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15 Marzo
Il rapporto OCSE “Obiettivo crescita 2010” pungola l’Italia sulla formazione superiore PDF Stampa E-mail
L’Ocse pungola l’Italia a procedere sulla strada delle liberalizzazioni, a privatizzare le public utilities, a migliorare la concorrenza rinforzando le autorità deputate a garantirla, a riformare gli ordini professionali, ad aprire alla regionalizzazione del negoziato salariale, e ancora a riformare il fisco e a mettere fine alle misure di amnistia fiscale. Questa la ricetta dell’organizzazione con sede a Parigi che si legge nelle Country notes relative al nostro Paese e pubblicate nel quadro del rapporto “Obiettivo crescita 2010” diffuso oggi. Secondo gli analisti di Parigi l’Italia deve migliorare la scolarizzazione dei propri cittadini, particolarmente nella fascia dai 25 ai 34 anni. L’Italia deve dunque puntare sulla formazione superiore, “decentrando il finanziamento delle università e accrescere il peso relativo dei finanziamenti privati”. Tra i suggerimenti spicca quello di “aumentare il diritto all’istruzione attraverso i prestiti agli studenti e rimborsabile in funzione del salario”. L’Ocse chiede poi di sviluppare i settori ricerca e sviluppo “utilizzando in maniera giudiziosa i vantaggi fiscali” e promuovendo i partenariati di ricerca tra imprese e Università. (Velino 10-03-2010)
 
Può essere automaticamente riconosciuto in italia il titolo di professore universitario conseguito in uno stato membro? PDF Stampa E-mail
Con sentenza del 17 dicembre 2009, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee interviene in merito al riconoscimento in Italia della qualifica di Professore Universitario ottenuta in un diverso Stato membro, perimetrando l’ambito di operatività della direttiva 2005/36 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. La questione posta all’attenzione dei Giudici di Lussemburgo attiene alla possibilità di equiparare automaticamente il titolo di professore universitario conseguito in un diverso Stato membro a quello richiesto per accedere alla docenza in Italia, tramite l’applicazione delle disposizioni dettate dalla citata direttiva e la conseguente assimilazione della docenza universitaria alle “professioni regolamentate” per le quali la normativa comunitaria impone l’automatico riconoscimento.
Il quesito posto, quindi, assume connotati di assoluto rilievo con riferimento alla disciplina nazionale del reclutamento dei docenti universitari, considerato che la riconduzione di tale categoria nell’ambito di applicazione della direttiva darebbe luogo alla possibilità di ottenere il riconoscimento in Italia del titolo di professore conseguito in altro Stato membro a prescindere dall’espletamento delle procedure concorsuali imposte dalla legge nazionale per il conseguimento dell’Idoneità Scientifica Nazionale.
La pronuncia della Corte di Giustizia attiene alla vicenda di un ricercatore italiano che aveva già conseguito in Germania l’idoneità all’insegnamento come professore ordinario e aveva conseguentemente presentato al Ministero dell’Università e della Ricerca domanda d’inserimento negli elenchi dei professori ordinari risultati idonei a seguito di una procedura di valutazione comparativa, richiamando a tal fine la direttiva 2005/36 sull’automatico riconoscimento delle qualifiche professionali. Il ricercatore italiano, quindi, riteneva che l’Idoneità Scientifica Nazionale ottenuta nella procedura di valutazione comparativa che consente l’accesso alla docenza universitaria con la qualifica di professore associato o ordinario, fosse equiparabile in toto a un attestato di competenza, ossia al titolo che la direttiva invocata individua quale strumento idoneo a comprovare una determinata qualifica professionale. Sulla scorta di tale equiparazione, pertanto, considerava possibile ottenere l’automatico inserimento negli elenchi dei professori ordinari a prescindere dal previo espletamento dell’apposita procedura concorsuale.
Di diverso avviso la Corte di Giustizia, secondo cui l’adesione a una simile interpretazione consentirebbe all’istante di essere esonerato da una procedura di selezione e reclutamento individuata dallo Stato quale modalità di accesso alla docenza universitaria. La direttiva 2005/36, difatti, codifica il riconoscimento delle qualifiche con l’obiettivo di semplificare l’accesso a una professione regolamentata, limitando per tal via la discrezionalità riservata agli Stati relativamente alla possibilità di limitare o precludere l’accesso alla professione in ragione di mere difformità delle qualifiche conseguite in altri Stati comunitari. La disciplina, d’altro canto, non può essere utilizzata per aggirare i sistemi selettivi fondati su concorso pubblico previsti per l’accesso alla docenza universitaria. La direttiva non attiene alla regolamentazione delle procedure nazionali di selezione e reclutamento funzionali allo svolgimento di un’attività lavorativa: gli Stati, pertanto, possono – senza incorrere in alcuna violazione del diritto comunitario, tantomeno nella lesione del diritto alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri della Comunità – stabilire le modalità di accesso allo svolgimento di una professione. Ove quindi l’ordinamento preveda che per svolgere l’attività di docenza universitaria sia necessario superare una procedura di valutazione comparativa quale quella disciplinata dalla legge 4 novembre 2005 n. 230, non sarà possibile invocare la normativa comunitaria a tutela di un diritto all’automatico riconoscimento della qualifica ottenuta in diverso Stato.
E’ quindi compito riservato alle autorità nazionali tanto individuare le modalità di accesso alla docenza universitaria quanto vigilare affinché in una procedura selettiva quale quella che conduce all’iscrizione nell’elenco dei possessori dell’Idoneità Scientifica Nazionale, le qualifiche acquisite in altri Stati membri siano adeguatamente valutate e riconosciute per il loro valore: “La circostanza di aver superato una selezione al termine di una procedura diretta a ottenere un numero predeterminato di persone attraverso una valutazione comparativa dei candidati piuttosto che attraverso l'applicazione di criteri assoluti e che conferisce un titolo di validità temporale limitata, non può essere considerata una qualifica professionale ai sensi dell'art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva 2005/36. Tuttavia, gli artt. 39 CE e 43 CE impongono che le qualifiche acquisite in altri Stati membri siano riconosciute per il loro giusto valore e siano debitamente prese in considerazione nell’ambito di tale procedura”. (A cura di Anna Maria Nesci)
 
