Home 2011 26 Febbraio
26 Febbraio
La qualità dei corsi di studio PDF Stampa E-mail
I “requisiti minimi”, e in futuro anche quelli “necessari” (cfr. il DM n. 17 del 22/09/2010), sono tutti informati dall’idea che dei parametri numerici – ad esempio quelli che si riferiscono alle risorse di docenza, o degli studenti frequentanti – possano catturare in modo rilevante la qualità “minimale” accettabile dei corsi di studio. Peraltro il CNVSU ha parlato di risultati «deludenti» dell’operazione “requisiti minimi”, ma ha poi rilanciato con i “requisiti necessari”, che ne sono uno sviluppo lungo la stessa filosofia. Più che altro il CNVSU ha sempre fatto riferimento all’efficienza amministrativa, per quanto riguarda la “sostenibilità strutturale” dei corsi. Ma le valutazioni esterne che in tutto il mondo caratterizzano il ruolo di un’agenzia di valutazione di quel tipo, non si pongono di fronte all’istituzione con il bilancino del farmacista, o per dare giudizi di tipo economico, o facendo la vece dei revisori dei conti. Esse hanno il compito di fornire giudizi sulla qualità dell’offerta formativa o sulla capacità dell’istituzione di garantirla, e i loro rapporti di valutazione servono, da un lato, al miglioramento della gestione da parte della singola Università, e, dall’altro, a eventuali decisioni di accreditamento, anche propedeutiche ad autorizzazioni amministrative. Gli stessi “Rapporti Annuali” del CNVSU, ai quali l’XI non fa eccezione, forniscono una serie di informazioni, di tabelle e di indicatori nello stile di un Ufficio Statistico, non di un istituto di valutazione. Nessuno dubita che quei dati siano necessari e quei rilevamenti vadano fatti, ma davvero, senza valutazioni puntuali a livello di istituzione, una rassegna di quel tipo è tutto ciò che ci si può attendere dalle attività di un comitato di valutazione?
(R. Rubele, Istruzione & Cultura, Scienza 03-02-2011)
 
Ricerca, formazione e trasferimento tecnologico per uscire dalla crisi PDF Stampa E-mail
E’ il tema di un recente incontro al Politecnico di Torino organizzato il 14 gennaio scorso, che ha analizzato i diversi temi d’attualità, dal trasferimento tecnologico in un paese a crescita zero, alla riforma Gelmini, al ruolo dei privati nell’Università pubblica. Intervista con il curatore dell’evento Francesco Vaccarino.  “L’università italiana – spiega – è un’organizzazione medioevale, in cui un gruppo di persone studia per diventare eccelso. Una volta raggiunto quel livello, quelle persone hanno pieni poteri, nel senso che devono fare tutto. Noi formiamo sapienti cui poi chiediamo di svolgere altri compiti. L’idea che uno perché conosce bene la meccanica quantistica possa essere un bravo manager o un bravo fund raiser o un esperto di budget è un’idea semplicemente assurda”. “La legge sull’università contiene un elemento positivo: ci obbliga a ridefinire le nostre finalità. Tuttavia essa pretende di intervenire sui processi dell’università senza intervenire sugli scopi. Siamo molto lontani dagli obiettivi chiari che si stanno dando tutti i paesi occidentali e le super potenze asiatiche: puntare alla creazione di élite di scienziati-tecnocrati che saranno le guide del futuro”. E sui temi della ricerca e del trasferimento tecnologico? “In effetti, qualche cosa di positivo c’è stata con l’introduzione del paradigma della valutazione. Tuttavia il punto è che il fund raising non è un’attività a latere dell’insegnamento o della ricerca, ma è un lavoro per cui la maggioranza delle università non è attrezzata. O meglio per fare fund raising servono competenza, risorse, persone e contatti che oggi hanno solo alcune strutture di alcune Università. Per trovare finanziamenti occorrono livelli di ricerca eccellenti, energie e persone. Invece, contemporaneamente, ci si chiede di seguire sempre più studenti e di avere sempre meno collaboratori e sempre più anziani. I Politecnici hanno maggior facilità a dialogare con le imprese, perché sono università professionalizzanti in cui i docenti hanno maggiori contatti con il mondo produttivo…Tra una decina di anni credo che il sistema riuscirà a trovare un equilibrio”.
(T. Del Lungo saperi.forumpa 31-01-2011)
 
Il Consiglio dei Ministri approva la nomina dei componenti il consiglio direttivo dell’ANVUR PDF Stampa E-mail
A seguito del parere favorevole espresso dalle Commissioni parlamentari, il Consiglio dei ministri ha definitivamente approvato, su proposta del ministro dell'Istruzione, dell'Universita' e della Ricerca, Mariastella Gelmini, la nomina dei componenti del Consiglio direttivo dell'ANVUR (Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) nelle persone delle professoresse Fiorella Kostoris e Luisa Ribolzi, e dei professori Sergio Benedetto, Andrea Bonaccorsi, Massimo Castagnaro, Stefano Fantoni e Giuseppe Novelli. E' quanto si legge nel comunicato finale di Palazzo Chigi.
(ASCA - Roma, 18-02-2011)
 
Il CUN chiede di integrare il CD dell’ANVUR con esponenti del mondo umanistico PDF Stampa E-mail
Nell'adunanza del 27 gennaio, il Consiglio universitario nazionale (CUN) ha adottato una mozione sulla nomina in via preliminare dei componenti del Consiglio Direttivo dell'ANVUR. Nella mozione il CUN esprime il proprio disappunto per il fatto che tra i consiglieri nominati dalla Gelmini e approvati dal Consiglio dei Ministri non figurino persone che svolgano la loro professione nel campo delle aree umanistiche della formazione e della ricerca (scienza giuridica, cultura letteraria, linguistica, storica, geografica, filosofica, psicologica e tutte le aree relative alla valorizzazione e alla salvaguardia del patrimonio storico, archeologico, artistico e culturale italiano). Considerato che "in questi settori occorre formulare e applicare specifici criteri di valutazione che siano costruiti senza aprioristica e acritica assunzione di parametri quantitativo-statistici", il CUN chiede che in questo particolare momento in cui si stanno elaborando e approvando i criteri e gli standard di valutazione "il consiglio direttivo dell'ANVUR sia opportunamente integrato con le competenze specifiche proprie dell'area umanistica".
 
