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20 Luglio
Perplessità sui ricorsi dei docenti a contratto PDF Stampa E-mail
Il Codacons invita i docenti a contratto a ricorrere al TAR per il riconoscimento di «una giusta retribuzione e del trattamento previdenziale e assistenziale, oltre al pagamento delle differenze retributive già maturate», come ha dichiarato il suo presidente Carlo Rienzi. La notizia sarebbe una vera bomba, se non fosse che ancora una volta il tentativo di costruire una dimensione collettiva di rivendicazione si infrange sulla strutturale frammentarietà dell’universo dei contratti universitari. E non potrebbe essere altrimenti. A ciascuno il suo: visto il contratto, fai il ricorso. Si legge, infatti, su «La Repubblica» del 13.06.2010 che la strategia processuale proposta dal Codacons si articola in due fasi: la prima “a carico individuale” del docente e la seconda “collettiva e nazionale”. Insomma si tratterebbe di una class action senza la class, almeno nella prima fase. Oppure di una azione collettiva prioritariamente individuale? Seppure apprezzabile nell’esito mediatico – riportare ancora una volta alla ribalta lo sproposito del ricorso ai contratti di insegnamento per tappare i buchi dell’offerta didattica negli atenei -  la proposta del Codacons suscita numerose perplessità proprio perché, delegando al singolo l’avvio dell’azione legale, non affronta il nodo principale della questione dei docenti universitari precari: come rappresentare gli interessi di una categoria. (http://frondaprecaria.wordpress.com/2010/06/15/corsi-e-ricorsi-liniziativa-del-codacons-per-i-docenti-a-contratto/)
 
Dialogo tra un informatico e uno storico sulla valutazione della ricerca PDF Stampa E-mail
Nell’ultimo decennio il mondo dell’università e della ricerca è stato scosso da un moto tellurico che si va facendo sempre più forte. La forza che lo spinge è il principio della “valutazione della ricerca”, in base al quale è opportuno che le risorse per la scienza e la cultura siano assegnate secondo aperti e condivisi metodi di valutazione dei risultati scientifici. Tale principio, in sé quasi banale, entra tuttavia in crisi nel momento in cui dal piano delle affermazioni generali si scende ad individuare quali debbano essere nella pratica i metodi di valutazione. Se per un certo numero di aree scientifiche è disponibile a tale scopo una scienza nuova, la bibliometria, le discipline umanistiche stentano invece ad inventarsi strumenti diversi dal giudizio di merito espresso da studiosi di riconosciuta competenza (peer review). La questione non è risolvibile, come parrebbe a molti, lasciando che ogni settore si regoli come gli pare. Un intervento di Massimo Franceschet uscito qualche mese fa sul sito lavoce.info, e intitolato Istruzioni per l’uso della bibliometria ha dimostrato l’esigenza di entrare nel merito delle caratteristiche dei due metodi. Ne è nata l’idea di far dialogare a riguardo due specialisti della materia di estrazione opposta: un informatico come Massimo Franceschet (Univ. di Udine), e uno storico della cultura come Guido Abbattista (Univ. di Trieste). Il dialogo integrale su http://www.cromohs.unifi.it/15_2010/zannini_bibliomet.html
 
Bologna, una delle capitali italiane della innovazione PDF Stampa E-mail
Nel solo 2009 a Bologna sono stati depositati oltre mille brevetti, il 7,6% del totale italiano. Ancora più significativo è il fatto che nel capoluogo emiliano vi sono 9,5 depositi di brevetti per mille imprese attive, un dato cinque volte superiore alla media nazionale. Il dinamismo del territorio è confermato dal numero di spin-off frutto dei programmi regionali (il 51% del totale Emiliano-romagnolo) e dalla partecipazione delle imprese ai bandi per l'innovazione. La rete bolognese ha diversi protagonisti: l'Università, con 71 dipartimenti e 20 centri interdipartimentali di ricerca ed eccellenze nel campo della meccanica, dell'ingegneria e delle scienze delle costruzioni, di chimica e fisica; il Cnr, specializzato soprattutto su ambiente e nanotecnologie; l'Enea. In questi tre enti operano oltre 2.200 ricercatori. Sempre più stretto poi il rapporto tra le imprese e la Fondazione dell'ateneo bolognese, l'Alma Mater, che collaborano in T3Lab, un laboratorio di ricerca consortile. «Qui i ricercatori dell'Università e i loro tutor sviluppano progetti trasversali definiti con le aziende e forniscono risposte a richieste più specifiche». Inoltre, nel 2007 Unindustria e Università hanno stipulato un accordo per la creazione di una task force in vista dell'avvio del VII programma quadro europeo, allo scopo di catalizzare il maggior numero di risorse. «Con il VI programma quadro - spiega il direttore dell'area ricerca dell'Università, Bruno Quarta - avevamo ottenuto contributi per circa 24 milioni; oggi siamo a quota 35 milioni. E siamo solo al terzo anno. Inoltre, abbiamo una percentuale di successo tra progetti presentati e approvati che è doppia rispetto alla media europea. Abbiamo anche valorizzato i nostri 76 brevetti, migliorando la negoziazione degli accordi per le licenze e ottenendo una maggiore redditività». (Il Sole 24 Ore 28-06-2010. Testo integrale su  http://rassegnastampa.crui.it/minirass/esr_visualizza.asp?chkIm=3)
 
