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01 Settembre
Il cda del CNR approva il nuovo statuto PDF Stampa E-mail

Deliberato il nuovo statuto del CNR, nei termini e secondo quanto previsto dal decreto legislativo di riordino degli Enti pubblici di ricerca n. 213/2009.  Il Consiglio di Amministrazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche - integrato dai cinque esperti appositamente nominati dal Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Mariastella Gelmini - ha deliberato oggi il nuovo statuto dell'Ente, nei termini e secondo quanto previsto dal decreto legislativo di riordino degli Enti pubblici di ricerca n. 213/2009, in attuazione dell'articolo 1 della legge 27 settembre 2007, n. 165.  Ai sensi dello stesso decreto - art. 7 - lo statuto deliberato passa ora all'esame del MIUR. Anche i successivi regolamenti di amministrazione, finanza e contabilità dovranno, ex art. 7, essere deliberati dal Cda del CNR e sottoposti al controllo di legittimità e merito delle autorità governative. Alla votazione del nuovo statuto del CNR hanno partecipato i seguenti componenti del CdA allargato: il Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche Luciano Maiani; il Vicepresidente Roberto de Mattei; i consiglieri Luigi Rossi Bernardi, Andrea di Porto, Marcello Fontanesi, Gianpiero Maracchi e Lucio Pinto; gli esperti Fabio Beltram, Claudio Bordignon, Stanislao Chimenti, Marco Ugo Filisetti e Cesare San Mauro.

Il testo approvato sarà disponibile sul sito del CNR all'indirizzo www.cnr.it

http://www.cnr.it/documenti/statuto9agosto.pdf (Roma, 09-08-2010)
 
Il nuovo statuto del CNR contestato dai ricercatori PDF Stampa E-mail
Dopo anni di apprendistato e contributi di sapere dati al principale organismo di ricerca pubblico nazionale e al Paese, una moltitudine di figure professionali che ruota intorno alla scienza italiana si ritrova alla porta senza alcuna possibilità di un contratto a tempo indeterminato. Il contestatissimo articolo 4 del nuovo statuto prevede che i vari contratti non standard (leggi precari) non possano superare in nessun caso i 10 anni nelle loro svariate forme: assegno di ricerca, borsa di studio, co.co.co. «Dopo sei fuori dall'ente, anche se sei un ricercatore valido e non di rado eccellente», spiega Mariangela Spera, ricercatrice precaria all'Istc (Scienze e tecnologie della cognizione). E dire che dopo le proteste delle settimane scorse di ricercatori e sindacati, la norma è stata modificata e gli anni di precariato sono passati da 6 a 10. Altro cambiamento ottenuto con la mobilitazione, il conteggio del precariato entrerà in vigore con lo statuto, dunque non sarà retroattivo. Per Marinella Vicaretti, 36 anni, tecnologa al ministero dell'Ambiente, non è una vittoria: «Mi occupo di inquinamento atmosferico e sono precaria dal 2002, ora so che avrò altri 10 anni di precariato davanti e senza uno sbocco, mi dite che logica ha stare parcheggiati 20 anni in un ente?». «Noi – continua Vicaretti – avevamo chiesto lo stralcio di queste norme. Dunque no, non siamo soddisfatti». «Una cosa - aggiunge Spera - sarebbe stata progettare un limite alla precarietà in virtù di concorsi per il tempo indeterminato da fare in futuro, e una cosa è limitare la vita delle persone e dello stesso Cnr che con il continuo turn over vedrà sicuramente diminuire la qualità della ricerca». Molto discussa è anche la norma che mette un rigido e invalicabile tetto di spesa per il personale. «Vogliono ridurre la pianta organica - dice ancora Spera - ma c'è a monte un progetto di svilimento della ricerca. Noi campiamo soprattutto sui progetti europei, siamo noi ricercatori a procacciare risorse al CNR D'ora in poi avendo meno persone e meno formate si vinceranno meno progetti europei e quindi arriveranno meno soldi nelle casse del Consiglio. E vogliono vendere questo statuto come un risparmio di risorse... Ci domandiamo come mai sia stato votato quasi dall'unanimità, persino dal presidente, quando è evidente che queste norme mortificano lo spirito e la natura dell'ente». (L. Cimino, Roma 18-08-2010)
 
Unione Europea: la commissione chiede all’Italia di eliminare le discriminazioni nell’accesso agli alloggi per studenti PDF Stampa E-mail