La valutazione dei prodotti della ricerca PDF Stampa E-mail

Con l'intenzione di «promuovere e sostenere l'incremento qualitativo delle attività delle università statali e di migliorare l'efficacia e l'efficienza nell'utilizzo delle risorse» (legge 9 gennaio 2009 numero 1), 474 milioni di euro sono stati ripartiti tra le Università sulla base di una valutazione della ricerca. Di questi, il 70% è stato assegnato sulla base della partecipazione a finanziamenti pubblici nazionali (PRIN e FIRB), europei e internazionali. Misurare la qualità e la produttività della ricerca scientifica sulla base dei finanziamenti pubblici ottenuti sarebbe come valutare l'efficienza dello smaltimento dei rifiuti sulla base dei fondi a quel fine impegnati. Napoli avrebbe in questo modo la palma d'oro! Lo stesso discorso potrebbe farsi per la sanità e così via. Perciò, la distribuzione alle Università dei fondi per la premialità è un perfetto esempio del fatto che una corretta politica del merito è strettamente dipendente dall'applicazione di appropriati criteri di valutazione: se questi sono fallaci, il principio meritocratico può tramutarsi nel suo opposto. Nel caso della valutazione della ricerca, questa deve partire dall'analisi dei suoi prodotti, cioè lavori scientifici e, per quella applicata, anche brevetti. L'uso dei finanziamenti come parametro di valutazione ha un senso solo in relazione ai prodotti, al fine, eventualmente, di calcolare il rapporto costo/beneficio. Ma come si valutano i prodotti? Per selezionare una serie di progetti di ricerca nell'ambito di un programma di finanziamento di specifici temi di ricerca, com’è il caso dei programmi di ricerca europei o dei progetti strategici nazionali, il sistema corrente è quello della cosiddetta "study session", cioè del confronto diretto tra i membri di una commissione di esperti, possibilmente internazionale. E' evidente che questo metodo non è applicabile a una scala più ampia, per esempio alla valutazione della produzione scientifica di un gran numero di lavori scientifici all'interno dello stesso settore disciplinare. E' questo il caso del CIVR, istituito nel 2004 per valutare la ricerca nazionale nel triennio 2001-2003 ed è anche quello utilizzato per selezionare i progetti di ricerca del PRIN. In questo caso la valutazione di ciascun prodotto della ricerca è affidata ad almeno due valutatori anonimi, secondo uno schema e una metodologia decisa da un panel di esperti per ciascuna delle 14 aree disciplinari o da un comitato di garanti. Gli esperti sono contattati e trasmettono i loro pareri al panel e interagiscono tra loro in maniera anonima e via internet. I problemi di tale metodo sono l'estrema parcellizzazione della valutazione che rende difficile se non impossibile l'applicazione di un uniforme metro di valutazione e consente, di fatto, sotto la copertura dell'anonimato, l'esercizio della più estrema soggettività di giudizio.

I problemi connessi all'utilizzazione di questa procedura hanno portato all'introduzione, nella valutazione della ricerca su scala nazionale e internazionale, di metodi basati su parametri bibliometrici che esprimono l'impatto dei lavori sulla comunità scientifica, quantificato in termini di citazioni. Il primo e più antico e tuttora molto diffuso indice bibliometrico è l'impact factor (IF),la cui obsolescenza come indice di valutazione della ricerca è di natura squisitamente pratica: la disponibilità di banche dati che forniscono gratuitamente le citazioni dei lavori e di software capaci di calcolare istantaneamente, utilizzando quelle citazioni, una serie di parametri utili per valutare la ricerca. Attualmente sono disponibili tre diverse banche dati, due a pagamento, ISI Webof Science (Wos) e Scopus, e una gratuita, Google Scholar, i cui dati possono essere analizzati con due diversi software, Publish or Perish e un add-on di Mozilla Firefox.

Tra i parametri ricavabili dalle banche dati ritenuti più attendibili si segnala l'indice di Hirsch di un autore (h), che rappresenta il numero di lavori di quell'autore che hanno ottenuto un numero di citazioni non inferiore a quel numero. L'h è un vero e proprio uovo di Colombo dato che esprime in maniera mirabilmente concisa la consistenza e affidabilità dell'impatto della produzione scientifica di un ricercatore. Non c'è dubbio che suona fortemente riduttiva la pretesa di esprimere con un unico numero il valore della ricerca di una vita o la produttività di un'intera istituzione. Ma, al fine di valutare la ricerca, l'indice di Hirsch è comunque preferibile a parametri, come la partecipazione a progetti nazionali o europei, correntemente utilizzati dal Ministero dell'Università. Siamo convinti che le classifiche delle istituzioni basate su un parametro obiettivo, trasparente e certamente conciso come l'h possa contribuire, eventualmente normalizzato, all'attuazione di una politica del merito nel finanziamento della ricerca e dell'Università in Italia. (G. Di Chiara, scienza in rete 02-02-2011)
 
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