Università e cyberspazio. Le istituzioni della conoscenza per l'era della connessione digitale PDF Stampa E-mail

Joi Ito, 44 anni, giapponese, ha abbandonato gli studi all'università negli Usa («studiare informatica tra i banchi di scuola agli albori del Web era stupido») dopo aver incontrato il fondatore di eBay per mettersi in proprio come imprenditore, venture capitalist e attivista-guru di Internet. Ed è in qualità di non-laureato che è venuto a parlare ieri al Politecnico di Torino alla seconda giornata della Conferenza «Università e Cyberspazio, ridefinire le istituzioni della conoscenza per l'era della connessione digitale» del progetto Communia 2010. Lo incontriamo prima del suo intervento. «Credo che debba esserci spazio nell'università per tutti gli attori della società civile interessati all'apprendimento, non solo per gli iscritti, e penso che grazie a Internet questo sia possibile» sostiene Ito. Presidente di Creative Commons, la struttura inventata negli Usa per permettere grazie a copyright flessibili la ripubblicazione di contenuti editoriali online, è stato anche consigliere di amministrazione dell'Icann, l'ente non profit per l'assegnazione degli indirizzi sulla Rete: per questo ha una conoscenza di Internet sia tecnica che culturale. Ma la sfida che lo intriga di più riguarda i nuovi modelli di business che i produttori di cultura devono abbracciare per sopravvivere. «Gli atenei dovrebbero aprirsi anche ai non iscritti e grazie alla Rete questo è possibile» nella nuova era digitale. «Internet è cresciuta e diventata la realtà gigantesca di cui non si può più fare a meno che è oggi, grazie al fatto che chiunque può partecipare al suo sviluppo senza chiedere il permesso, a costi bassissimi. Se si applica questo modello all'università, è subito chiaro che il vecchio sistema di pubblicare libri da distribuire su carta e di insegnare in un luogo fisico costa troppo e sarà presto superato», spiega Ito. «Non bisogna ripetere l'errore commesso dall'industria della musica, che ha fatto la guerra ai suoi fans su Internet, dando così il controllo dei contenuti musicali online ad aziende tecnologiche come l’Apple di Steve Jobs, che si è inventata il sistema iTunes, l'iPhone e l'iPad. Quando gli editori si accorgeranno che per farsi pagare i loro contenuti digitali si sono legati mani e piedi a Jobs, che decide quali contenuti possono essere pubblicati e come, forse incominceranno a ribellarsi e a inventare soluzioni nuove aperte: ma nel frattempo la transizione sarà dolorosa». Quanto tempo ci vorrà? «Se guardo a quante cose sono cambiate con Internet in dieci anni, penso che ce ne vorrà di meno» azzarda Ito. «La conoscenza non ha più bisogno di luoghi fisici come gli atenei, grazie all'e-learning possono partecipare allo studio persone che un tempo non potevano permetterselo. Per esempio in Africa, dove ci sono tantissimi cittadini digitali che studiano su Internet gratis». E poiché grazie al Web è esploso l'apprendimento informale e i nuovi dilettanti della cultura condividono e recensiscono online le tesi di laurea, il modello non gerarchico dell'apprendistato assomiglia all'ambiente open source della comunità di informatici che collabora per sviluppare e migliorare i software. Ma è giusto permettere agli appassionati di conoscenza che pullulano su Internet di accedere alle stesse opportunità degli iscritti alle università? «Bisogna trovare soluzioni ibride, come per esempio un sistema di valutazione per l'apprendimento informale». Secondo Ito, non bisogna più continuare a costringere la gente a chiedere il permesso per poter partecipare alla creazione di conoscenza. E non ha più senso mantenere ancora gli abbonamenti a pubblicazioni costose perché non sono accessibili al largo pubblico, che su Internet ha imparato a pretendere di poter partecipare alla discussione. «Per abbassare i costi si può smettere di stampare su carta e spostare la ricerca di fondi per l'università su altri servizi a valore aggiunto, come i discorsi dei professori ai convegni e le consulenze» sostiene Ito.

