Home 2010 18 Febbraio
18 Febbraio
6.305 fucine di pensiero nel mondo PDF Stampa E-mail
E’ stato presentato all'Onu un rapporto globale sulle fucine d'idee, il "Global Go-To think tanks". Dall'analisi emerge che nel mondo sono oltre 6.300 i serbatoi di pensiero. A guidare la classifica sono gli Stati Uniti, forti di 1.815 enti. Ma a sorprendere è la performance della Cina che, contando su 428 istituzioni, si piazza al secondo posto. L'Italia si difende, con 88 realtà presenti. Su tutti, per il nostro Paese, spiccano l'Istituto affari internazionali, l'Istituto Bruno Leoni, il tremontiano Aspen e il Centre for economic and International studies di Tor Vergata. Il curatore dell'opera è James McGann, direttore del programma di ricerca sui pensatoi del Foreign policy research institute (Fpri). Dalla ricerca emerge che la maggior parte dei think tank sono presenti sul territorio statunitense. Sotto il profilo dell'importanza, al primo posto nel mondo è risultata la Brookings Institution di Washington, nata nel 1916. Anche in Europa i think tank non mancano. Il più influente è il londinese Chatham House, già conosciuto come Royal Institute of International Affairs. Al secondo posto c'è la tedesca Transparency International, che ogni anno pubblica il Corruptions Perceptions Index, un rapporto mondiale sulla corruzione. Chiude il podio dei think tank non americani l' International Crisis Group di Bruxelles. Sul fronte internazionale, colpisce il numero di think tank dei Paesi in via di sviluppo. L'area Bric (Brasile, Russia, India, Cina) può contare su 846 centri di pensiero. La sola Cina, con 428 enti, si è piazzata al secondo posto complessivo, mentre l'India (261 think tank) è solidamente al quarto posto nella classifica internazionale. La Russia si posiziona come ottava, mentre il Brasile è 22esimo. (Fonte: Il Riformista 03-02-2010)
 
Come si prospetta la conferma a tempo indeterminato (Tenure Track Position) negli Stati Uniti PDF Stampa E-mail
Vi sono diversi profili giuridici e sostanziali da chiarire sul c.d tenure track all'Italiana. Intanto va demistificato l'anglismo, che può essere tradotto comodamente con la locuzione "in attesa di Conferma in Ruolo a Tempo Indeterminato", ma soprattutto va capito. Negli Stati Uniti, l'uso della locuzione "on the tenure track" marca una differenza: quella con altre posizione lavorative presso l'Università' che però sono "off the tenure track". Uno può anche farsi 15 anni di post-doc o docenza casuale in varie università (tipicamente, infatti, una singola Università non va mai oltre i 5 anni per il singolo), ma se queste posizioni non sono "on the tenure track", l'omino non sta maturando nessun diritto per l'immissione in un ruolo accademico a tempo indeterminato. L'assunzione in una posizione "on the tenure track", implica 2 concetti fondamentali, che appiccicano più diritti e più doveri al clerico prescelto: (1) da una parte, parte un orologio che scandisce il tempo in maniera inesorabile: tipicamente 6 anni. Al quinto anno ti fanno uno scrutinio e se non lo passi ti rimane l'altro anno per cercare dove sbarcare il lunario in futuro; (2) è "sufficientemente chiaro" fin dall'inizio cosa dovrà fare il neo-accademico per ottenere il Tenure, 5 anni più a valle, cioè sono chiari i criteri e i progressi scientifici che saranno testati per la conferma in ruolo. L'orologio sembra un innocuo strumento, ma incomincia a diventare rovente se, dopo 3-4 anni, ti accorgi che non stai facendo quello che ci si aspetta da te entro il quinto anno. A dire il vero, sovente si mette uno scrutinio "di massima" al terzo anno per cacciare fuori subito quelli che si vede chiaramente che non ce la faranno. In ogni caso il giovine di belle speranze può avere un "freeze" dell'orologio solo per periodi di maternità e di malattia. Tutto si basa, quindi, sulla perentorietà e sull'inesorabilità del giudizio che cadrà come un macigno allo scadere del quinto anno. Ora, come sono interpretati questi concetti in italiano, non è ancora chiarissimo.... (per il futuro ricercatore a tempo determinato, mentre è chiarissimo per l’attuale ricercatore in attesa di conferma in ruolo a tempo indeterminato - osservazione di PSM - ). (Fonte: RR,  dibattito@ricercatoriprecari.org 12-02-2010)
 
Sarkozy vuole aumentare le borse di studio per accedere alle grandes écoles PDF Stampa E-mail
In Francia il tema dell’"insegnamento d’élite" – in pieghe diverse – è attualmente all’attenzione della stampa. In particolare in rapporto al sistema delle Grandes Écoles, per antonomasia i migliori luoghi di studio universitario per i migliori studenti francesi. Il disagio risiede nella formale e repubblicana uguaglianza di accesso a queste Grandi Scuole, che, di fatto, negli ultimi decenni, ha ridotto la presenza dei figli delle famiglie appartenenti alle categorie sociali più deboli (giovani delle banlieue, figli di operai e classi meno avvantaggiate) rispetto alle famiglie di un certo ceto sociale e appartenenza culturale. Le statistiche, infatti, dimostrano che il reclutamento è inceppato e soltanto i figli della borghesia, provenienti da un ambiente dove il livello culturale è già di partenza altissimo, riescono a entrare. Un luogo di vera e propria riproduzione delle élites dunque. Il presidente Sarkozy – figlio di un immigrato ungherese, laureato in giurisprudenza, avvocato, politico fai-da-te dai tempi dell’università, che ha insomma alle spalle un cursus honorum diverso rispetto agli standard – non ha mai nascosto una certa insofferenza nei confronti delle Grandes Écoles de la République ed è quindi intervenuto nel merito della questione "accesso". "Le Grandes Écoles – ha detto Sarkozy in un discorso a Gif-Sur-Yvette, presso un grande polo universitario dei sobborghi della capitale – non devono essere riservate soltanto agli studenti interni o ai figli dell’antica borghesia. Sono scuole per tutti: se uno lavora, se uno ha talento". Secondo il leader, un Paese che recluta le sue élite tra il 10% della popolazione è un Paese che si priva del 90% della sua intelligenza. Sarkozy pensa così a un piano per aprire i prestigiosi istituti, 220 in tutto, a un 30% di borsisti provenienti da famiglie poco abbienti, un obiettivo già fissato in un discorso tenuto alla fine del 2008 nella prestigiosa scuola di Palaiseau. Oggi, secondo i più recenti sondaggi, la percentuale di borsisti negli istituti d’ingegneria è pari al 22,9%, ma nella più famosa École Polytechnique, la cifra scende a 11,03. Sarkozy riscontra quindi la necessità di allargare questo "raffinato cerchio", imponendo quote d’accesso, ma le scuole speciali si ribellano. Contro il presidente si è infatti formata una fronda alla testa della quale c’è la Conférence des grandes écoles. I piani del leader, dicono, rischiano di abbassare l’altissimo livello degli istituti. (L’Occidentale 12-02-2010)
 
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