Home 2011 26 Febbraio
26 Febbraio
Sul blocco della retribuzione ai ricercatori non confermati PDF Stampa E-mail

Domanda: Nell’ambito delle misure di contenimento della spesa nel pubblico impiego, l’articolo 9 comma 21, terzo periodo, del DL 78/2010 come convertito dalla Legge 30 luglio 2010 n. 122, il nostro Ateneo ha sospeso per i ricercatori fino al 2013 gli effetti della legge 43/2005 secondo cui "dopo il primo anno di effettivo servizio e fino al giudizio di conferma, il trattamento economico dei ricercatori universitari è pari al 70 per cento di quello previsto per il professore universitario di seconda fascia a tempo pieno di pari anzianità". Chiedo un papere sulla legittimità di questo provvedimento e sulla correttezza dell'interpretazione del DL 78.

Risposta: il comma 21, art. 9, legge 122/2010 prevede "Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti". Il passaggio dopo un anno alla classe 01 adegua la retribuzione del ricercatore non confermato al 70% di quella dell'associato non confermato. Tale passaggio avviene automaticamente, pertanto rientra nel citato comma. Il blocco è, quindi, legittimo anche se iniquo. I ministri Tremonti e Gelmini hanno più volte assunto l'impegno che con successiva norma sarebbero stati eliminati dal blocco i ricercatori non confermati e i confermati sino a una certa classe retributiva della prima progressione economica. Costoro, per unanime riconoscimento, hanno retribuzioni molto basse e sono i più danneggiati dal blocco. Sarebbe giusto rimediare in qualche modo. Sinora ciò non si è verificato.
(Domanda e risposta sul blog di A. Pagliarini 08-02-2011)
 
Proposta di una riforma con ridimensionamento dell’università PDF Stampa E-mail

In seguito alle agitazioni studentesche negli anni ’60, si è creduto opportuno estendere l’università aprendo nuove sedi, semplificando i meccanismi d’ammissione ed estendendo le professioni per esercitare le quali è necessaria una laurea, contestualmente a un processo analogo coinvolgente l’istruzione media. Se questa politica poteva partire da intenzioni lodevoli come quelle di aumentare il livello d’istruzione ed eliminare le barriere di classe, essa si è rivelata però nel suo complesso fallimentare proprio in relazione a questi suoi obiettivi. In primo luogo, invece di promuovere il merito, lo si è di fatto svilito, rendendo più facile l’ammissione all’università e il percorso verso la laurea. Le conseguenze dirette di quest’aumento indiscriminato degli studenti sono state classi e corsi di laurea affollati, con conseguente diminuzione della qualità dell’insegnamento. L’elevato numero di studenti porta a un elevato tasso di abbandoni e dispersioni, nonché a un’inflazione di titoli e di laureati tale da sbilanciare lo stesso mercato del lavoro. Per esempio, la diminuzione degli standard di qualità invece d’ottenere maggior mobilità sociale, ha ridotto l’incidenza del merito, accrescendo il peso delle condizioni economiche di partenza al fine d’intraprendere le libere professioni. D’altra parte, la pazza corsa alla laurea ha fatto sì che i lavori manuali, considerati meno “nobili”, siano disertati, relegandoli o a una ristretta casta di specialisti, o a una massa intercambiabile di manodopera sempre meno qualificata. In sintesi, la perdita di valore attribuito al titolo di laurea ha danneggiato proprio le fasce economicamente e socialmente più deboli.

In terzo luogo, il proliferare ingiustificato di sedi locali, di facoltà e corsi, ha provocato una vera e propria esplosione di parassitismi, clientelismi, baronie, corruttele, sprechi, che hanno danneggiato notevolmente la società italiana, sia direttamente con lo sciupio di risorse e denaro pubblico, sia indirettamente, ma più pesantemente, con l’arrecare alla gioventù italiana una preparazione insufficiente e una desolante mancanza di opportunità sia nel campo della ricerca che nel campo del lavoro. Altrettanto distruttivo si sta rivelando il susseguente esodo di elementi validi verso nazioni straniere: un’emorragia che può risultare mortale per l’Italia non solo dal punto di vista culturale e scientifico, ma anche e soprattutto dal punto di vista tecnologico ed economico.

