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23 Dicembre
Autonomia-valutazione sia per teaching-oriented sia per research-oriented universities PDF Stampa E-mail
Si dovrebbe impostare la riforma del sistema universitario (ma anche di quello scolastico) in modo radicalmente diverso da quello che tutti i progetti, incluso quello Gelmini, propongono. Ossia una riforma basata sul binomio “autonomia-valutazione”, che lasci liberi gli atenei di organizzarsi liberamente come meglio preferiscono soprattutto nella gestione delle risorse umane e dell’offerta formativa, salvo erogare loro i fondi solo sulla base del raggiungimento di risultati soddisfacenti nella ricerca e nella didattica. Una riforma che lasci libero l’ateneo A di spendere tutto il suo monte salari per pochi ottimi ricercatori che insegnino a pochi ottimi studenti, e all’ateneo B invece di assumere molti docenti meno interessati alla ricerca di frontiera e pronti ad accettare carichi didattici maggiori per studenti che non siano interessati ad avere e a dare il massimo. Stesso budget, magari, ma scelte diverse tutte potenzialmente desiderabili purché diano, ciascuna nel proprio campo, buoni risultati. Senza questi margini di flessibilità, gli atenei diventeranno dei falansteri pieni di insegnanti dequalificati e sottopagati e di studenti in parcheggio privi della speranza di trovare lavoro.
(P. Ichino, Il Sole 24 Ore 12-12-2010)
 
Il ranking di Campus premia l’Alma Mater. La classificazione delle altre PDF Stampa E-mail

Il Super Ranking di Campus, cui il mensile omonimo dedica la copertina, incorona il più antico ateneo del mondo, Bologna, e relega al 75° posto l'università di più recente istituzione, Enna.

"E' un bel riconoscimento e una gratificazione per tutta la comunità universitaria, studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo – ha commentato il rettore Ivano Dionigi – Ed è anche un bel regalo alla città di Bologna".

Nelle piazze d'onore, al secondo e terzo posto, altre due istituzioni plurisecolari: La Sapienza di Roma e Padova. Campus mette insieme le principali graduatorie italiane e quelle straniere che censiscano atenei del Bel Paese. Si tratta di quella prodotta, sempre da Campus, nella Guida all'Università, quella del Censis-Repubblica e, da quest'anno, quella di Vision, il think-tank di ricercatori italiani all'Estero che ha messo a punto, nei mesi scorsi, un ranking molto citato. Assente la consueta graduatoria del Sole-24 Ore, molto attenta alla regolarità contabile degli atenei, che quest'anno però il quotidiano confindustriale non ha prodotto. Alle tre classifiche italiane, la redazione di Campus ha aggiunto l'Academic ranking of World Universities prodotto a Shanghai, il ranking delle eccellenze del quotidiano tedesco Die Zeit e del centro di ricerche Che; il ranking del Centre for Science and Technology Studies dell'università olandese di Leida; la classifica dell'Higher Education Evaluation and Accreditation Council di Taiwan; quella del politecnico francese Mines Paris Tech e la Webometrics, prodotta dal Consiglio superiore delle ricerche scientifiche spagnolo. Per il mondo britannico ci sono i punteggi e le posizioni della classifica della QS-Quacquarelli Symonds. Manca il famoso ranking del Times Higher Education, ma unicamente perché non c'è nessuna italiana nell'ultima, rinnovata edizione, fatta con nuovi criteri.

Campus ha riportato su una stessa scala tutti i punteggi, normalizzandoli, come dicono gli statistici, per vedere cioè di quanto ciascun voto si discostasse dalla media della rispettiva graduatoria, e fatto una media. Alla fine ha poi dato un punteggio, assegnando 1000 alla media più alta.

Per praticità di lettura, nella TABELLA, i valori espressi dalle graduatorie straniere sono stati raggruppati in un unico dato numerico. Tornando alla graduatoria, a completare il buon risultato degli atenei «storici» figura Pisa, che coglie il sesto posto alle spalle di Torino (quarta) e Milano (quinta), precedendo la Bocconi e i «cugini» di Firenze. Faticano i politecnici che, al contrario, nelle classifiche parziali di Campus e Censis, sono tra le prime in Italia: quello milanese figura al nono posto, mentre l'omologo torinese si trova solo alla tredicesima piazza.

Penalizzati gli atenei specializzati, come le università economiche quali Bocconi, Luiss e Castellanza, o mediche come il San Raffaele o il Campus biomedico, essendo i ranking in questione tarati maggiormente sulle università generaliste.

Senza contare poi che il Censis non contempla gli atenei privati. Alla fine, però, la Bocconi, resiste al settimo posto, mentre Luiss, l'ateneo di Confindustria, scivola al 27°. Non esaltante neppure un'altra privata (ma generalista) come la Cattolica: solo 18ma. L'ateneo di padre Gemelli è penalizzato dalle classifiche di Shanghai, Taiwan e non brilla nei ranking di Leida e Campus parziale.

