Home 2010 04 Dicembre
04 Dicembre
Per risollevare gli atenei non occorrono soldi a pioggia PDF Stampa E-mail

L'ultima smentita del mantra "più soldi uguale più qualità" arriva da un rapporto pubblicato da McKinsey, colosso americano della consulenza. L'analisi, basata sugli indici PISA (Programme for International Student Assessment) con i quali l'Ocse valuta l'apprendimento degli studenti, esamina 20 Stati con diversi sistemi scolastici (debole, buono, ottimo, eccellente) accomunati però da un costante miglioramento. L'analisi dimostra, attraverso una correlazione tra valore dell'indice PISA e spesa per studente in migliaia di dollari, che è possibile migliorare il sistema scolastico non tanto con continue iniezioni di liquidità, ma attraverso una serie di riforme mirate. Lo dimostra il fatto che tra il 2000 e il 2007 gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno aumentato i finanziamenti alle scuole superiori rispettivamente del 21 e del 37 per cento, eppure entrambi hanno visto peggiorare la capacità d'apprendimento dei propri alunni. Il nostro Paese spende tra i 7 mila e gli 8 mila dollari per studente, classificandosi, secondo l'indice PISA, come un buon sistema scolastico. A parità di spesa però, lo stato canadese dell'Ontario e l'Olanda ottengono performance migliori, e con la medesima cifra la Finlandia ha raggiunto l'eccellenza mondiale. Discorso analogo si può fare per l'università. Come ha spiegato Andrea Graziosi in un libro pubblicato dal Mulino ("L'università per tutti"), "una laurea italiana costa alle famiglie quasi la metà di quella garantita da Harvard, e più di quella assicurata da altre ottime università americane". Per questo, nonostante Graziosi non critichi la riforma in discussione, "il primo obiettivo dovrebbe essere quello di migliorare l'uso delle risorse già oggi disponibili, tanto di quelle dello stato quanto di quelle delle famiglie". "Spendere di più senza cambiare le regole, anzi gli incentivi, non avrebbe senso", dice al Foglio Roberto Perotti, docente all'Università Bocconi. Qual’è dunque la direzione da prendere? "Non si tratta di aumentare i fondi, ma di imitare il sistema inglese, con `review' triennali e indipendenti sulle spese dei singoli dipartimenti - spiega l'economista - Solo alla luce dei risultati, poi, si assegnano o si tolgono le risorse". Su questo fronte la riforma Gelmini, sostiene Perotti, è troppo timida. (Il Foglio 01-12-2010)

 
Manca ancora una valutazione inflessibile PDF Stampa E-mail
Una legge, specie se ha l'ambizione di riordinare e innovare un settore istituzionale complesso come l'istruzione universitaria, può facilmente diventare un mostro normativo: il disegno di legge si compone di 25 articoli, quasi tutti a loro volta composti di molti commi e ogni comma è una norma, un comando. Molti di questi articoli contengono poi deleghe al governo, deleghe a emanare altre norme. E contengono rinvii agli statuti delle singole università, ancora norme. Migliaia di norme: chi ha fatto i calcoli ne ha contate 500 nel DDL, che poi richiederanno 35 decreti del governo e circa mille regolamenti degli atenei. E ogni norma esige interpretazioni e può provocare dissensi e conflitti. Poteva il mostro essere di dimensioni più ridotte? Sì, poteva. Ma richiedeva una scelta rischiosa: poche linee d'indirizzo e una griglia di criteri di performance, di rendimento, di cui il ministero sarebbe stato il guardiano, e poi libera scelta dei singoli atenei: gli atenei, e i dipartimenti all'interno di essi, che non avessero seguito quelle linee e non avessero soddisfatto quei criteri (finanziari, scientifici, didattici) sarebbero stati penalizzati. Avrebbero ottenuto minori risorse, sarebbero stati commissariati o eliminati. Naturalmente il ministero doveva dotarsi di un apparato valutativo molto ampio, competente e serio: in sostanza sarebbe dovuto diventare una macchina di valutazione, grande, affidabile e inflessibile. (M. Salvati, Corsera 01-12-2010)
 
