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06 Giugno
Sulla C.D. rottamazione dei professori PDF Stampa E-mail
A proposito di un documento sull'Università votato senza discussione dall’assemblea del Pd, documento proposto da una esponente delle nuove leve, la professoressa Maria Chiara Carrozza, direttrice della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, responsabile del «Forum Università Saperi Ricerca» del Partito che lo aveva già illustrato in un’intervista alla Stampa. Il clou dell'iniziativa è individuabile in una «rottamazione» generale dei professori al compimento dei 65 anni (di contro agli attuali 70). Da qui si dovrebbero ricavare risorse capaci di finanziare un cospicuo turn over a favore dei ricercatori. Era stato annunciato che questa innovativa riforma sarebbe stata discussa all'assemblea nazionale assieme ad altri temi (lavoro, giustizia, ecc.) ma risulta che solo sul tema del lavoro le proteste del professor Ichino sono sfociate in una discussione e votazione a maggioranza dei 700 delegati, ma su un argomento complesso come quello della cultura universitaria (a cui non molto tempo fa Italianieuropei aveva dedicato un appassionato e documentato seminario) è stato ridotto al rango di un qualsiasi odg che si vota in assemblea con un Sì o con un No. Non resta che rifarsi all'intervista di presentazione, la cui forma e contenuto riecheggiano l’animosità antiaccademica propria di alcuni ambienti della destra leghista ed ex-An: «mandare a casa i vecchi» e «fare largo ai giovani!», togliere potere ai «baroni», presentati come anziani nullafacenti, attaccati alle loro cattedre, ecc. Il riferimento al potere dei baroni, per chiunque conosca appena la situazione di disintegrazione del sistema e la metamorfosi delle funzioni e dei ruoli tradizionali della ricerca e degli studi all'interno delle Università-Aziende, appare come una farsesca ripresa degli slogan dei movimenti sessantotteschi, e, infatti, viene oggi adoperato in funzione apertamente populista da parte di associazioni studentesche di sinistra e di destra, (in particolare Azione Giovani). Ma colpisce ancora più l'insipienza del ragionamento che supporta la proposta stessa, e che consiste nella convinzione dell'effetto benefico che il cosiddetto «shock generazionale» dovrebbe produrre all'interno di un sistema delicato qual è quello della ricerca e degli alti studi. Secondo la professoressa Carrozza il ricambio di competenze e di esperienze può, anzi deve, realizzarsi attraverso traumatiche liquidazioni di esperienze di gruppi e di scuole, deve prodursi cioè con sostituzioni di stock di personale. Un conteggio approssimativo degli effetti della proposta, se attuata ad oggi, lascerebbe prevedere la sparizione da un giorno all'altro di circa 6.000 professori, di cui 4.000 ordinari, con una falcidie di specializzazioni scientifico-disciplinari difficilmente recuperabile o risanabile, e con un abbassamento di qualità e di prestigio globale della nostra Università. Nel quinquennio successivo si aggiungerebbero altri 5.000 pensionamenti di ordinari e 3.200 di associati, con un ricambio di circa il 50% dei professori titolari di cattedra. Per valutare la poca consapevolezza che sovrintende questa trovata, va ricordato che l'esodo fisiologico, al compimento dei 70 anni, prevede peri prossimi dieci anni l'uscita di 9000 ordinari e 5200 associati e che il bilancio risultante da questo esodo assicura già un ordinato scorrimento di carriera per gli attuali ricercatori, nonché un reclutamento di nuovi ricercatori a tempo determinato. (M. Pirani, La Repubblica 24-05-2010)
 