Per invertire questa preoccupante tendenza, è opportuno adottare un principio opposto, ossia quello di tornare a una dimensione più umana e più efficiente dell’università. Invece dell’ammissione indiscriminata e caotica, una forte selezione iniziale con una maggiore attenzione verso i singoli studenti. In luogo della dispersione delle risorse umane e finanziarie sul territorio, la concentrazione e la formazione di un numero limitato di poli d’eccellenza. Al posto della crescente deregulation e del ritiro delle istituzioni dalla società, l’inquadramento e l’organizzazione dell’istruzione superiore e del suo indotto, mediante l’intervento massiccio dello Stato.

La proposta è di agire in due direzioni.

Da una parte, ridurre di numero le università, limitandosi a pochi poli d’eccellenza distanziati sul territorio e comprensivi di tutte le strutture d’istruzione superiore ivi presenti, consentirà di snellire la burocrazia e limitare gli sprechi, dal momento che tutte le strutture in un’area geografica sarebbero coordinate da un unico centro e che le risorse sarebbero concentrate su pochi punti ma in maggior numero. Queste università raccoglierebbero tutte le loro strutture in una o due città vicine, consentendo una maggior integrazione tra le facoltà e gli studenti e senza creare differenze tra sedi staccate che spesso, a parità di dignità nominale, finiscono per fornire servizi di qualità inferiore.

Dall’altra, alle università occorre affiancare altre due strutture: le scuole superiori di scienze applicate e le scuole normali superiori. Le prime, sul modello delle Fachhochschulen germaniche, rileverebbero il ruolo positivo delle sedi staccate, essendo caratterizzate da una maggior diffusione e da un maggior radicamento sul territorio. Loro compito sarebbe di tenere quei corsi di laurea breve a immediato sbocco professionale (come, ad esempio, Infermieristica o Scienze dell’Educazione). Essi si configurerebbero come un’istruzione terziaria professionale, ovvero un canale del tutto separato dall’Università. In questo modo, questi corsi eviterebbero di espandere oltre necessità le università, e, al tempo stesso, rimarrebbero più vicini alle necessità lavorative. Un esempio già esistente nel mondo italofono è quello della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana. Le seconde, sul modello delle Grandes Écoles francesi, avrebbero il compito di raccogliere e riorganizzare, su scala nazionale e in maniera sistematica, il gruppo imperfetto e confuso delle cosiddette scuole d’eccellenza. Appoggiandosi alle strutture universitarie locali, queste scuole fornirebbero una formazione d’eccellenza ai migliori studenti della nazione, selezionati mediante un rigoroso concorso d’ammissione e considerati e stipendiati in qualità di pubblici funzionari, così come avviene in Francia. Questi istituti si caratterizzerebbero anche per la particolare attenzione dedicata alla ricerca fin dall’inizio del percorso formativo, e dovrebbero costituire insieme la vetta e il fiore all’occhiello del sistema d’istruzione superiore nel suo complesso. Queste tre classi di strutture dovrebbero mantenersi come tre sistemi autonomi, ma in forte interscambio tra di loro, in modo da costituire un unico sistema complesso, articolato e flessibile.

