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26 Febbraio
Una programmazione per compensare la diminuzione dei docenti PDF Stampa E-mail
Da una parte c'è un sistema universitario mediamente di buon livello, dall'altra circa 56 giovani su 100 s’iscrivono a corsi equivalenti alle lauree triennali nei Paesi Ocse, contro il 51% dell'Italia. Il presidente Luigi Biggeri, presidente del CNVSU, punta l'attenzione sugli aspetti "decisivi" per la tenuta nel contesto internazionale del sistema di Alta formazione, la cui qualità e' riconosciuta a livello mondiale. Il principale aspetto strategico riguarda l'avvio di una "reale razionalizzazione del numero dei docenti e dei corsi di studio". L'Università, ha osservato Biggeri, "ha operato sì una diminuzione dei corsi di studio e dei docenti negli ultimi anni, ma l'analisi d'insieme segnala che ciò è avvenuto in assenza di una reale e appropriata programmazione capace di tenere in considerazione il vero fabbisogno informativo e di ricerca". E ha spiegato: "Il disegno futuro, data l'urgenza, non potrà basarsi ancora una volta su compromessi tra 'gruppi interni' di potere all'università', bensì su un disegno strategico ad hoc". Per il presidente del CNVSU "la programmazione degli accessi e delle modalità di richiesta dei posti da mettere a concorso, in relazione alle effettive esigenze delle attività di formazione e ricerca che si modificano nel tempo, è irrinunciabile, pena il verificarsi di vere e proprie 'emorragie' di docenti, in determinate aree di studio". Ad esempio, come risulta dal rapporto, entro il 2015 usciranno dall'Universita' per limiti d'età circa il 32% dei professori ordinari delle aree delle Scienze Fisiche e di Ingegneria Civile e Architettura.
(AGI, Roma 26-01-2011)
 
Età di pensionamento dei professori e ricercatori universitari. Precisazioni e interpretazioni della normativa PDF Stampa E-mail

Il segretario nazionale dell’USPUR torna sul problema dell’età di pensionamento dei professori e ricercatori universitari, per fare una precisazione sull’interpretazione del comma 17 dell’articolo unico della legge Moratti (Legge 230 del 4 novembre 2005, in vigore dal 20 novembre 2005).

“La precisazione su come intendere detto comma in maniera più rispondente allo spirito della legge mi è pervenuta dal collega prof. Salvatore Raimondi. Il comma 17 dispone che “il limite massimo di età per il collocamento a riposo è determinato al termine dell'anno accademico nel quale si è compiuto il settantesimo anno di età, ivi compreso il biennio di cui all’art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503”. L’art. 16 appena richiamato dispone che è in facoltà dei dipendenti civili dello Stato di permanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti.

Dalla lettura delle disposizioni richiamate si deduce che l’inserimento nel comma 17 della frase “ivi compreso il biennio opzionale” si è reso necessario perché, in sua mancanza, i professori che avessero richiesto di utilizzare il biennio opzionale sarebbero andati in pensione a 72 anni (70 anni come limite di età per il collocamento a riposo, più il biennio opzionale). Si può pertanto affermare che la legge Moratti, con la normativa del comma 17, dispone che l’età di collocamento a riposo per i docenti universitari è di 70 anni: di conseguenza i professori che optano per il regime di cui al comma 17, in applicazione del comma 19 della stessa legge, andranno in pensione a 70 anni.

Quanto sopra è pienamente confermato dalla sentenza del TAR Campania SEZ. II (n. 915 del 15/02/2010) e da due sentenze del TAR Lombardia SEZ. I (n. 5295 del 2009 Reg. Sen. E n. 46/2010 Reg. Sen.). Dalla lettura della sentenza n. 5295/2009 si ricava che il nostro Ministero si era pronunciato negativamente (cioè limite massimo di 68 anni per l’età di pensionamento), con nota del 14/10/2008.

Si precisa che l’opzione di cui al comma 19 è esercitabile in qualunque momento. Si riporta, in allegato*, una sintesi della normativa su “Età di pensionamento dei professori e ricercatori universitari”, che sostituisce l’analogo documento inviatovi in data 15/01/2011. I professori che sono collocati in pensione a 68 anni pur avendo esercitato l’opzione di cui al già menzionato comma 19 potranno, ovviamente, presentare ricorso al TAR di competenza.”

*Allegato

Sintesi della normativa su Età di pensionamento dei professori e ricercatori universitari.

