Home 2011 8 Maggio
8 Maggio
Il nuovo bonus ricerca PDF Stampa E-mail

Una dote iniziale certa di 100 milioni (recuperati con il bonus previsto dalla legge di stabilità) ed eventuali risorse aggiuntive ottenute con un taglio lineare delle spese rimodulabili (esclusi Ffo, 5 per mille e risorse per la conservazione e la manutenzione dei beni culturali). È questa la struttura definitiva del nuovo bonus ricerca delineato dal decreto sviluppo. La sperimentazione riguarderà le attività avviate quest'anno e il prossimo, e si tradurrà in un credito d'imposta da erogare in tre rate annuali, dall’avvio dei nuovi progetti. Il bonus non sarà generalizzato, ma per favorire un aumento delle attività di ricerca si aprirà solo ai soggetti che incrementano il loro sforzo negli investimenti rispetto al passato. In pratica, il confronto sarà effettuato con la media di investimenti realizzati dai candidati al bonus tra il 2008 e il 2010. Il 90% della quota che eccederà la media di quel triennio, si tradurrà nel bonus, che sarà erogato sotto forma di credito d'imposta in tre anni a partire dall'anno di debutto dei nuovi progetti. Le procedure per l'esame degli investimenti e l'accesso al bonus saranno definite con un provvedimento ad hoc del direttore dell'agenzia delle Entrate.

La nuova spinta agli investimenti supera, con una dote da 100 milioni, il mini-bonus che era stato introdotto dalla legge di stabilità (articolo i, comma 25, della legge 220/2010), che è quindi subito messo in soffitta. Il meccanismo introdotto, invece, non cancella la deducibilità integrale degli investimenti delle imprese in progetti di ricerca, che continuano di conseguenza ad alleggerire l'imponibile fiscale secondo le vecchie regole.

I partner che permettono di accedere allo "sconto" fiscale non sono solo le università. Oltre agli atenei, statali e non statali, e gli istituti universitari legalmente riconosciuti, a far scattare il credito d'imposta possono essere anche i progetti degli enti di ricerca "ufficiali" e quelli sviluppati dagli organismi riconosciuti dall'Unione europea.
(Fonte: G. Trovati, Il Sole 24 Ore 06-05-2011)
 
Credito d’imposta per la ricerca scientifica PDF Stampa E-mail

Il decreto legge recante «Prime disposizioni urgenti per l'economia» è stato esaminato il 5 maggio dal Consiglio dei Ministri. Il testo potrebbe subire modifiche in sede di coordinamento. Segue il testo dell’art. 1 (Credito di imposta per la ricerca scientifica):

1. È istituito, sperimentalmente per gli anni 2011 e 2012, un credito di imposta a favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca, in università ovvero enti pubblici di ricerca. Università ovvero enti pubblici di ricerca possono sviluppare i progetti così finanziati anche in associazione, in consorzio, in joint venture eccetera con altre qualificate strutture di ricerca, anche private, di equivalente livello scientifico. Altre strutture finanziabili via credito di imposta possono essere individuate con decreto del ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il ministro dell'Economia e delle finanze.

2. Il credito di imposta compete in tre quote annuali a decorrere da ciascuno degli anni 2011 e 2012 per l'importo percentuale che eccede la media degli investimenti in ricerca effettuati nel triennio 2008-2010. Resta fermo che l'importo degli investimenti in progetti di ricerca di cui al comma i è integralmente deducibile dall'imponibile delle imprese.

3. Operativamente:

a) per università ed enti pubblici di ricerca si intendono:

O le università, statali e non statali, e gli istituti universitari, statali e non statali, legalmente riconosciuti;

2) gli enti pubblici di ricerca di cui all'articolo 6 del Contratto collettivo quadro per la definizione dei comparti di contrattazione per il quadriennio 2006-2009, nonché l’ASI, l’agenzia spaziale italiana;

3) gli organismi di ricerca così come definiti dalla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore di ricerca,

sviluppo e innovazione, n. 2006/C 323/01, lettera d), del paragrafo 2.2;

b) il credito di imposta:

i) spetta per gli investimenti realizzati a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2010 e fino alla chiusura del periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2012;

