Home 2011 28 Marzo
28 Marzo
La Commissione Statuto ha discusso la nuova articolazione interna dell’ateneo PDF Stampa E-mail
La prima riunione della Commissione Statuto si è tenuta martedì 8 marzo. Si è discusso soprattutto dell'articolazione interna dell'ateneo. Sul tavolo tre ipotesi, ancora aperte. La prima: solo dipartimenti e nessuna "scuola". Per quanto auspicabile sul piano della semplificazione, questa soluzione è parsa difficilmente praticabile in un grande e complesso ateneo come quello di Bologna. La seconda: da 5 a 7 "scuole". La terza: da 10 a 12 "scuole".  Si è discusso anche sul "peso" delle scuole: strutture di raccordo leggero e risorse tutte attribuite ai dipartimenti, o strutture comunque "pesanti"? Il rettore Dionigi si è detto convinto che «Le aggregazioni dipartimentali non possono essere solo operazioni logistiche, organizzative e dettate dal risparmio di risorse». E ha aggiunto: «Fuori dall'Università noto un certo malsano furore aziendalistico. Bisogna far coincidere i nuovi dipartimenti il più possibile ai corsi di laurea, perché si occuperanno anche della didattica. Bisogna rispettare alcune specificità e garantire i corsi. Dobbiamo adeguare il nuovo statuto alla realtà, non la realtà alla carta. Possiamo non fare un algoritmo unico ma adottare una geometria variabile». Dal 10 marzo la commissione per lo statuto avvierà un vasto giro di "audizioni". Quindici incontri con la commissione sono già stati prenotati. Tutti i soggetti della comunità universitaria saranno ascoltati. Poi si terranno assemblee nei dipartimenti e nelle facoltà.
(Fonte: bologna.repubblica.it 09-03-2011)
 
Quale assetto organizzativo per le università? Le lezioni dell’analisi comparata su un campione di otto università di quattro paesi europei PDF Stampa E-mail
Nell’incontro “Quale assetto organizzativo per le università italiane?”, organizzato all’Università di Catania, a fornire gli spunti principali del dibattito è stato il rapporto di ricerca Unires–Fondazione Crui “Tra didattica e ricerca: quale assetto organizzativo per le Università italiane? Le lezioni dell’analisi comparata” realizzato da Gilberto Capano e Marino Regini. Lo studio, condotto su un campione di otto università di quattro paesi europei, è nato dalla volontà di approfondire in quale maniera questi atenei hanno organizzato ricerca e didattica. Il prof. Regini ha illustrato i risultati della ricerca condotta sulle università di Manchester e Leicester (Inghilterra), Amsterdam e Twente (Olanda), Monaco e Kassel (Germania) e Strasburgo e Aix-Marseille I (Francia). L’Inghilterra è caratterizzata da una grande libertà nelle decisioni di carattere organizzative, mentre in Olanda e Germania si ha un continuo rapporto tra legislazione statale e autonomia delle istituzioni universitarie. In Olanda si è assistito a un radicale processo di modernizzazione del mondo accademico; in Germania le innovazioni (meno radicali) si sono accompagnate al mantenimento di alcune dinamiche precedenti. Caso a parte è quello francese, che più di tutti i paesi europei ha subito i cambiamenti post-68 e ne subisce tuttora gli effetti. Marino Regini ha individuato quattro problematiche comuni, analizzando come le differenti istituzioni si comportano a riguardo. Sul tema della diversificazione e dell’integrazione delle responsabilità, «in Germania e Francia si assiste spesso a sovrapposizioni e confusione. In Inghilterra e Olanda c’è una netta diversificazione di ruoli e competenze e un’integrazione funzionale, mentre in Francia è in corso un intenso dibattito per realizzare degli aggiustamenti di tali dinamiche». Sul ruolo di “filtro” tra gli organi superiori e la base (formata da dipartimenti e facoltà), ad agire in maniera ottimale sono olandesi e inglesi, fondamentalmente «perché i dean hanno ruoli manageriali e sono nominati». In Germania e Francia non funziona altrettanto bene «poiché i presidi sono eletti con modalità simili a quelle che conosciamo e hanno la tendenza ad aggregare il consenso». Per quanto riguarda l’esatta dimensione dell’aggregazione delle strutture è difficile trovare una formula esatta che sia ottimale, mentre sul piano della distribuzione delle responsabilità la tendenza generale è per l’accentramento a discapito del decentramento. «In Olanda e Inghilterra c’è una managerializzazione delle cariche», ha spiegato il prof. Regini. «In Germania e Francia, pur avendo cambiato alcuni assetti, rimangono pratiche caratterizzate dalla persistenza del modello precedente. La domanda è legittima e ce la poniamo in molti: accadrà la stessa cosa in Italia?». Ma non è tutto rose e fiori aldilà dei confini italiani: «in Olanda e Inghilterra c’è difficoltà a trovare gestori che siano adatti al ruolo di manager e abbiano anche competenze accademiche. In Francia e Germania si mantiene opaca la catena di responsabilità, visto che permane l’elettività delle cariche intermedie». L’analisi del docente milanese è passata al dilemma principale che tutti gli atenei italiani stanno affrontando in questi mesi: «a chi affidare la gestione della didattica. Ai dipartimenti o alle strutture intermedie?». Se la scelta cadesse sui primi, avremmo «semplificazione e imputazione certa delle responsabilità, ma è un modello che non si è rivelato vincente». Una struttura intermedia potrebbe avere più successo per «la stessa natura multidisciplinare del mondo accademico». Ad ogni modo, secondo del prof. Regini «l’innovazione cruciale, su cui è necessario molto coraggio, è nella governance centrale degli atenei, non nell’affidamento delle funzioni a strutture periferiche».
(Fonte: http://www.step1.it/index.php?id=6931-call-me-responsable 28-03-2011)
 
