Home 2011 10 Gennaio
10 Gennaio
In Gran Bretagna il controllo statale soffoca l’eccellenza accademica PDF Stampa E-mail

«Le università britanniche, Oxford e Cambridge incluse, sono sotto assedio da parte di un sistema di controllo statale che sta erodendo la cosa da cui dipende la loro reputazione mondiale: il calibro della loro scholarship». Lo  scrive Simon Head in un saggio appena pubblicato su The New York Review of Books. Come nasce il sistema di controllo statale di cui parla Head, e perché è così pericoloso per l’eccellenza accademica di università come Oxford o Cambridge? Per ricostruire il fenomeno Head riassume così il nuovo modo di concepire l’università affermatosi a partire dagli anni dei governi Thatcher: «Per fornire un valore per chi paga le tasse, l’accademia deve consegnare la sua ricerca “prodotto” con una velocità e un’affidabilità che assomigli a quella del mondo dell’impresa privata e inoltre consegnare ricerca che in qualche modo risulterà utile per i settori pubblico e privato della società britannica, rafforzando le prestazioni che il secondo ha nel mercato globale». Nulla o poco a che fare dunque con la cultura, l’identità nazionale o il progresso della conoscenza. Le tradizionali giustificazioni del sistema universitario, e del contributo pubblico al suo finanziamento, non sarebbero altro che foglie di fico servite per decenni a mascherare il desiderio di una corporazione di continuare a preservare i propri privilegi.

Da questa esigenza di rottura col passato nasce una struttura, l’Audit Commission, che è il primo passo nell’edificazione del sistema di controllo che oggi rischia di strangolare l’eccellenza. Una burocrazia opprimente, il cui compito è “misurare” il prodotto delle università attraverso i “Key Performance Indicators” (KPIs) ispirati dai metodi impiegati nelle imprese private, cresce di anno in anno stringendo progressivamente la ricerca in una stretta che ormai rischia di soffocarla. Sempre più spesso accade che gli accademici britannici modulino i propri progetti di ricerca e le proprie pubblicazioni avendo in vista le scadenze dei Research Assessment da cui dipende il finanziamento pubblico. Così facendo, essi si adeguano alle pressioni del management delle università che - avendo il dovere di far quadrare i conti - è interessato soprattutto a risultati di breve periodo e scoraggia lavori che richiedono un impegno di diversi anni.
(M. Ricciardi, Il Riformista 04-01-2011)
 
Ricerca e sviluppo nell’OCSE e confronto Germania-Italia PDF Stampa E-mail

La Germania ha da poco fornito dei dati sul suo impegno in ricerca e sviluppo (R&S) meritevoli d'attenta valutazione in Italia. Nonostante i due anni passati di profonda crisi, il settore industriale tedesco ha mantenuto alto il livello di investimenti in R&S. Solo gli investimenti privati dovrebbero raggiungere i 60 miliardi di euro nel 2011. Appena 5 anni fa le industrie tedesche investivano 50 miliardi di euro l'anno in R&S. La Germania attribuisce perciò molta importanza alla ricerca tanto da avere un'organizzazione, la Stiftverband für Investitionen in Forschung und Etwicklung, finanziata dalle industrie per monitorare il settore. Nel 2009 il ministero tedesco della ricerca ha aumentato del 5% il budget per la formazione tecnica e per i centri di ricerca statali. In Germania il Gerd (Gross Expenditure on Research and Development), cioè gli investimenti pubblici e privati nella ricerca, nell'ultimo decennio è stato circa il 2,5% del pil. Nel 2009, in piena crisi globale, era già salito al 2,8 e alla fine del 2010 dovrebbe raggiungere l'obiettivo del 3%. Questo era l'impegno preso a Lisbona nel 2000 da tutti i paesi dell’UE. Oggi, oltre alla Germania, soltanto la Svezia e la Finlandia toccano questi livelli. La tenuta della produzione e la crescita delle esportazioni tedesche poggiano anche su queste fondamenta.