2) compete nella misura del 90 per cento della spesa incrementale di investimento se lo stesso è commissionato ai soggetti di cui alla lettera a);

3) deve essere indicato nella relativa dichiarazione dei redditi e non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile dell'imposta regionale sulle attività produttive;

4) non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del Testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni;

5) è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, con esclusione delle fattispecie di cui al comma 2, lettere e), O, g), h-ter) e h-quater) del medesimo articolo;

6) non è soggetto al limite annuale di cui all'articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

4. Le disposizioni applicative del presente articolo sono adottate con provvedimento del direttore dell'agenzia delle Entrate. Le disposizioni del presente articolo assorbono il credito di imposta per la ricerca e lo sviluppo di cui al comma 25 dell'articolo i della legge 13 dicembre 2010, n. 220, che è conseguentemente soppresso.

5. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n.196, il ministro dell'Economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui al presente articolo. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni, il ministro dell'Economia e delle finanze, con proprio decreto, provvede alla riduzione lineare, fino alla concorrenza dello scosta-mento finanziario riscontrato, delle dotazioni finanziarie, iscritte a legislazione vigente, nell'ambito delle spese rimodulabili di cui all'articolo 21, comma 5, lettera b), della citata legge n. 196 del 2009, delle missioni di spesa di ciascun Ministero. Dalle predette riduzioni sono esclusi il Fondo per il finanziamento ordinario delle università, nonché le risorse destinate alla ricerca e al finanziamento del cinque per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, nonché il fondo di cui alla legge 3o aprile 1985, n.163, e le risorse destinate alla manutenzione e alla conservazione dei beni culturali. Il ministro dell'Economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al precedente periodo.
 
I nuovi criteri per la costruzione degli alloggi universitari PDF Stampa E-mail
Con Decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 aprile scorso, sono stati individuati i nuovi criteri per la costruzione degli alloggi universitari. Nel decreto, si evidenzia come questi debbano essere costruiti, tenendo presente che bisogna favorire l'integrazione sociale e culturale degli studenti e sono state individuate le dimensioni minime e le caratteristiche, quali requisiti per intraprendere azioni di edilizia studentesca. Tra i criteri, sono previste norme a tutela dell'ambiente, sul quale le nuove costruzioni dovranno avere un impatto minimo, anche qualora non fosse previsto nei piani urbanistici delle città in cui esse avvengono. Si prevede anche che bisognerà attuare criteri, che consentano la riduzione al minimo dei consumi di acqua e di energia. Infine, viene disposto che tutti i criteri di cui sopra sono validi e dovranno essere rispettati, anche nel caso di ristrutturazione o di interventi straordinari di edifici già esistenti. Il tutto dovrà anche avvenire nell'ottica del riciclo e dell'utilizzo di materiali a basso impatto. Il ministero, poi, ha fornito linee, per la presentazione dei progetti e il loro finanziamento.
(07-05-2011 Fonte)
 
Blocco degli scatti. Domanda e risposta PDF Stampa E-mail

Domanda: Gent.mo prof. Pagliarini,

vorrei chiederle un parere circa il blocco degli scatti. Alcuni colleghi ritengono che tra le varie iniquità ci sia il fatto che alcuni perderebbero uno scatto (quello del 2012), mentre altri ne perderebbero  due (2011 e 2013, considerando ancora scatti biennali).

La mia interpretazione, pur ravvisando l'ingiustizia della norma, e' invece la seguente:

1) chi ha maturato lo scatto nel 2010, vedrà riconosciuto lo scatto  successivo nel 2015 (considerando che il triennio 2011-2013 non viene  conteggiato);

2) chi invece ha maturato lo scatto nel 2009, dovrà aspettare, per lo scatto successivo, il 2014.

Tenendo conto che gli scatti diventeranno triennali, in entrambi i casi si perde uno scatto.

Infatti:

senza il blocco                          con il blocco

1) 2010, 2012, 2015,...            2010, 2015, 2018,..

2) 2009, 2011, 2014,...            2009, 2014, 2017,...

Naturalmente ci sarebbe un'ulteriore disparità di trattamento se la classe retributiva maturata nel primo caso (2010) fosse superiore a quella maturata nel secondo (2009). In questa situazione nel triennio 2011-2013 il secondo perderebbe il differenziale di stipendio per 3 anni.

