Una prova in inglese che servirà ad iscriversi ai corsi di laurea, sempre in inglese, offerti dalla Statale di Milano, dalla Sapienza di Roma e da Pavia. L'insegnamento in lingua straniera nelle facoltà di Medicina (ma anche di Scienze ed Economia) non è una novità. Sono diversi i corsi dove tutte le materie e tutti gli esami sono fatti in lingua. Ma finora, dove c'era il numero chiuso come per Medicina, la prova d'accesso era fatta in italiano. Un paradosso. Quante possibilità poteva avere uno studente inglese, olandese, o arabo di rispondere meglio di un ragazzo di Milano o di Roma a quelle 80 domande scritte in italiano e pensate per chi ha studiato nelle nostre scuole, capitoli dei Promessi sposi compresi? Pochissime, e, infatti, quella scelta bizzarra ha tagliato fuori proprio gli stranieri. A settembre il paradosso sarà eliminato.

A parte il test in trasferta a Londra, le prove in inglese saranno fatte anche in Italia per la Sapienza di Roma, con 30 posti disponibili, la Statale di Milano (50) e Pavia, l'università più piccola che però, partita prima degli altri, si prende la fetta più grande con 110 posti. Numeri che, naturalmente, si aggiungono a quelli disponibili per i normali corsi in italiano. «In questo modo puntiamo a internazionalizzare le nostre università» dice il ministro Mariastella Gelmini. E questo è un problema antico: negli atenei italiani gli studenti stranieri sono soltanto l'1,9% del totale. Sotto la media Ocse (3,4%) e quattro volte meno di Paesi come Francia e Germania che pescheranno all'estero anche per la loro storia coloniale ma sono pur sempre i vicini con cui fare i conti.

Pavia, Milano e Roma dunque: perché queste tre università hanno scelto la strada dell'inglese integrale? «Se gli atenei italiani pagano un prezzo nelle classifiche internazionali — dice il rettore di Pavia — è anche perché attiriamo pochi studenti da fuori. E invece così si aiuta la ricerca e diventa più facile trovare un lavoro». Non è un caso se dalla sua università molti neolaureati partono per l'Inghilterra e la Svezia dove lavorano subito in ospedale. «Il sistema — prevede il rettore della Statale di Milano — potrebbe essere esteso anche ad altre facoltà. Non possiamo certo competere con gli Stati Uniti, dove gli stranieri sono il 20%, ma dobbiamo fare di più». Una linea condivisa dalla Sapienza di Roma, dove però il rettore Luigi Frati ha qualche dubbio sul futuro: «Aprire agli stranieri è fondamentale ma con i tagli ai finanziamenti già fatichiamo a coprire le cattedre dei corsi normali. Non sarà mica semplice tenere pure i corsi in inglese».

I test in inglese non saranno la semplice traduzione di quelli in italiano. Saranno diversi, con domande tagliate su un percorso scolastico «neutro». Milano e Pavia potrebbero farli insieme, con sede unica a Milano. Resta da decidere se fissarli nello stesso giorno di quelli in italiano oppure no. E non è un dettaglio tecnico. Alcuni pensano che, scegliendo due date diverse, il corso in inglese potrebbe diventare non un'opportunità per gli stranieri ma un ripiego per gli italiani bocciati ai test per le facoltà «normali». Non la pensa così il professor Gianluca Vago, coordinatore del corso di Medicina in inglese alla Statale di Milano: «Per un ragazzo italiano è una strada più difficile, chi la sceglie deve essere motivato. E poi aspetterei, siamo ancora ai primi passi».

1,9 la percentuale di studenti stranieri che viene a compiere gli studi universitari in Italia. La media Ocse è del 3,4 per cento. Gli stranieri che studiano nel Regno Unito sono invece I'11,6%; 8,6% quelli che hanno scelto la Germania; 8,2 la percentuale di stranieri che studiano in Francia. 20,4 la percentuale (fra gli stranieri che studiano in Italia) che ha scelto la facoltà di Medicina. Il 20,4 ha optato invece per Scienze umanistiche e il 31,8 per Scienze sociali o Giurisprudenza. 8 le università italiane che, secondo un rapporto Crui sull'offerta formativa 2007 (ultimo disponibile sull'argomento) offrono corsi di laurea in inglese; 12 quelle che offrono lauree specialistiche, 22 dottorati, 31 master e 20 summer/whinter school.
(Fonte: Corsera 13-06-2011)
 
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