Si permette di contraddirlo Juan Carlos De Martin del Centro Nexa, organizzatore della conferenza Communia 2010, che sottolinea il ruolo sociale e civico dell'Università: per poterlo esercitare liberi da un'economia di mercato stretta dalle logiche del profitto, gli atenei devono poter continuare a contare sui finanziamenti pubblici. Gli fa eco Charlie Nesson del Berkman Center di Harvard: «Governi e mondo dell'imprenditoria, guidati da logiche di controllo e di profitto, non sono i migliori interpreti della trasformazione in atto. L'Università, invece, è deputata a supportare questo cambiamento, purché svolga la funzione di garantire la libertà d'accesso alla conoscenza». (A. Masera, La Stampa 30-06-2010)
 
Correzioni al 3+2 e ANVUR attiva a novembre. Intervista al Ministro Gelmini PDF Stampa E-mail
Il ministro Mariastella Gelmini ha annunciato che «si dovranno apporre correttivi al cosiddetto 3+2. Sicuramente ha dato meno risultati di quanto ci si aspettasse». In un settore perennemente sull'orlo della crisi di nervi, dopo anni di riforme e contro-riforme, la Gelmini ha promesso che la nuova revisione degli ordinamenti didattici avverrà «senza stravolgere un sistema che ha già subito tanti scossoni. Non si può continuamente ripartire da zero». Però, «in molti casi alla laurea triennale non sono conseguiti opportunità occupazionali facili e certamente nel tempo bisognerà apporre correttivi». Ha quindi ricordato che «abbiamo cominciato a tagliare i corsi di laurea inutili e gli insegnamenti che non hanno ragion d’essere, che hanno offerto molte cattedre ma non hanno dato risultati agli studenti. Dobbiamo fare in modo che la laurea non sia un pezzo di carta inutile». Ha poi puntato il dito contro alcuni specifici corsi di laurea: «Per molto tempo molte risorse sono state indirizzate nel finanziare corsi di laurea che hanno creato molte illusioni ma poi si sono trasformate in cocenti delusioni». Ed ecco tornare il refrain sulla valutazione dei risultati, ripetuto da anni dai ministri, ma anche dagli stessi atenei, e che ciononostante resta una chimera: per dare maggiore qualità «serve un sistema di valutazione dei risultati. Oggi nel nostro Paese quasi tutto il fondo di finanziamento statale viene distribuito a pioggia in maniera uguale per tutti. Il Governo ha già dato rassicurazioni, in sede di approvazione della manovra in Consiglio dei Ministri, circa il fatto che il fondo di finanziamento statale verrà almeno in parte reintegrato, ma non possiamo più spendere quelle risorse in maniera indistinta. Serve un collegamento e una maggiore trasparenza fra le risorse investite e i risultati ottenuti». Ed ecco la sua promessa: «La mia riforma è un nuovo approccio del sistema universitario con un’Agenzia nazionale di valutazione dell’Università e della Ricerca (Anvur) che è già stata varata e che entrerà in funzione a ottobre-novembre. Grazie a questa agenzia che capitalizza anche il lavoro del Cnvsu e del Civr, noi potremmo andare a misurare i risultati e concentrare le risorse dove queste hanno un impiego e un’utilità». Promette un passaggio «epocale», da sistema di risorse distribuite a pioggia «a un sistema di valutazione, e da una gestione confusa a una gestione che individua responsabilità». A proposito di risorse, ha ammesso che il problema della cronica carenza di investimenti esiste. Per la Gelmini però non è tanto una questione ragionieristica, di quantità di denari, ma di impostazione. «Comunque - ha detto - il governo ha garantito quest’anno 400 milioni di euro e anche per il prossimo anno l’attenzione al sistema universitario ci sarà». (La Stampa 30-06-2010)
 
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