Oltre a ciò s’impongono altre due misure di taglio e ristrutturazione: in primis, l’estensione del numero chiuso a tutti i corsi di laurea. In questo modo si eviterebbero sia l’inflazione di titoli sia il proliferare di giovani laureati in discipline che, fisiologicamente, offrono pochi sbocchi, come ad esempio quelle letterarie. Infine, la riduzione, obbligatoria per tutti gli atenei, dei corsi di laurea dovrebbe razionalizzare l’offerta formativa, eliminando tutta la congerie di corsi e facoltà costituiti dalle singole università a scopo clientelare. Queste misure potranno parere brutali, ma offrono l’indubbio vantaggio di risparmiare risorse preziose e ridistribuirle in modo più efficace e a beneficio quasi esclusivo dei capaci e dei meritevoli. In questo senso, il numero chiuso non sarebbe affatto una misura classista, se fosse applicato con giustizia e imparzialità, bensì una garanzia del ricambio della classe dirigente.
(A. Virga, centro studi l’arco e la clava 01-02-2011)
 
Il XXI è il secolo digitale. Un documento dell'agenda digitale per l'Italia PDF Stampa E-mail

Sul web l'indirizzo è qui (http://www.agendadigitale.org/) ed è il sito dove poco più di cento tra imprenditori, giornalisti, ricercatori, artisti,economisti e docenti universitari hanno comprato una pagina del Corriere della Sera per divulgare il loro appello e segnalare una delle tante anomalie italiane: porre le tecnologie digitali al centro del dibattito e alla base dell'innovazione del paese, come già accade in tutte le principali nazioni del mondo, ma non in Italia. Dove l'assenza di una strategia politica che definisca un programma competitivo per far sì che le potenzialità delle tecnologie informatiche e telematiche diventino reali opportunità di crescita per l'Italia. I dati sull'innovazione sono preoccupanti: secondo l'ITU, l'agenzia delle Nazioni Unite per lo studio delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, l'Italia, insieme alla Libia e a qualche isola sperduta dell'Oceano Pacifico, è tra le pochissime nazioni al mondo a non avere una strategia per lo sviluppo ed economico e sociale basato sulle tecnologie digitali.

L'appello dei firmatari dell'Agenda Digitale per l'Italia dice: "Ci rivolgiamo a tutte le forze politiche, nessuna esclusa, sollecitando il loro impegno a porre concretamente questo tema al centro del dibattito politico. Chiediamo, entro 100 giorni, la redazione di proposte organiche per un'Agenda Digital per l'Italia coinvolgendo le rappresentanze economiche e sociali, i consumatori, le università e coloro che, in questo Paese, operano in prima linea su questo tema. Richiamiamo l'attenzione di tutte le forze politiche - prosegue il documento - gli imprenditori, i lavoratori, i ricercatori, i cittadini perché non vedano in queste parole la missione di una sola parte, ma tutto il Paese". Come spiega il documento dell'agenda digitale per l'Italia, il XIX secolo è stato caratterizzato dalle macchine a vapore, il XX secolo dall'elettricità. IL XXI secolo è il secolo digitale.
(A. Passaniti, legno storto 08-02-2011)
 
I tagli ai finanziamenti del sistema universitario e la procedura PROPER PDF Stampa E-mail

La procedura PROPER (Programmazione del fabbisogno di personale), gestita dal Cineca, persegue l'obiettivo di monitorare a consuntivo, anno per anno, in ogni Ateneo, le risorse di assegnazione ministeriale (FFO), la consistenza del personale e i costi per assegni fissi (AF) corrisposti, al fine di verificare il rispetto del limite del 90% del rapporto AF/FFO.