Invece in Italia gli investimenti nella ricerca si mantengono intorno all’1,2% del pil. Ma questo livello si riferisce al 2008, l'ultimo anno di cui si hanno dati abbastanza precisi forniti dallo studio dell'Ocse 2010. Da esso si evince che tale investimento in Italia è stato di 250 euro pro capite, molto al di sotto della media dei Paesi Ocse. La media pro capite tedesca è stata invece di 654 euro. E nel 2007 la parte di R&S finanziata dall'industria privata italiana è stata del 42%, molto al di sotto del 64% della media Ocse. Relativamente alle grandi imprese si calcola che l'Italia è al 21esimo posto della classifica delle spese in R&S fatte dai Paesi Ocse, e al 14esimo posto per quanto riguarda le piccole e medie imprese. In Italia soltanto 4 su 1.000 occupati lavorano nella ricerca, mentre in Francia sono in media 8,7 su mille. Se l'innovazione tecnologica arranca, è chiaro che la produttività del lavoro in Italia sia stagnante dal 2000, come indica l'Ocse. Anche la Commissione europea ha gettato il suo allarme sia per l’Italia sia per gli altri Paesi europei, che rischiano di rallentare l'intera locomotiva dell'Unione. Osserva inoltre che nel periodo 2000-6 la produttività del lavoro negli USA è cresciuta annualmente dell’1,6% e soltanto dello 0,9 in Europa. In media, le industrie europee investono meno delle loro concorrenti americane e giapponesi. Tra poco anche di quelle cinesi. La Cina, infatti, dal 1996 al 2007 ha aumentato i suoi investimenti in R&S in media del 22% all'anno. Entro il 2020 l'Europa avrà bisogno di ulteriori 16 milioni di lavoratori qualificati e di sostituire altri 12 milioni di posti di lavoro sotto qualificati. Se negli USA, il 40% delle persone tra i 25 e i 34 anni hanno un diploma universitario e in Giappone superano il 50%, in Europa non raggiungono il 35%.
(M. Lettieri e P. Raimondi, Europa 04-01-2011)
 
Indagine open doors 2010: più studenti stranieri in USA e meno studenti USA all’estero PDF Stampa E-mail
Sono stati quasi 700.000 gli studenti internazionali iscritti nelle università e nei college statunitensi nell'anno 2009-2010, con un aumento del 3% dovuto principalmente alla crescita della popolazione studentesca cinese. Questo è quanto emerge dall'indagine Open Doors 2010, che, per la prima volta, rileva un leggero declino degli studenti statunitensi presenti all'estero, ma, al contempo, mostra notevoli aumenti di coloro che scelgono mete non tradizionali e, in particolar modo, il Perù, la Corea del sud e il Cile. Pubblicato ogni anno dall'Institute of International Education (IIE), lo studio ha mostrato quest'anno la cifra record degli studenti internazionali negli Usa (690.223). Le iscrizioni degli studenti post graduate sono aumentate del 4%, arrivando a quota 293.885. La California è stata il principale stato ospitante, con più di 94.000 studenti internazionali, mentre al primo posto tra le città si è classificata New York. La University of Southern California è stata l'università più popolare con quasi 8,000 studenti internazionali. La Cina si è affermata quale principale paese d'invio, superando l'India, che si è attestata al secondo posto con 105.000 studenti. In terza posizione troviamo la Corea del sud, nonostante il declino del 4%. A sorpresa l'Arabia Saudita ha registrato un incremento del 25% rispetto all'anno precedente riflettendo il sostanziale investimento del governo saudita nelle borse di studio all'estero e si è classificata quale settimo paese d'invio. Il calo più notevole (15%) si è avuto nel numero di studenti provenienti dal Giappone, confermando il declino del 14% dell'anno precedente. Emerge per la prima volta nei 25 anni di vita di Open Doors un declino dello 0,8% nel numero degli studenti statunitensi iscritti all'estero (260.300 circa). I primi 4 paesi di destinazione, il Regno Unito, l'Italia, la Spagna e la Francia, hanno costatato una riduzione (il 6% per il Regno Unito e l'11% per l'Italia), mentre solo per la Cina, in quinta posizione, si è verificato un aumento del 4%, sulla scia dell'incremento dell'anno precedente. Sebbene l'Europa continui a essere la meta preferita, con 142.000 studenti americani nel 2008-09, si registrano aumenti nel numero di studenti che scelgono l'Africa (16%), l'Asia (2%) e l'America del sud (13%). Nonostante vi sia una maggiore mobilità, la durata dei periodi all'estero è molto breve e non consente agli studenti un'immersione completa nelle culture dei paesi ospitanti. Il 74%, infatti, ha trascorso all'estero 8 settimane nell'anno 2008-2009 e solo il 4% vi ha trascorso un intero anno.
(E. Cersosimo, rivistauniversitas 22-12-2010)
 