La Commissione europea ha avviato un procedimento d'infrazione delle norme comunitarie contro l'Italia per la violazione dell'articolo 39 del Trattato che istituisce la Comunità Europea. La Commissione ha chiesto all'Italia, mediante un parere motivato, di eliminare le condizioni discriminatorie dai bandi previsti per il conferimento agli studenti universitari di appartamenti di affitto agevolato a Milano. Il tutto è nato dalla pubblicazione, da parte della provincia di Sondrio, dei bandi di concorso per il conferimento di alloggi a Milano per studenti universitari della provincia. Questi bandi riguardavano l'accesso degli studenti ad appartamenti ad affitto agevolato di proprietà della provincia di Sondrio e siti a Milano, la città più vicina che offre corsi di laurea. Uno dei requisiti della partecipazione al bando era la residenza in Italia, e in particolare nella provincia di Sondrio, da almeno cinque anni.
Secondo la Commissione, questa disposizione mette gli studenti stranieri in una chiara posizione di svantaggio e costituisce una discriminazione indiretta nei confronti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie. Inoltre, la disposizione in questione viola l'art. 39 del TCE (Trattato che istituisce la Comunità europea) il quale stabilisce che "la libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità è assicurata. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro". La legislazione europea garantisce ai lavoratori migranti e alle loro famiglie gli stessi vantaggi sociali dei cittadini del paese ospitante. Il requisito della residenza è vietato dalla legislazione europea perché, di fatto, costituisce una discriminazione indiretta, in quanto diminuisce le possibilità per gli studenti delle famiglie dei lavoratori migranti di vincere il bando, essendo i non residenti, nella maggior parte dei casi, stranieri.
L'Italia dovrà rispondere al parere motivato entro due mesi. In caso di mancata risposta la Commissione potrà decidere di adire la Corte di giustizia dell'Unione europea. (D. Gentilozzi, Universitas 02-07-2010)

 
Undicesima indagine Gidp/Hrda sulle modalità di assunzione dei neolaureati nelle aziende italiane PDF Stampa E-mail

È stata presentata il 21 luglio a Milano l'undicesima indagine della Gidp/Hrda, il Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale all'interno dell'Associazione dei responsabili delle risorse umane, dal titolo "Neolaureati e stage 2010".
L'indagine, che ha visto la partecipazione di circa 120 direttori del personale delle imprese presenti sul nostro territorio, espone i dati per la prima metà del 2010 sulle modalità di assunzione di coloro che, appena usciti dal mondo universitario, si affacciano sul mercato del lavoro.L'indagine si sofferma sulla tipologia contrattuale dei neolaureati: il 40% di essi svolge un tirocinio minimo di sei mesi, il 20% è assunto con contratto a tempo determinato, il 21% è assunto con altra tipologia (apprendistato professionalizzante, contratto d’inserimento e contratto a tempo indeterminato). In particolare negli ultimi sei anni si nota una flessione nella percentuale di neolaureati assunti a tempo indeterminato: si è passati dal 20% del 2004 al 7% del 2009, per arrivare al 5,5% del 2010.
I titoli di studio maggiormente preferiti dalle imprese sono le lauree in Ingegneria (27,7%), Economia (24,6%), Informatica (8%) e Giurisprudenza (5,5%). Tra le lauree in Ingegneria, le specializzazioni più richieste sono: gestionale (28,7%), meccanica (21,2%) e informatica (11,2%). Tra le lauree umanistiche la percentuale più alta spetta a Scienze della comunicazione (2%). Bassa la percentuale anche per Farmacia, Fisica e Scienze bancarie (tutte sotto il 2%).Secondo l'indagine, sono tre le caratteristiche che un neolaureato deve avere per farsi assumere: la conoscenza di almeno una lingua straniera (22,5%), la motivazione personale (19,4%) e la disponibilità alla mobilità territoriale per motivi di lavoro (10,8%). Avere svolto un master può essere decisivo per l'8% degli intervistati, così come aver svolto un periodo di studi all'estero tramite il programma Erasmus (4,7%). Il conseguimento della laurea nei tempi previsti, pur essendo requisito meno importante, vale molto di più del voto ottenuto o del prestigio dell'ateneo in cui si è laureati. Tra le lingue di cui è maggiormente apprezzata la conoscenza, ci sono l'inglese (65%), il francese (17%) e il tedesco (12,5%).
Per assumere personale, le imprese utilizzano internet come canale principale (41%). Di questa percentuale, il 15,6% sono candidature spontanee, il 14,1% sono curriculum lasciati nel sito delle singole aziende e l'11,6% sono curriculum lasciati nei siti specializzati per la domanda e offerta di lavoro (Monster, Infojobs e Jobrapido su tutti). Altro canale di ricerca del personale sono gli uffici di placement delle università, ovvero le strutture universitarie di collocamento per ex studenti (23,6%).
L'indagine si sofferma molto sul ruolo chiave svolto dallo stage nell'assunzione del personale. Il percorso quasi "obbligatorio" sta diventando l'assunzione tramite stage e, al termine di questo, l'assunzione nella maggior parte dei casi con contratto a tempo determinato. La durata dello stage oscilla tra i sei e i dodici mesi. La retribuzione degli stagisti arriva fino a 500 euro nel 34% dei casi e da 500 a 1000 euro per il 48%. Negli ultimi dodici mesi il 38% del campione intervistato ha assunto il 50% dei neolaureati in stage, ma nei prossimi sei mesi il 30% del campione prevede di assumere uno stagista su due. L'indagine propone con questi dati un intervento normativo che disciplini lo stage aziendale in quanto a modalità di svolgimento e retribuzioni (clicca qui per accedere al sito La Repubblica degli Stagisti). (Danilo Gentilozzi, Universitas 04-08-2010)