La PROPER consente di monitorare il FFO di ogni Ateneo, e, per ciascuna categoria, consente di apprezzare l'incremento o il decremento del personale in servizio (Ordinari, Associati, Ricercatori, Assistenti a esaurimento, Personale tecnico-amministrativo), la spesa per assegni fissi, il rapporto "puro" AF/FFO nonché quello depurato dai correttivi previsti dalla normativa vigente (D.L. 7/4/04 n. 97, convertito in L. 4/6/04 n. 143). È su quest'ultimo dato che il confronto con il 2008 diventa interessante. Il 2008, anno in cui ancora non si applicava la legge 1/2009 introduttiva del criterio di assegnazione di risorse premianti le università virtuose, erano 27 gli Atenei che, rispetto al rapporto AF/FFO, erano oltre il limite del 90% "puro" e 4 quelli fuori tale limite nonostante la depurazione. L'applicazione, nel 2009, del sistema premiale ha influito sull'entità FFO degli Atenei, vale a dire sul denominatore del rapporto AF/FFO, mutandolo notevolmente. Così, rispetto al 2008, sono saliti a 36 (+9) gli Atenei che hanno superato il limite del 90% "puro" e sono diventati 7 (+3) quelli che hanno superato il limite depurato, pur non avendo aumentato il numero dei propri dipendenti o, addirittura, avendolo diminuito. Questa situazione sarà ulteriormente aggravata nel 2010 perché le risorse destinate alla premialità sono passate da 523,5 Ml € a 720 Ml € in presenza di un’ulteriore riduzione delle risorse complessive per il FFO (- 274,57 Ml €). Quindi gli Atenei che nel 2009 presentano valori intorno all'87%-88% del rapporto AF/FFO comunque considerato, verosimilmente si collocheranno tra quelli che superano il valore "puro" o, supereranno anche il valore depurato se già erano tra quelli oltre il limite del 90% del valore "puro", tanto più se il decreto "milleproroghe" non ripristinerà la valenza delle disposizioni derogatorie di cui alla L. 143 prima citata. Dopo la prossima chiusura PROPER 2010, la procedura dovrà essere obbligatoriamente modificata per due ragioni: la prima, perché la L. 240/2010 sulla riforma dell'Università (Art. 24) prevede per i ricercatori assunzioni a tempo determinato, il cui costo, secondo i criteri attuali, non concorre a formare la spesa per gli assegni fissi del rapporto AF/FFO; la seconda, anche come conseguenza della prima, prevede (art. 5) l'individuazione di nuovi criteri per la determinazione del limite massimo dell'incidenza complessiva delle spese per il personale rispetto alle entrate complessive dell'ateneo. Raffrontando gli altri dati esposti nella tabella con quelli corrispondenti del 2008, si rileva una generale diminuzione del personale in servizio in tutte le categorie: Ordinari –5,20%, Associati –3,17%, Ricercatori –0,06%, Assistenti a esaurimento –32,43%, Personale tecnico-amministrativo –1,99%. Il decremento più consistente si registra per la categoria degli Assistenti posti in esaurimento 30 anni fa! Quindi, se l'esperienza insegna, ci vorranno altri 30 anni circa per esaurire l'attuale ruolo dei ricercatori! L'esame, da ultimo, dei dati sulle spese per assegni fissi, evidenzia che il personale docente nel suo complesso incide per il 70,90% sul totale contro il 29,10% del personale tecnico-amministrativo. La spesa complessiva, rispetto al 2008, è cresciuta del 3,83%.
(FlcCgil 03-02-2011)
 
La riduzione del finanziamento pubblico e la sua distribuzione meritocratica agli atenei PDF Stampa E-mail

Dieci giorni prima del termine dell’esercizio 2010, il ministro Gelmini ha firmato il decreto ministeriale per la ripartizione del Ffo agli atenei per quello stesso anno. Il documento, oltre a sancire la diminuzione del Fondo di finanziamento ordinario, ha indicato i criteri utilizzati per allocare le risorse pubbliche alle università statali.

Per il secondo anno di seguito è evidente che a un meccanismo potenzialmente in grado di creare differenziazione nel finanziamento, si sovrappone la preoccupazione ministeriale di non creare effetti devastanti sui magri bilanci degli atenei, in molti casi ormai vicini alla fatidica quota del 90 per cento della spesa per il personale. Infatti, il decreto ministeriale contiene una duplice misura compensativa, che non consente ad alcun ateneo né di avere variazioni in aumento rispetto al Ffo 2009, né contrazioni superiori al 5,5 per cento. Per effetto di queste misure, a valle della ripartizione della quota premiale, l’Università di Messina ha ricevuto una compensazione in aumento di 6.449.706 euro (il 3,9 per cento della sua assegnazione) e il Politecnico di Torino è stato privato di 3.344.551 euro (il 2,8 per cento della sua assegnazione).