Fondi per assumere nuovi professori associati PDF Stampa E-mail
Via libera della Camera all'emendamento della commissione alla riforma dell'università che prevede che delle "risorse previste dalla legge di stabilità per il finanziamento del fondo ordinario delle università, è riservata una quota non superiore a 13 milioni di euro per il 2011, 93 milioni di euro per il 2012 e 173 milioni di euro annui a decorrere dal 2013" per l'assunzione di professori associati. Ma per l'opposizione finché il DDL di stabilità (ex Finanziaria) non è approvato, le risorse non sono certe. "Nella legge il contingente di 1.500 associati non è specificato, lo ha ipotizzato il ministro ma qui non è specificato". Per l'Udc "non c'è copertura. Si dice che per il 2011 si stanzia una quota non superiore a 13 milioni - dice Luisa Santolini - il che può voler dire anche zero". Il finiano Della Vedova (l'emendamento è uno di quelli riscritti proprio su richiesta di Fli) ammette che "le risorse ancora non ci sono, ma la Finanziaria sarà varata. Comunque si è trovato un equilibrio. Ci sono soldi che prima non c'erano per finanziare l'assunzione di professori associati". Vannucci (Pd) dice che "quest'emendamento ha destato imbarazzo anche in commissione Bilancio" perché prevede risorse sulla base di una legge che ancora non è stata approvata. Ma il deputato della Lega Giorgetti, presidente della commissione Bilancio, ha sostenuto che "l'emendamento non determina nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica ma fissa limiti e modalità per l'uso di risorse già stanziate in Finanziaria". (AGI Roma 30-11-2010)
 
Il costo della fuga dei cervelli PDF Stampa E-mail
Quasi 4 miliardi di euro è costata all'Italia la fuga dei cervelli all'estero negli ultimi 20 anni. E' quanto emerge da un'indagine dell'Icom, Istituto per la Competitività. Al fine di quantificare la perdita economica derivante dalla presenza di scienziati italiani all'estero, sono stati innanzitutto identificati i primi 20 top scientist italiani all'estero, utilizzando la classificazione operata dall'organizzazione VIA-Academy sulla base di un punteggio scientificamente rigoroso basato su un mix di citazioni e produzione scientifica (Hirsch Index). Inoltre, sono stati considerati i brevetti come la proxy migliore per calcolare in termini quantitativi il valore aggiunto derivante dall'attività' dei 20 scienziati selezionati. Tale misura rappresenta, infatti, non solo un'indicazione dell'esito della produzione scientifica di tali scienziati (già misurata dall'Hirsch Index), ma anche una dimensione del grado di innovazione sia qualitativa sia quantitativa. Per giungere alla stima del valore della perdita per il sistema Paese derivante dalla fuga dei migliori cervelli all'estero, è necessario da un lato conoscere il numero e la distribuzione dei brevetti tra i 20 top scientist italiani all'estero, dall'altro calcolare il valore dei singoli brevetti. Qualora si prendano in considerazione i soli brevetti di cui i top 20 scientist italiani all'estero, si legge nella ricerca, risultano i principali autori (155), si giunge a una stima del valore attuale dell'attività' brevettuale diretta dei top 20 scientist italiani all'estero pari a 861 milioni di euro. Simulando l'andamento dei flussi di cassa su di un orizzonte temporale di 20 anni, il valore cumulato si attesta sui 2 miliardi di euro. Effettuando le stime sul totale dei brevetti presentati dai top 20 studiosi italiani all'estero considerati nell'analisi (senza discriminare tra quelli con authorship principale e non), il valore attuale dei 301 Pct (numero di domande internazionali presentate) totalizzati risulta pari a circa 1.7 miliardi di euro mentre, simulando l'andamento dei flussi di cassa su di un orizzonte temporale di 20 anni, il dato cumulato si attesta su circa 3.9 miliardi di euro. (ASCA Roma 30-11-2010)
 
Il FFO 2010 ancora non arriva PDF Stampa E-mail
Il ministro Gelmini non ha ancora emesso il decreto di ripartizione del cosiddetto "Fondo di finanziamento ordinario", ossia il finanziamento statale alle università italiane pubbliche, per l'anno 2010. Significa che molte università devono fare il bilancio preventivo 2011 senza poter sapere neppure quanto hanno ricevuto dallo stato in questo esercizio, che va chiuso entro il 31 dicembre. I rettori non sono arrabbiati, ormai sono increduli. E qual’è la cosa sorprendente? Che, pur con notevole ritardo, è stato invece firmato e pubblicato il decreto con i «Criteri per la ripartizione delle risorse destinate alle università non statali», n. 426 del 16 settembre 2010. (F. Mainardi, lettera al Sole 24 Ore 30/11/2010)
 
« InizioPrec.12345Succ.Fine »

Pagina 3 di 5