Il valore legale della laurea PDF Stampa E-mail
Se ne parla dai tempi di Luigi Einaudi, che accese la fiaccola "abolizionista" già dal primo dopoguerra. E se torna a parlare anche oggi, nel bel mezzo delle contestazioni contro la riforma universitaria, che si propone di liberalizzare il sistema scolastico e che, per il futuro: intende mandare in soffitta il valore legale dei titoli di studio. Abolirlo, secondo il ministro all'Istruzione Maria Stella Gelmini, rappresenterebbe il punto d'arrivo del suo progetto riformista. Un traguardo da raggiungere, ma comunque non una priorità a breve termine. Nel ddl, che ora si trova in Commissione Istruzione del Senato, non dovrebbero esserci colpi di scena al riguardo, ma solo piccoli accorgimenti normativi che, seppur indirettamente, spianerebbero la strada a una deregolamentazione dei titoli di studio. In Italia la laurea è ancora un certificato pubblico, rilasciato in nome della legge dal ministero competente o da un'autorità accademica. I critici, perlopiù di stampo liberale e ispirati al modello universitario anglosassone, contestano il controllo statale sui curriculum statalisti, una mano pesante che ingesserebbe sia il mondo universitario che quello del lavoro. Il valore legale dei titoli di studi, stando ai suoi detrattori, incrementa la proliferazione degli atenei e di quei corsi di studi senza alcuna attinenza con l'economia reale; vanifica ogni tentativo di far crescere la concorrenza tra le facoltà, esaspera il controllo pubblico sul mondo universitario, costringe i migliori cervelli alla fuga all'estero. Secondo Confindustria, ad esempio, «sarebbe auspicabile abolire il valore legale della laurea, che è ormai un peso e un residuo del passato. Meglio sarebbe — si esprime così in una nota ufficiale l'associazione degli industriali —sostituirlo con un sistema flessibile di accreditamento così come già accade in altri paesi europei, svolto da agenzie indipendenti, che assicuri la verifica del valore reale dei corsi di studio universitari. Nel Regno Unito, patria del pensiero liberale, non c'è il "valore legale" ma un’agenzia indipendente, la Quality Assurance Agency, che garantisce la verifica dell'esistenza di requisiti minimi e il miglioramento continuo degli standard qualitativi dell'educazione superiore». Una sfida liberai contro statalisti? Non proprio. O almeno lo scontro è più complesso e frammentato. Come spiegano nel loro recente studio due ricercatori del Cni (Consiglio Nazionale degli ingegneri) Massimiliano Pittau e Nicola Colacino la partita abolizionista riguarda «soprattutto la regolamentazione dell'accesso all'esercizio delle professioni protette. Le proposte di legge presentate nell'attuale legislatura sono finalizzate a far venire meno il valore di requisito dei titoli di studio esclusivamente per l'accesso ai pubblici concorsi, ma non per l'accesso all'esame di stato per l'abilitazione allo svolgimento». Vale a dire che se dovesse andare in porto l'iniziativa "abolizionista", verrebbero rafforzatigli ordini professionali, che proprio il gruppo di pressione liberista vorrebbe veder cancellati, o per lo meno snelliti di importanza. Se il dibattito è annoso e una conclusione a breve termine appare come un miraggio, piccoli passi normativi procedono per sgretolare il muro del valore legale. Dice Carlo Finocchietti, direttore generale di Cimea, Centro per la mobilità e il riconoscimento dei titoli, nato nel 1984 su iniziativa della Fondazione Rui: «Il valore legale della laurea si basa su due pilastri: uno è l'ordinamento didattico nazionale, l'altro è l'esame di Stato. Da un lato è in atto un progressivo depotenziamento del titolo di studio, attraverso le varie riforme universitarie che diminuiscono il controllo statale sui corsi universitari, che oggi per il 40% vengono definiti dagli atenei. In questo modo, accentuando la diversità e la competizione tra università, si sta creando un terreno fertile per una futura abolizione». Ma il percorso non sarà così semplice. «Intanto l'esame di Stato, che è il passaggio obbligato per esercitare una professione per le categorie protette, come medici, ingegneri, avvocati, è previsto dalla costituzione. Si può modificare, ma si tratta di una strada molto delicata. E poi sono davvero in pochi a voler liberalizzare totalmente, affidando a enti esterni certificatori l'idoneità professionale. Credo che si procederà per piccoli passi, cercando di ottenere analoghi risultati, mercato del lavoro più aperto, atenei più competitivi, senza stravolgere l'assetto normativo». (C. Benna, La Repubblica 24-05-2010)
 