Le sarei grato se potesse chiarire questo aspetto, anche in vista di un eventuale ricorso al TAR.

Cordialmente, U. D.

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Risposta: Caro Collega,

quando è stata varata la legge 122/2010 sul blocco delle retribuzioni e degli scatti, non c'era la legge Gelmini e gli scatti erano biennali. Pertanto gli effetti iniqui rilevati all'epoca erano esatti. Chi maturava uno scatto nel 2010 ne perdeva uno nel triennio di blocco, chi lo maturava nel 2009 ne perdeva due. Con la legge Gelmini gli scatti sono stati trasformati da biennali a triennali per cui il precedente assunto non ha più valore e vale esattamente quello da lei formulato, in cui lo scatto perduto da tutti è unico e permane l'iniquità sul quantum dello scatto bloccato per un triennio. Queste e altre iniquità vanno precisate nei ricorsi al TAR soprattutto ai fini dell’incostituzionalità della norma, mentre per la non applicabilità del blocco degli scatti ai docenti l'argomento principe è che non sono più automatici. Ho già precisato che è difficile che passi la richiesta della non applicabilità del blocco degli scatti, automatici o no, a causa del combinato disposto del comma 21 e del comma 1 dell'art. 9 della 122/10, che impone il totale blocco delle retribuzioni nel triennio, congelate a quelle in godimento nel 2010. Comunque il ricorso si può fare e conviene farlo per entrambi i motivi. Sarà il legale a decidere quale dei due è in subordine. Permanendo ed essendosi aggravate le disastrose condizioni economico-finanziarie di bilancio e del debito pubblico, ormai al livello pericoloso del 120% del PIL, si rafforza il pericolo già da me segnalato, che una massiccia ondata di ricorsi porti il governo a varare una leggina con la quale elimina il requisito dell’automaticità degli scatti e riduca, per quanto possibile, gli elementi di incostituzionalità oggi presenti nella norma. Cordialmente. A. Pagliarini.
(Fonte)
 
Ottima ricerca nonostante il sottofinanziamento PDF Stampa E-mail
Nei ranking internazionali, il nostro Paese è al 118° posto per efficienza del lavoro, al 48° per competitività del sistema industriale, al 51° per information technology, al 49° posto per libertà di stampa, al 67° posto (dopo il Ruanda!) per trasparenza nella pubblica amministrazione, mentre i ricercatori universitari italiani si collocano – secondo differenti classifiche – in una posizione compresa tra l’8° e addirittura il 3° posto, risultati comunque eccezionalmente buoni, più che adeguati al nostro peso economico e demografico (siamo in settima posizione per PIL). Eppure, paradossalmente, sono proprio industriali, giornalisti e politici (di ogni parte) a vedere la pagliuzza nell’occhio dell’università prima delle travi nei loro occhi, predicando la “inderogabile urgenza” delle riforme in corso, insieme all’insostenibilità dell’attuale status quo. Anche per quanto riguarda la didattica, i risultati delle università italiane possono essere considerati più che soddisfacenti: secondo un recente studio dell’OCSE, nonostante la quota di spesa pubblica destinata in Italia all’istruzione sia la più bassa in assoluto tra tutti i paesi OCSE, e nonostante questa quota privilegi (relativamente) l’istruzione primaria e secondaria rispetto a quella universitaria, nel nostro Paese la probabilità di occupazione di un laureato nella fascia d’età 25-64 anni è di oltre l’80%, contro valori di meno del 75% e di poco più del 50% rispettivamente per i diplomati ed i non diplomati (analogamente a quanto avviene negli altri paesi più industrializzati, caratterizzati da ben più massicci investimenti in istruzione). Tutto ciò nonostante che i dati P.I.S.A. dimostrino che la qualità dei diplomati, cioè degli studenti in ingresso nel sistema universitario, sia in Italia nettamente inferiore ai valori medi degli altri paesi OCSE: l’università italiana, quindi, nonostante sia drammaticamente sotto finanziata, non solo fa ottima ricerca, ma trasforma dei (mediamente) mediocri diplomati in più che buoni laureati.
(Fonte: N. Costantino, Gazzetta del Mezzogiorno 29-04-2011)

 
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