Nell'Unione Europea l'Italia è al secondo posto per numero di pubblicazioni di Epidemiologia PDF Stampa E-mail
In base a dati che si riferiscono al 2007-2009 tra i 27 paesi della Unione Europea, l'Italia è al secondo posto per numero di pubblicazioni di epidemiologia, seconda solo alla Gran Bretagna. Inoltre, i ricercatori del nostro paese partecipano a oltre la metà dei progetti finanziati dall'Europa. Per la precisione, l'Italia è coinvolta nel 51,3% dei 374 studi finanziati tramite il 7° programma quadro dell'Unione Europea, disegnato allo scopo di potenziare i finanziamenti per la ricerca sanitaria: in 154 di essi partecipa almeno un ente di ricerca italiano e 38 sono coordinati da un'istituzione italiana. Mentre gli articoli pubblicati da ricercatori italiani rappresentano un ottavo della produzione europea che, nel complesso, è di poco inferiore a quella degli Stati Uniti con 50.063 articoli pubblicati contro 64.489. Anche se gli Stati Uniti presentano una crescita più rapida rispetto ai singoli Paesi europei «probabilmente perché investono di più nella ricerca scientifica» si legge nell'articolo.
(Fonte: C. Pulcinelli, L’Unità 28-03-2011)
 
Quanto costa studiare nei college privati americani? PDF Stampa E-mail

Secondo un articolo pubblicato da Forbes, l’università privata più costosa per l’anno scolastico 2010-2011 sarà il Sarah Lawrence College di Bronxville (NY), dove gli studenti tra tasse scolastiche, vitto e alloggio dovranno sborsare 57.556 $. Senza tenere conto di libri, spese varie e i quasi 1800 $ per l’assicurazione completa. Questo è il costo per un’università completa, che offre il meglio agli studenti, con seminari, incontri personali con i docenti e un basso rapporto tra studenti e docenti. In classifica poi troviamo il Bard College con 54.275 $ a NY Hudson Valley, il Trinity College con 53.380 $ nel Connecticut e il Maine Bates College con 53.300 $. Tra le università più famose compaiono la Columbia University di New York con 43.815 $, senza contare vitto, alloggio e alti prezzi della grande mela, mentre l’Università di Chicago, tutto compreso, può arrivare a 56.640 $.