1) Premessa. E’ bene ricordare che:

a) l’istituto del fuori ruolo ha cessato di esistere con il 31 ottobre 2010;

b) il biennio opzionale ha cessato di esistere per i professori e i ricercatori universitari con il 29/01/2011, data di entrata in vigore della legge Gelmini (G.U. n. 10 del 14/01/2011 - Suppl. Ordinario n. 11). I provvedimenti di concessione adottati sul biennio opzionale dalle università decadono alla stessa data, ad eccezione di quelli in corso di svolgimento perché concessi con decorrenza 01/11/2009 (termine del biennio il 31/10/2011) o con decorrenza 01/11/2010 (termine del biennio il 31/10/2012).

2) Professori ordinari in servizio alla data dell’11 marzo 1980 (data di entrata in vigore della legge 21 febbraio 1980, n 28), o nominati in ruolo a seguito di concorsi già banditi alla medesima data. Sono collocati in pensione a decorrere dall’inizio dell’anno accademico successivo al compimento del settantesimo anno di età o al termine del biennio opzionale in godimento.

3) Professori incaricati stabilizzati divenuti associati a seguito di giudizio d’idoneità. Vanno in pensione al termine dell’anno accademico in cui compiono il settantesimo anno di età. Per detti professori non è stata mai applicata la normativa del biennio opzionale, in accordo a un parere espresso in merito dal Consiglio di Stato.

4) Professori ordinari, nominati in ruolo in seguito a concorsi banditi dopo l’11 marzo 1980, e professori associati:

a) Se hanno optato, o opteranno secondo le disposizioni di cui al comma 19 della legge Moratti, collocamento a riposo al termine dell’anno accademico nel quale compiono il settantesimo anno di età. I professori che fossero collocati in pensione a 68 anni pur avendo esercitato l’opzione di cui al comma 19 potranno presentare ricorso al TAR.

b) In assenza di opzione saranno collocati a riposo a decorrere dall’inizio dell’anno accademico successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di età o al termine del biennio opzionale in godimento.

5) Ricercatori e assistenti universitari. Sono collocati a riposo a decorrere dall’inizio dell’anno accademico successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di età, o al termine del biennio opzionale in godimento.

(Prof. Antonino Liberatore, Segretario Nazionale USPUR, Firenze 07-02-2011)
 
I servizi agli studenti PDF Stampa E-mail
Uno dei parametri per offrire un servizio efficiente è la qualità dei siti internet per gli atenei: i dati mostrano che oltre all'università di Firenze e quella di Parma testimoni di «un buon esempio di omogeneità per la facilità di accesso e reperibilità delle informazioni», gli altri atenei hanno una scarsità d’informazioni relative agli alloggi, alle mense, al diritto allo studio. In molti casi le criticità si riscontrano anche per le informazioni relative agli stessi curricula dei docenti. Tra i servizi agli studenti il rapporto del cnvsu prende in considerazione anche i fondi messi a disposizione per le borse di studio. Questi finanziamenti sono diminuiti drasticamente (del 60% nel 2010 rispetto ai 246 milioni di euro nel 2009) con importi minimi per l'a.a. 2010/2011 pari a 4.701 euro per i fuorisede, 2.590 per i pendolari e 1.770 per gli studenti in sede. Non tutti coloro che hanno diritto alla borsa, però, ricevono il sussidio: la media nazionale è pari all'81,8%, con grandi differenze geografiche. In regioni del Centronord come Veneto (88,4%) e Marche (88,5%) la quasi totalità degli aventi diritto ottiene la borsa. Nel Mezzogiorno, invece, i valori medi di copertura sono appena superiori al 60%: dal minimo del Molise (42,8%) al massimo della Sardegna (85,7%). Una spiegazione risiede nel fatto che proprio in queste regioni si concentra la maggior percentuale di idonei per reddito: ben il 44,5% del totale. Alla fine del 2009 i posti-alloggio messi a disposizione da parte degli Enti per il diritto allo studio sono quasi 38mila: un numero che è cresciuto negli ultimi anni, sicuramente anche per effetto del cofinanziamento ministeriale al 50% del costo delle nuove costruzioni. Tuttavia, rapportando gli alloggi disponibili al numero degli idonei alla borsa di studio, appena il 22% degli aventi diritto ha ottenuto un posto-alloggio nell'a.a. 2008/2009. Una percentuale che scende drasticamente al 2,1% se si rapporta il numero dei posti disponibili al totale degli iscritti.
(ItaliaOggi 31/01/2011)
 