 
Università e occupazione: statistiche e dati nel rapporto Svimez 2010 PDF Stampa E-mail

Il Rapporto 2010 della Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno), presentato a Roma il 20 luglio, conferma che i giovani pagano un prezzo alto in termini di occupazione nei periodi di crisi, specie nelle regioni meridionali, che fanno guadagnare al nostro paese «il non invidiabile primato del tasso di disoccupazione giovanile in Europa». La laurea paga, ma in ritardo. Nel 2009 il tasso di occupazione dei laureati in età 25-34 anni si è fermato al 53% rispetto al 75% del Centro-Nord. Solo dopo i 40 anni il tasso occupazionale di chi ha completato gli studi al massimo livello si allinea con il resto del paese: 90,3% al Sud, 92% al Centro-Nord.
Eppure, per quanto concerne il sistema universitario, emergono segnali contrastanti. La partecipazione universitaria è aumentata nel suo insieme (il tasso d’iscrizione è passato da circa il 33% del 2001 a quasi il 40% nel 2008, con il Mezzogiorno su livelli addirittura più elevati del Centro-Nord - 43,3% rispetto al 36,5%), ma il tasso di passaggio all'università è tornato nel 2008-09 ai livelli d’inizio 2000 (62,4% nel Sud e 63,4% nel Centro-Nord) perdendo una decina di punti percentuali. L'incremento degli abbandoni e il calo delle iscrizioni all'università paiono evidenziare un rapporto diverso tra l'istruzione, specialmente quella universitaria, e il sistema economico. Mentre in un recente passato la convinzione della spendibilità del titolo di studio e la legittima aspettativa di retribuzioni migliori avevano favorito l'espansione delle iscrizioni, affiorano ora segnali di scoraggiamento tra i giovani che contribuiscono a "ingessare" il sistema economico e sociale meridionale.
Anche nel settore Ricerca&Sviluppo (Pil, occupati, brevetti) la situazione non è delle migliori: in base agli ultimi dati disponibili (2007) il Sud spende solo lo 0,87% rispetto all'1,28% del Centro-Nord, comunque distanti dal parametro del 3%, fissato nella Strategia di Lisbona per il 2010.
Indubbiamente l'Italia continua a presentarsi "come un Paese spaccato in due sul fronte migratorio, con un Sud, che espelle giovani, anche con trasferimenti temporanei, i cosiddetti pendolari di lungo raggio, che fisicamente lavorano e vivono per buona parte della settimana al Centro Nord, ma che mantengono casa e famiglia al Sud".
Una possibile soluzione per uscire da questa situazione la suggerisce il Rapporto laddove avanza la proposta di un "progetto Paese", in grado di valorizzare le aree deboli con politiche nazionali più efficienti e politiche specifiche riformate, capace di passare attraverso il concetto di Mezzogiorno come "frontiera" verso il Mediterraneo e le nuove opportunità di sviluppo, che vengono soprattutto dai settori innovativi. (Universitas 22-08-2010)

 
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