Alti costi molto spesso significano alti debiti, ma non preoccupatevi vi sono le borse di studio, infatti molto spesso i prezzi elevati non corrispondono al vero esborso. Per esempio il College Harvey Mudd di Claremont (CA), che ha una retta di circa 53.600 $, concede all’80% degli studenti aiuti finanziari, più i premi per il merito. Mentre il Bard College concede prestiti a tassi simili alle università pubbliche. Comunque prezzi alti non significano alta qualità in ogni caso. Difatti secondo la top 25 dei migliori college americani, stilata da Forbes, a seconda della qualità della formazione, dell’esperienza vissuta dagli studenti e dell’affermazione post laurea, compaiono solamente 4 college tra i più costosi. Per la cronaca il migliore è il William College, che si trova nelle montagne del Berkshire, con un rapporto docenti-studenti di 7 a 1, e un costo di circa 37.640 $. (Fonte: D. Cogoni 07-10-2010 e ww.forbes.com)
 
Il mondo accademico inglese in fermento per le drastiche misure economiche annunciate dal governo PDF Stampa E-mail
Sally Hunt, segretario generale dello University and College Union – il sindacato del personale universitario –, sottolineando che le nuove misure faranno diventare gli atenei inglesi tra i più cari al mondo, ha detto: «È ora che i politici si rendano conto che l’istruzione è un investimento per il futuro di tutti noi e non una pietra che ci portiamo al collo». Le ha fatto eco Aaron Porter, presidente della National Union of Students, che ha aggiunto: «Non possiamo ammettere che le generazioni precedenti riversino il proprio debito su quelle future». Nonostante la ferma opposizione di studenti e accademici il progetto di riforma è stato approvato dal Parlamento ed è ormai una realtà. Ciò significa che le tasse potranno triplicare nuovamente, lievitando fino a 9.000 sterline (14.000 euro circa) l’anno. L’importo è senz’altro elevato, ma i sostenitori della riforma fanno notare che sarebbe più corretto parlare di “rimborso” anziché di “tassa”: gli studenti, spese vive a parte, non dovrebbero sostenere alcun esborso nell’immediato, potendo contare su un sistema di prestiti che prevede la restituzione del dovuto solo dopo che l’interessato si è laureato, ha iniziato a lavorare e ha raggiunto un reddito annuo superiore a 21.000 sterline. A quel punto i rimborsi sarebbero fissati sulla base del salario percepito e sarebbero sospesi in caso di disoccupazione o di riduzione del reddito al di sotto della soglia fissata. Nel caso di un laureato con un salario di 25.000 sterline, viene fatto notare, la rata mensile si aggirerebbe intorno alla modica cifra di 30 sterline. Inoltre dopo trent’anni il debito si estinguerebbe automaticamente a prescindere dai versamenti effettuati. Ma non sono solo gli studenti a protestare. Da mesi tutto il mondo accademico inglese è in fermento per le drastiche misure economiche annunciate dal governo e che, nel settore della formazione, vanno a colpire soprattutto le università, risparmiando almeno in parte la scuola primaria e l’istruzione secondaria. Che il quadro fosse critico si è capito all’inizio del 2010, quando il precedente governo Brown aveva annunciato un taglio di 449 milioni di sterline negli stanziamenti e del 5% nella pianta organica dei docenti e ciò nonostante si fosse in un anno accademico da record in cui le richieste di iscrizione – un terzo delle quali non accolte – avevano superato quota 570.000, con una crescita del 22,9% rispetto al 2009-2010. La University and College Union, denunciando la concreta possibilità di una riduzione degli standard qualitativi della formazione erogata, aveva stimato in 15.000 i posti di lavoro che sarebbero venuti a mancare, con i docenti più anziani e costosi rimpiazzati in larga parte da figure professionali meno onerose. Oggi la manovra è divenuta realtà e si articola in una serie di tagli che nel prossimo quadriennio ammonteranno a 81 miliardi di sterline. Il settore pubblico subirà una contrazione della spesa pari, in media, al 25% degli attuali budget, con una perdita di 750.000 posti di lavoro; l’IVA passerà dal 17,5 al 20% e vi saranno nuove tasse per 29 miliardi di sterline. Per l’università il budget dovrebbe passare dagli attuali 7,1 a 4,2 miliardi di sterline nel 2015: ciò vuol dire che gli stanziamenti caleranno del 40%, pur con una particolare protezione promessa per le discipline scientifiche e tecnologiche (-10%), il che, di converso, implica che lo Stato farà praticamente venire meno il proprio sostegno in ambito umanistico e letterario.
(Fonte: R. Cornacchini,  Rivistauniversitas n. 118, dic 2010)
 
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