La diminuzione di iscritti e laureati PDF Stampa E-mail
Diminuiscono innanzitutto le matricole. Nel 2003 erano stati il 74,5%, oltre 7 su 10, i diplomati che avevano deciso di proseguire gli studi e iscriversi all’università. Nel 2008/2009 - dopo una serie di diminuzioni progressive - siamo al 66%, il 2% in meno rispetto all’anno precedente. E i dati provvisori del 2009/10 registrano ancora un calo: i diplomati che si trasformano in matricole sono il 65,7%. Spiega Luigi Biggeri, presidente del CNVSU: «Una volta si cercava nella laurea la promozione sociale, ora ci si è resi conto che proseguire gli studi nella maggior parte dei casi non permette di fare alcun salto di classe sociale». E quindi ormai meno di un diciannovenne su due si iscrive all’Università. Negli ultimi anni questo dato è stato in continua diminuzione: se nel 2003-2006 si era ancora intorno al 56%, nel 2007/08 si era già scesi al 50,8%, e nel 2009/2010 siamo al 47,7%. «L’università italiana manifesta pertanto una ridotta capacità di attrarre i diciannovenni, rispetto a quanto accade in altri paesi», commenta il CNVSU. «E’ il fallimento di questo modello di università - spiega Biggeri - ma anche del mercato del lavoro e della capacità di creare lavoro da parte delle imprese». Dove c’è occupazione i giovani non perdono tempo a iscriversi all’università. «L’Indicatore di proseguimento degli studi dalla scuola superiore all’università presenza, infatti, differenze tra le varie provincie: i valori più alti si hanno nelle provincie di Teramo, Bologna, Isernia e Rieti - con oltre 80 immatricolati ogni 100 maturi -, mentre i valori più bassi si registrano nelle provincie di Catania, Sondrio e Vercelli - con una percentuale d’immatricolati sui maturi tra il 40% e il 50%».
(F. Amabile, La Stampa 27-01-2011)
 
Perché diminuiscono i laureati PDF Stampa E-mail
Negli ultimi anni il motivo è in primo luogo la crisi economico-finanziaria che però rende soltanto più pesanti alcuni vecchi vizi tipici dell'università italiana. Nelle nostre università, si laurea solo il 32,8% degli studenti che si sono iscritti (e quasi 2 studenti su 10 abbandonano già dopo il primo anno): con lo spreco di risorse che si può immaginare. Si tratta di una situazione prodotta in primo luogo da un’illusione di promozione sociale: parecchi giovani, con le loro famiglie, pensano che la laurea, il «pezzo di carta», darà loro accesso a un posto ben remunerato (in ogni caso remunerato in misura superiore rispetto a un mestiere manuale). Ma molti di questi giovani, dopo essersi iscritti, abbandonano poi l'università, per disaffezione e mancanza d’interessi, mentre quelli che riescono a laurearsi conseguono un titolo del tutto vuoto di contenuti culturali e scientifici (perché perseguito per soli motivi di carriera, scalando i vari gradini dell'«esamificio», in cui le nozioni apprese all'ultimo momento si perdono appena l'esame è finito). E’ una situazione prodotta anche da un’università concepita e attuata come un ente assistenziale, in cui si può parcheggiare per lunghi anni, poiché le tasse sono abbastanza basse (essendo la maggior parte dei costi universitari a carico dei contribuenti). In questo carattere assistenziale delle nostre università è da cercare anche la radice dello scarso impegno con cui un numero elevato di studenti le frequenta (o piuttosto non le frequenta, dato che nelle facoltà umanistiche solo una minoranza esigua è presente alle lezioni e ai seminari). Uno studio su studenti dell'Università Bocconi dimostra che il loro rendimento migliora quando aumentano le tasse universitarie pagate direttamente dalla famiglia dello studente stesso. «Invece, quando le rette universitarie sono pagate soprattutto dal contribuente, gli incentivi degli studenti si annacquano assai». Sarebbe molto meglio, pertanto, che le tasse fossero più elevate ma che al tempo stesso ci fossero per i meritevoli molte borse di studio, «prestiti d'onore», eccetera. La generale decadenza delle università statali (fatte salve, naturalmente, le isole di eccellenza, che pur ci sono) spiega perché gli studenti che conseguono un voto di maturità superiore a 90 s’indirizzano sempre più verso università non statali, come la Luiss di Roma, la Bocconi di Milano, il Campus biomedico di Roma, il San Raffaele di Milano. A questi studenti, e alle loro famiglie, le lauree interessano non come «pezzi di carta», ma per l'effettiva preparazione che esse garantiscono e che permetterà anche un più agevole inserimento nel lavoro. Si manifesta qui una concezione meritocratica, che fa ben sperare, anche se essa è in forte contrasto con la concezione assistenziale che domina largamente nel Paese e che ne determina il ristagno.
(G. Bedeschi, Corsera 01-02-2011)
 
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