Mozione del CUN sulle universita’ telematiche PDF Stampa E-mail

II Consiglio Universitario Nazionale in riferimento all’oggetto esprime quanto segue: lo sviluppo di strumenti e metodologie e-learning, idonee ad impartire corsi universitari a distanza, rientra certamente, anche in Italia, tra gli obiettivi di una formazione permanente e ricorrente capace di raggiungere strati sempre più ampi della popolazione. L’offerta formativa a distanza va pensata innanzitutto per essere rispondere alle esigenze di quella popolazione, in generale in età adulta, che già lavora o che per altri motivi non è nelle condizioni di poter affrontare una modalità di formazione in presenza, che richiede orari predeterminati e un impegno quotidiano. Va inoltre rilevato che tale tipologia di formazione assume oggi importanza crescente anche in relazione al fatto che la Commissione e il Parlamento Europeo hanno indicato l’apprendimento lungo l’intero arco della vita (Life Long Learning) tra gli obiettivi prioritari dell’Unione. Peraltro il Consiglio Universitario Nazionale nel suo Parere generale n. 94 del 13 giugno 2003, nell’esprimere apprezzamento per il fatto che anche in Italia venissero adottate norme in materia di formazione a distanza, come già da tempo era avvenuto in molti altri paesi, aveva anche individuato alcune importanti criticità presenti nella norma e aveva chiesto che esse fossero rimosse urgentemente con un nuovo provvedimento correttivo. Le prime norme relative all’istituzione dei corsi di studio a distanza delle Universitàrisalgono alla Legge 27 dicembre 2002, n. 2891 (Finanziaria 2003), che individua in un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da adottare di concerto con 1 Legge 27 dicembre 2002, n. 289 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003), Art. 26 (Disposizioni in materia di innovazione tecnologica), comma. 5. “Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, adottato di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, sono determinati i criteri e le procedure di accreditamento dei corsi universitari a distanza e delle istituzioni universitarie abilitate a rilasciare titoli accademici, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509, al termine dei corsi stessi, senza oneri a carico del bilancio dello Stato.” ...omisssis... il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, lo strumento attuativo per la definizione dei criteri e delle procedure di accreditamento. La Legge n. 289 stabilisce in maniera sintetica ma con chiarezza che le istituzioni universitarie, già autorizzate a rilasciare titoli aventi valore legale, possono essere anche autorizzate a farlo al termine di corsi di studio impartiti a distanza, purché detti corsi e le istituzioni stesse siano accreditati a tale fine. I criteri e le procedure di accreditamento sono state quindi determinati con il Decreto Interministeriale 17 aprile 20032, nel quale l’Art. 1 comma 13 ribadisce, con altre parole, quanto indicato nella Legge n. 289. Viceversa l’Art. 2 comma 2 del Decreto stesso sembra andare oltre i limiti di delega, laddove stabilisce che una qualsivoglia Istituzione, promossa da soggetti pubblici o privati, una volta riconosciuta secondo i criteri e le procedure previste dal Decreto stesso, divenga Università a tutti gli effetti e possa conferire i titoli accademici di cui all’art. 3 del decreto 3 novembre 1999 n. 509, vale a dire: • laurea (L); • laurea specialistica (LS); • diploma di specializzazione (DS); • dottorato di ricerca (DR); • master universitari di primo e di secondo livello. In particolare si sottolinea il fatto che, attraverso il meccanismo di “accreditamento” previsto, viene a costituirsi una procedura autorizzativa molto semplificata, che consente l’istituzione di una nuova tipologia di università, attraverso un canale autonomo e parallelo al sistema esistente, senza che ne siano definiti i requisiti fondamentali e previste le necessarie garanzie. Ne derivano conseguenze paradossali dato che possono essere autorizzati a rilasciare i titoli sopra indicati, incluso quello di dottore di ricerca, istituti che, pur disponendo di una piattaforma tecnologica tecnicamente idonea a fornire didattica a distanza, non possiedono personale docente proprio e non svolgono alcuna attività di ricerca. Si sottolinea in particolare il fatto che molti dei motivi di preoccupazione, già espressi dal CUN nel citato Parere generale n. 94 del 13 giugno 2003, si sono rivelati fondati ed hanno trovato puntuale riscontro anche nel recente documento DOC 04/10 del CNVSU. Si osserva inoltre che, oltre ai corsi di studio preordinati al rilascio delle lauree per le professioni sanitarie (per i quali con Decreto Interministeriale 14 luglio 2006 è stata revocata la possibilità di avviare le procedure di accreditamento), vi sono altri corsi che, per loro specificità formativa, non sono idonei ad essere impartiti con modalità a distanza. Tale situazione si manifesta in tutta la sua evidenza per quei corsi di studio che richiedono attività assistita in laboratori di alta specializzazione; né d’altra parte si ritiene che il problema citato possa essere semplicisticamente aggirato attraverso la stipula di convenzioni, come indicato all’Art. 4, comma 26, dato che gli studenti delle Università Telematiche sono, per loro natura, svincolati da uno specifico territorio. Il Consiglio Universitario Nazionale, nei limiti delle competenze che gli sono assegnate dalla legge, ritiene di dover costantemente operare a garanzia e tutela della qualità del sistema formativo superiore italiano. Per tale motivo, nel formulare i propri pareri questo Consiglio non si può esimere dal segnalare al Sig. Ministro casi e situazioni che appaiono particolarmente critiche o abnormi e che richiedono specifiche decisioni o interventi legislativi urgenti. In tale ottica vanno anche considerati alcuni pareri non favorevoli che questo Consiglio ha formulato su proposte di ordinamenti di corsi di studio da impartire con modalità a distanza.