E sono, di nuovo, le graduatorie internazionali a penalizzare un gruppo di atenei di media popolazione, vale a dire fra i 10 mila e i 50 mila studenti, in genere premiati dalle classifiche italiane. È il caso di Trento, prima nella sua fascia di popolazione, sia per Campus sia per il Censis, ma solo 22ma nella classifica delle classifiche. L'ateneo trentino, leader lo scorso anno anche nei fondi premiali voluti dal ministro Gelmini, non è classificato da Shanghai e Leida, non ha eccellenze per Die Zeit e sta piuttosto in basso, dalla 401ma alla 500ma posizione, per gli inglesi di Qs. Per converso, la Federico II, principale e più antico ateneo napoletano, solitamente bistrattato dalle graduatorie italiane, sia Campus sia Censis lo collocano agli ultimi posti fra i mega-atenei, risale parecchie posizioni, fino alla 17ma, grazie alla presenza nelle classifiche straniere.

Nella fascia dalla 301ma alla 400ma per Shanghai, l'università federiciana ha 12 eccellenze per Die Zeit, un piazzamento medio, 155, per gli olandesi di Leida e classificazioni medio-alte per QS e gli spagnoli di Webmetrics che utilizzano le citazioni scientifiche e i link sul web, su un modello simile a quello di Google Scholar. Napoli, insomma, risorge all'Estero. Ma forse, anche in questo caso, la storia, 786 anni, ha contato.
(G. Cerri, ItaliaOggi 15-12-2010)

 

TABELLA. Le prime venti università italiane nella classificazione di Campus.
 
Due semplici proposte che chiedono più selezione e meritocrazia PDF Stampa E-mail

A volte, sembra che le contestazioni siano incentrate solo su un problema di scarsità dei fondi (come se dare più soldi a quest’università, senza cambiare radicalmente il sistema d’incentivi di chi ci lavora, non finirebbe per aggravarne i problemi). Altre volte si sentono tacciare qualsiasi obiettivo di valutazione e selezione tra atenei e dipartimenti come fonte d’ingiustizie e squilibri tra discipline e territori. Anche il tema della “precarizzazione” dei giovani ricercatori rimanda all’idea che si potrebbe risolvere tutto con più soldi e con la stabilizzazione di chi già lavora nell’università (negando che tra i precari alcuni hanno semplicemente sbagliato mestiere).

Contestazioni del genere rischiano di perpetuare un’università che produce bassi standard di qualità e profonde disuguaglianze (tra chi può o non può permettersi di comprare altrove un’istruzione di qualità; tra chi ha o non ha bisogno di un’istruzione di qualità per fare strada, perché tanto dispone di altre risorse familiari o amicali che lo sorreggono). Cosa si può fare (di più)?

1. Ben venga l’introduzione di un sistema di valutazione della qualità del reclutamento dei docenti e della loro attività di ricerca (art. 5, comma 1.c). Ma non si capisce il senso di porre un limite massimo a questo criterio, stabilendo che una “quota non superiore al 10 per cento del fondo di funzionamento ordinario” sarà allocata sulla base della valutazione (art. 5, comma 5). Il massimo dovrebbe essere trasformato in un minimo: almeno il 10 per cento delle risorse (meglio se il 20) dovrebbero rispondere a una seria valutazione della produttività scientifica (ovviamente, introducendo risorse e incentivi che consentano all’Anvur di realizzarla).

2. Ben venga un criterio di accesso alla carriera universitaria che non preveda la figura dei ricercatori a vita, ma stabilisca un percorso verso la stabilizzazione (tenure-track) che passi per una rigorosa valutazione della produttività scientifica (art. 21). Ma se si chiede ai ricercatori di scommettere sulle proprie capacità, lo scambio deve essere equo. Stipendio, strumenti di ricerca e sicurezza del contratto da professore di seconda fascia nel caso si superino i requisiti di produttività al termine del contratto a tempo determinato (stanziando fin dall’inizio i fondi necessari per la conversione) devono essere all’altezza del rischio che si chiede ai giovani di affrontare.