Docenti medici universitari svolgenti funzioni assistenziali. Indennità «De Maria» PDF Stampa E-mail
Il trattamento economico dei medici universitari va equiparato a quello del personale medico del SSN. A essi spettano, per le mansioni e l'anzianità di servizio maturata, gli emolumenti dovuti a tale titolo sin dalla data di assunzione. Dopo il Tar Sicilia, anche il Consiglio di giustizia amministrativa (CGA) siciliana, con la decisione n. 156/10 (depositata il 19 febbraio scorso) riconosce la piena equiparazione dei medici al personale ospedaliero respingendo l'appello dell'Università degli studi di Catania e dell'assessorato regionale alla Sanità avverso la sentenza del Tar Catania che aveva già riconosciuto (sentenza n. 1156 dell'Il luglio 2006) i diritti di 63 docenti per il pieno riconoscimento del loro status, e correlato trattamento economico, di medici universitari svolgenti funzioni assistenziali. La vicenda è scaturita dopo la sentenza del Tar Sicilia che, oltre a equiparare le due figure in termini di trattamento economico, aveva sancito il diritto dei medici universitari a ricevere dall'ateneo catanese le somme dovute per i servizi di reperibilità, guardie e festivi resi sin dalla data di assunzione. In tale ottica, per inciso, aveva obbligato la Regione a corrispondere all'Università la provvista finanziaria necessaria a garantire il riconoscimento della pretesa economica. Nell'appello, Università e assessorato hanno evidenziato come il Tar non abbia considerato il protocollo siglato dai due enti nel dicembre 2003 con il quale il sistema di equiparazione «si impernia ora sulle stesse indennità che la contrattazione collettiva attribuisce al personale ospedaliero». A tale beneficio, secondo gli appellanti, non può aggiungersi quello pregresso (indennità di equiparazione), e comunque gli oneri della perequazione sono a carico dell'azienda ospedaliera e non dell'Università. Il Supremo consiglio siciliano, confermando punto centrale del sistema la cosiddetta "legge De Maria", ha respinto l'appello confermando che il principio equiparativo costituisce l'espressione di una «consolidata tendenza legislativa volta a promuovere e rafforzare le forme di partecipazione delle facoltà di Medicina all'erogazione dell'assistenza sanitaria». Una tendenza instaurata nel 1968 (legge 132), sancita dal Consiglio di Stato e da ultimo dalla Corte costituzionale (sentenza n. 126/81): l'indennità di equiparazione costituisce una componente del complessivo trattamento economico spettante al professore universitario quando svolga attività assistenziale sanitaria e come tale è utile ai fini assistenziale e previdenziale. Ne consegue, ha chiosato il Consiglio siciliano riferendosi all'appello dei due enti, che l'articolo 6 del Dlgs 517/1999, nel prevedere una ridefinizione del trattamento economico dei professori e dei ricercatori universitari, non ha abrogato il sistema normativo che disciplina il principio dell'equiparazione del trattamento economico dell'universitario a quello dell'ospedaliero, ma lo ha confermato. (P. Martocchia, CGA Sicilia 10-03-2010)
 
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