Per quanto premesso il CUN, nel riconfermare quanto già indicato nella propria mozione del 4 maggio 2006, ritiene necessario che il Decreto Interministeriale 17 aprile 2003, anche sulla base dell’esperienza maturata e delle criticità emerse, venga sostanzialmente rivisto per tener conto almeno dei seguenti punti:

• escludere dalla possibilità di accreditare determinate classi relative a corsi di studio che, per loro specificità formativa, non sono idonei ad essere impartiti con modalità a distanza;

• prevedere che le Università telematiche dispongano di personale docente proprio, in quantità sufficiente a coprire adeguatamente ciascun corso di studio inserito in offertaformativa;
• stabilire che i ricercatori a tempo determinato non possano eccedere una determinata percentuale dei professori di ruolo;
• confermare e garantire che il personale docente e ricercatore sia reclutato con le stesse modalità del personale docente e ricercatore delle altre Università statali e non statali;
• prevedere che anche le università telematiche, in quanto parte del sistema universitario, siano tenute a svolgere attività di ricerca e siano valutate anche sulla base di essa;
• ribadire che le verifiche di profitto devono essere svolte presso le sedi delle università stesse, da parte di professori universitari e ricercatori, avendo anche presente che i Ricercatori indicati nel Decreto Interministeriale 17 aprile 2003 sono quelli previsti dal DPR 382/80, dato che i Ricercatori a tempo determinato sono stati introdotti successivamente, dalla Legge 230/05;
• stabilire modalità di verifica ex-post sulla qualità dei laureati a distanza, anche comparativamente con i laureati dei corsi tradizionali.

Si osserva infine che gli ordinamenti dei corsi di studio a distanza, data la peculiare modalità con la quale la didattica viene erogata, devono contenere informazioni aggiuntive rispetto a quelle dei corsi convenzionali ed una descrizione articolata delle modalità con le quali vengono soddisfatti i requisiti del Decreto Interministeriale 17 aprile 2003 e successive modificazioni. Appare pertanto necessario rivedere e ampliare la banca dati RAD degli ordinamenti dei corsi a distanza, anche per mettere questo Consiglio nelle condizioni di poter esprimere al Sig. Ministro pareri più approfonditi e circostanziati a garanzia della qualità dei corsi stessi e a tutela del sistema della formazione superiore e degli studenti. (CUN. Mozione Università Telematiche. Adunanza del 250-05-2010)
 
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