Ecco due semplici proposte che chiedono più selezione e meritocrazia, ma si dovrebbe discutere anche di abolizione del valore legale del titolo di studio, e di liberalizzazione delle rette accompagnata da un piano Marshall di borse di studio per merito e bisogno, senza attardarsi su istanze di conservazione dello stato attuale dell’università italiana. (T. Nannicini, Europa 15-12-2010)
 
La migrazione spontanea del corpo docente per creare poli di eccellenza PDF Stampa E-mail

In Italia la mobilità accademica è rara. Giusto per avere un'idea, esaminando i 15.232 concorsi universitari, svolti tra marzo 1999 e luglio 2002, si scopre che di tutti i docenti immessi in ruolo solo 202 non provenivano dalla stessa università. L'azione che auspichiamo è semplicissima: i singoli docenti universitari devono essere i comodatari del proprio budget. Quindi i concorsi a trasferimento diventano a costo zero. In caso di trasferimento di un docente viene contestualmente anche trasferita la risorsa retributiva. Quando un docente si pensiona (o cessa il servizio) il suo budget è assegnato d'ufficio all'ateneo dove in quel momento egli prestava servizio. Tecnicamente basta modificare di poco il punto del DDL oggi in discussione dove si parla di federazione e fusione di atenei e razionalizzazione dell'offerta formativa, autorizzando gli Atenei, soggetti a valutazione positiva da parte dell'Anvur, a coprire posti di ruolo tramite trasferimento di professori e ricercatori da altro Ateneo con contestuale trasferimento della risorsa retributiva.

Naturalmente è necessario che gli Atenei che bandiscono i posti siano incentivati ad aumentare la propria qualità dal punto di vista della didattica e della ricerca. Questo pone un limite al numero dei concorsi a trasferimento e garantisce che l'Ateneo opererà una selezione all'ingresso. Si può anche pensare a un meccanismo che permetta solo trasferimenti vincolati su base di progetti di alto livello scientifico confermati dalle valutazioni Anvur. Facciamo presente che nel collegato alla Finanziaria 2010 l'articolo 12 già prevede: “in caso di trasferimento di un docente dalla Scuola Superiore di Economia e Finanze a Università Statale viene anche trasferita la risorsa retributiva”.

Non bisogna nascondere che questa norma possa essere anche fastidiosa. Gli equilibri di potere nelle università potrebbero diventare più mutevoli e sappiamo che questo è un problema per chi vive nei corridoi dei rettorati o per chi vuole sistemare dei protetti. Per questo motivo la nostra proposta, avanzata già in altre sedi di discussione tra docenti universitari, ha sollevato molte reazioni negative. Purtroppo il nostro sistema universitario ha paura di qualunque cambiamento. Paura che i trasferimenti alterino gli equilibri di potere. Paura che arrivi uno bravo sul serio a perturbare la quiete del fannullone. Paura che l'ateneo marginale scompaia nel nulla. Paura che l'Università in Italia diventi una cosa seria.
(G. Saccomandi e R. Vitolo, Lavoce.info 25-11-2010)
 
ISTAT: nel 2008 239000 ricercatori in Italia, +14,7% rispetto al 2007 PDF Stampa E-mail

“Nel 2008 la consistenza del personale impegnato in attività di Ricerca e Sviluppo (espressa in unità equivalenti a tempo pieno) è pari a 239.015 unità, con un incremento, rispetto al 2007, del 14,7 per cento. In particolare, il numero di ricercatori presenta un aumento del 4,0 per cento. L’incremento del personale è notevolmente superiore a quello realizzato in termini di spesa. Sono principalmente le università, e in misura minore le imprese, a determinare tale crescita, con incrementi rispettivamente del 22,0 e del 13,7 per cento. Seppur in misura più contenuta, l’occupazione legata alla R&S aumenta anche nelle istituzioni pubbliche (+5,6%), mentre cala nelle istituzioni private non profit (-2,0 per cento). Il settore con il maggior numero di addetti dedicati alla R&S (sempre espressi in unità equivalenti a tempo pieno) è quello delle imprese, che occupano 106.643,4 unità, pari al 44,6 per cento del personale totale impegnato in R&S. Seguono le università, con 86.978,5 unità, corrispondenti al 36,4 per cento delle unità totali, le istituzioni pubbliche, con 37.471 unità (15,7 per cento delle unità totali) e le istituzioni private non profit (7.922 unità, pari al 3,3 per cento). In linea con l’incremento complessivo del personale impiegato dalle imprese, le variazioni concernenti le diverse figure professionali sono pari all’11,1 per cento nel caso dei ricercatori, al 15,6 per cento nel caso dei tecnici e al 14,0 per cento per l’altro personale. Come si è rilevato anche per il 2007, l’emersione di una parte dell’attività R&S, anche in settori tradizionali o, comunque, tradizionalmente a bassa intensità di R&S, ha portato ad un significativo incremento delle figure “tecniche” impegnate nei processi di R&S. Si deve tuttavia ricordare che, per poter identificare un’impresa impegnata in R&S, anche per le imprese di minore dimensione l’Istat fa riferimento al criterio della presenza di almeno un ricercatore.

 

TABELLA. Spesa per ricerca e sviluppo intra muros per settore istituzionale. Anni 2006-2007. Fonte ISTAT. La ricerca e sviluppo in Italia – dicembre 2009


 
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