Tra i più citati al mondo i ricercatori svizzeri PDF Stampa E-mail
I lavori di ricerca svizzeri sono tra i più riconosciuti al mondo: solo gli studi effettuati negli Stati Uniti sono più citati di quelli elvetici da parte della comunità scientifica. È quanto emerge da un'indagine della Segreteria di Stato per l'educazione e la ricerca (SER), pubblicata nel suo ultimo bollettino. La SER ha cercato di appurare quanto spesso gli studi di ricercatori elvetici siano stati citati negli anni 2005-2009 da altri ricercatori negli articoli scientifici pubblicati nelle riviste di notorietà internazionale. Dall'indagine è risultato che gli scienziati elvetici si piazzano al secondo posto nella classifica mondiale, con un "indice di citazioni relativo" superiore del 16% alla media. Solo i colleghi americani godono di un prestigio maggiore (+18%). Seguono quelli di Olanda (+13%), Gran Bretagna (+12%) e Danimarca (+11%).Gli Stati Uniti rimangono in assoluto i maggiori produttori di studi al mondo, con una quota del 29,2%, davanti a Cina (6,2%), Giappone e Regno unito (6,0% ciascuno). La Svizzera, già classificatasi tra i primi 20 in un'indagine condotta alla fine degli anni Novanta, è 18esima, con l'1,2% di tutti gli studi pubblicati a livello planetario. E questo - rileva la SER - nonostante un'accresciuta concorrenza, con l'ingresso nella classifica di paesi emergenti come la Cina, la Corea del Sud, Taiwan e il Brasile, che hanno investito molto nella ricerca negli ultimi anni.
(ATS 03-01-2011)
 
Bando "Futuro in ricerca" 2010. Mozione del CUN PDF Stampa E-mail

Il Consiglio Universitario Nazionale

- Relativamente al Bando "Futuro in Ricerca" 2010 (Decreto Direttoriale 27 settembre 2010 n. 584/ric) che all’art. 2 (Requisiti di ammissione), recita che “i dottori di ricerca rientranti nella Linea d’intervento 1 devono avere almeno tre pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali” e che “i dottori di ricerca rientranti nella Linea d’intervento 2 devono avere almeno sei pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali”;

- Considerando che nella FAQ “Che cosa s'intende per pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali?”, la risposta è: “Il requisito è esattamente lo stesso richiesto dall'ERC. In sostanza, ci si riferisce a riviste scientifiche che abbiano diffusione e rilevanza di sicuro livello internazionale. I requisiti generali non sono individuabili a priori; la Commissione di esperti saprà fare, comunque le proprie adeguate valutazioni”;

- Rilevando che i bandi ERC cui si fa riferimento prevedono la presenza nel curriculum dei proponenti anche di “peer-reviewed conferences proceedings and/or Monographs” (ERC-2011-ADG_20110406 Work programme, punto 3.5, 1 (c), p. 13) che invece non sono menzionati tra i requisiti per l’ammissione a presentare un progetto nell’ambito delle Linee d’intervento 1 e 2 del Bando “Futuro in ricerca” 2010;

fa presente

che l’esclusione di monografie e saggi in volume pregiudica in modo pressoché totale la possibilità di presentare un progetto per coloro che appartengono all’area umanistica, contrariamente a quanto indicato nel Bando, laddove si fa esplicito riferimento, fra le tematiche prioritarie, a interventi rivolti al “patrimonio artistico-culturale”.

chiede

che, anche sulla base dei bandi ERC sopra menzionati, nella valutazione dell’attività scientifica dei dottori di ricerca che presentano un progetto nell’ambito delle Linee d’intervento 1 e 2 del Bando “Futuro in ricerca” 2010, siano dunque prese in adeguata considerazione dalla Commissione di esperti anche monografie e saggi in volume, onde evitare un’assurda e ingiustificata penalizzazione dell’intera area umanistica.
(Mozione del CUN, adunanza del 17-12-2010)
 
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