Sulla base di questo quadro, è possibile valutare le differenze con la riparazione del Ffo 2009. Pur collocandosi in sostanziale continuità con l’esercizio precedente, l’allocazione 2010 presenta tre elementi di discontinuità. Anzitutto cresce la quota premiale, che è aumentata dal 7,2 per cento al 10,29 per cento (e si contrae in modo più che proporzionale la quota ripartita su base storica, che è scesa dall'87 all'80 per cento). In secondo luogo, mutano parzialmente gli indicatori utilizzati: per quanto riguarda la didattica, al posto dei cinque presenti nel 2009, ne sono utilizzati due nuovi, di cui il primo penalizza la presenza di studenti cosiddetti “silenti” (che cioè non sostengono alcun esame), mentre il secondo accorpa due criteri preesistenti relativi alla velocità di carriera; esce invece dalla valutazione degli atenei criteri concernenti la presenza di valutazione da parte degli studenti e relativi all’occupabilità dei laureati. Per quanto riguarda la componente della ricerca, si riduce il peso degli indicatori relativi della valutazione CIVR 2001-03 e all’attrattività di finanziamenti europei, mentre si attribuisce più peso alle domande di finanziamento interno rivolte a fondi ministeriali (Prin e Firb). Infine, rispetto al 2009 mutano le misure compensative: la soglia di garanzia inferiore passa dal 3 al 5,5 per cento e viene introdotta una soglia in aumento non prevista nel 2009. Un dato preoccupante tuttavia emerge dal confronto tra le ripartizioni finali cui danno origine i due sistemi adottati nel 2009 e nel 2010. In tabella è riportato il confronto tra le quote conseguite nei due anni della quota incentivante da ciascun ateneo, ordinandole da chi ha ottenuto di più a chi ha ottenuto di meno. Basta scorrere la lista per accorgersi dell’eccessiva variabilità degli esiti: i primi posti sono conseguiti da università che nella classifica degli indicatori non spiccano certo per le loro performance brillanti. Sorge allora il sospetto che il MIUR abbia corretto una distribuzione dell’anno precedente, ritenuta a torto o a ragione troppo sbilanciata a favore delle università settentrionali, che, infatti, finiscono in fondo alla classifica della ripartizione.

Senza discutere le finalità ministeriali, ricordiamo che gli obiettivi dei sistemi incentivanti sono ben altri. Se si vogliono incoraggiare le università verso cammini virtuosi secondo direttive ministeriali, bisogna annunciare in anticipo i criteri, che devono restare stabili per almeno un certo numero di anni, in modo tale che gli atenei li recepiscano e correggano (se lo desiderano) i loro comportamenti per ottenere le risorse sperate. Finora l’incentivazione assomiglia piuttosto a una lotteria cui annualmente gli atenei sono costretti a sottoporsi: a seconda degli indicatori che il ministro vorrà adottare, potrà andare bene o male.
(D. Checchi e M. Turri, Lavoce.info 10-02-2011)

Tabella – Confronto tra distribuzione delle quote premiali Ffo 2009 e 2010 

quota 2009

quota 2010

variazione quota

Università degli Studi di FOGGIA

0.32%

0.48%

50.1%

Università degli Studi di NAPOLI "Parthenope"

0.33%

0.45%

34.4%

Università degli Studi "Mediterranea" di REGGIO CALABRIA

0.35%

0.45%

29.7%

Università degli Studi di NAPOLI "L'Orientale"

0.40%

0.51%

26.2%

Università degli Studi di PALERMO

2.23%

2.79%

25.0%

Università degli Studi del MOLISE

0.33%

0.41%

24.5%

Università degli Studi della BASILICATA

0.37%

0.46%

22.6%

Seconda Università degli Studi di NAPOLI

1.30%

1.58%

22.1%

Università degli Studi di TERAMO

0.28%

0.35%

21.3%

Università degli Studi di CASSINO

0.37%

0.45%

21.0%

Università "Ca' Foscari" di VENEZIA

1.16%

1.39%

20.1%

Università degli Studi "Magna Graecia" di CATANZARO

0.35%

0.42%

18.4%

Università degli Studi di BRESCIA

0.88%

1.00%

13.7%

Università degli Studi di SASSARI

0.81%

0.91%

13.4%

Università degli Studi di PARMA

1.80%

2.04%

13.3%

Università degli Studi di CATANIA

2.31%

2.60%

12.5%

Università degli Studi di BERGAMO

0.52%

0.58%

11.9%

Università degli Studi di MESSINA

1.32%

1.47%

11.6%

Università degli Studi INSUBRIA Varese-Como

0.54%

0.60%

11.4%

Politecnico di TORINO

2.47%

2.74%

10.9%

Università degli Studi di PAVIA

2.02%

2.24%

10.8%

Università degli Studi di FERRARA

1.24%

1.36%

9.6%

Università degli Studi di ROMA "La Sapienza"

6.72%

7.35%

9.4%

Università della CALABRIA

1.38%

1.48%

7.3%

Università degli Studi "G. d'Annunzio" CHIETI-PESCARA

1.09%

1.16%

6.8%

Università degli Studi di SALERNO

1.43%

1.53%

6.5%

Università degli Studi di MODENA e REGGIO EMILIA

1.38%

1.47%

6.1%

Università degli Studi di CAGLIARI

1.53%

1.60%

4.8%

Università degli Studi di NAPOLI "Federico II"

4.74%

4.91%

3.5%

Università degli Studi di ROMA "Tor Vergata"

2.33%

2.41%

3.4%

Università degli Studi di BARI

2.38%

2.46%

3.3%

Università IUAV di VENEZIA

0.40%

0.41%

2.8%

Politecnico di BARI

0.58%

0.60%

2.4%

Università degli Studi di VERONA

1.35%

1.37%

1.6%

Università degli Studi del SALENTO

1.12%

1.13%

0.8%

Università degli Studi di BOLOGNA

6.42%

6.37%

-0.7%

Università degli Studi di MILANO-BICOCCA

1.91%

1.90%

-0.8%

Università degli Studi di PADOVA

4.84%

4.79%

-0.9%

Università degli Studi di UDINE

1.25%

1.23%

-1.0%

Università degli Studi del PIEMONTE ORIENTALE "Amedeo Avogadro"-Vercelli

0.67%

0.66%

-1.3%

Università degli Studi ROMA TRE

1.56%

1.52%

-2.4%

Università degli Studi del SANNIO di BENEVENTO

0.29%

0.28%

-2.6%

Università Politecnica delle MARCHE

1.11%

1.08%

-3.2%

Università degli Studi di MILANO

4.88%

4.69%

-4.0%

Università degli Studi di TORINO

4.26%

3.85%

-9.5%

Università degli Studi della TUSCIA

0.64%

0.58%

-10.0%

Università degli Studi di FIRENZE

4.35%

3.90%

-10.4%

Università degli Studi di PERUGIA

2.14%

1.91%

-10.7%

Università degli Studi di PISA

3.63%

3.20%

-12.1%

Università degli Studi di SIENA

2.16%

1.87%

-13.2%

Università degli Studi di TRIESTE

1.81%

1.53%

-15.5%

Politecnico di MILANO

4.25%

3.36%

-20.9%

Università degli Studi di GENOVA

3.72%

2.87%

-22.9%

Università degli Studi di TRENTO

1.95%

1.25%

-36.0%

 
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