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01 Aprile
Il voto sugli emendamenti al DDL di riforma spostato a metà aprile PDF Stampa E-mail
I tempi di approvazione della riforma dell'Università al Senato si allungano. Era atteso per questa settimana, infatti, il parere della commissione Bilancio sugli emendamenti (ben 800) al disegno di legge  Gelmini. Ma la commissione ha dovuto occuparsi di altro, del decreto sugli enti locali. Così è stato tutto rinviato. Forse a dopo Pasqua. Tanto che la commissione Istruzione ha già spostato al 13 di aprile l'avvio del voto sugli emendamenti, inizialmente previsto per il 30 marzo. Un voto che richiederà piu' giorni, vista la quantità di proposte di modifica avanzate da maggioranza e opposizione che riguardano essenzialmente tre punti del testo: la governance degli atenei (i senatori vogliono più poteri per Senato accademico e rettore), il fondo per il merito degli studenti (sia Pd che Pdl esprimono perplessità sui test standardizzati per distribuire borse di studio e c'e' chi non vuole che la gestione del fondo sia affidata alla società privata Consap), il reclutamento dei docenti (c'è da decidere cosa ne sarà dei ricercatori a tempo indeterminato delle università, visto che questa figura andrà ad esaurimento). La commissione, comunque, dovrà lavorare in fretta. Il ministro ha già detto che ci sono "i tempi" per approvare la riforma entro l'estate. Si dice che nel passaggio in Aula sarà presentato un emendamento "ufficiale" per sopprimere il comma 10 dell'articolo 10, quello che impone di conteggiare anche i periodi di assegno già svolti nel computo del limite massimo di 10 anni per la somma assegni + TD e che terrebbe fuori dalla tenure track gran parte degli attuali precari. (diregiovani 25-03-2010)
 
Deliberazioni della giunta dell’uspur sul DDL di riforma PDF Stampa E-mail
La Giunta nazionale dell’USPUR nella riunione del 19 marzo 2010 si è dichiarata sostanzialmente favorevole agli emendamenti al DDL 1905 proposti dal sen. G. Valditara e pertanto ha deciso di valutare il documento nella sua interezza e, dove ritenuto necessario, proporre precisazioni per evidenziare il pensiero e la posizione sindacale dell’USPUR.
Il Segretario nazionale prof. A. Liberatore ha dato lettura degli emendamenti Valditara, e registrato i seguenti suggerimenti di modifica via via proposti e votati dopo ampia discussione:
  • art. 1, comma 1, sostituirlo con il seguente: “Le università, istituzioni di alta cultura, sono sede primaria della ricerca e dell’istruzione superiore e strumento  per l’elaborazione e la diffusione delle conoscenze. Sono dotate di personalità giuridica e, nel rispetto dell’art. 33 della Costituzione, hanno autonomia        didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, che esercitano, in  attuazione dell’indirizzo e del coordinamento del Ministro competente, nell’interesse del progresso culturale, civile ed economico della Repubblica”;
  • art. 2, comma 2, lettera f, riga nona: sostituire la parola “corsi” con “corsi di laurea”;
  • art. 5 bis, comma 5, rigo 17: cancellare “libero professionale”; rigo 20: prima di “13”, inserire “11”;
  • art. 5 bis, comma 6: modificare le ultime tre righe in maniera da leggere “fermo il trattamento  economico in vigore”;
  • art. 5 bis, comma 7: modificare le ultime tre righe in maniera da leggere “fermo il trattamento economico in vigore”;
  • art. 5 quater, comma 3, lettera b: se ne chiede la cancellazione. (rimane così in vigore quanto previsto dal DPR 382/80, e successive integrazioni);
  • art. 8, comma 3, lettera i, terza riga: sostituire “tre” con “due”;
  • art. 9: abolire il comma 3 e il comma 4;
  • art. 12, comma 9, rigo tredicesimo: cancellare la parola “eminenti” (infatti la lista dei sorteggiati potrebbe non contenere professori eminenti).
 
Documento della conferenza dei presidi delle Facoltà di Ingegneria (COPI) sul DDL n. 1905 in discussione al senato PDF Stampa E-mail
La Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Ingegneria, esaminato in più riunioni il DDL n. 1905, nel corso dell’Assemblea del 27 gennaio 2010 ha approvato all’unanimità il seguente Documento.
«La CoPI esprime soddisfazione per l’organica azione riformatrice che, recependo anche le istanze della politica e del mondo accademico, il DDL si propone. La CoPI condivide i principi ispiratori del DDL, a cominciare – per restare in ambito direttamente connesso al ruolo delle Conferenze dei Presidi – dalla razionalizzazione e semplificazione delle strutture e dalla separazione delle funzioni di programmazione, amministrazione e controllo, in una logica di efficienza ed efficacia del governo degli atenei; dall’esigenza di ricondurre a un’unica finalizzazione le attività di didattica e quelle di ricerca; dall’instaurazione della prassi della valutazione della qualità dei processi e dell’efficienza del sistema, che preveda anche l’istituzione di meccanismi di premialità e di sanzione del comportamento degli atenei e che costituisce condizione indispensabile per l’esercizio di un’autonomia responsabile. La CoPI ritiene, tuttavia, che tali obiettivi siano difficilmente raggiungibili senza investimenti e sulla base di un numero eccessivo di disposizioni che, anche per tipologia, rischiano di mortificare l’esercizio dell’autonomia degli atenei e la competizione virtuosa tra essi, appiattendone l’operato nel rispetto di norme che, per altro, non tengono conto della specificità e della complessità del sistema universitario italiano, né della tradizione e delle positive tendenze in atto nell’ambito delle istituzioni italiane. Il pericolo, derivante anche da non adeguata contestualizzazione del provvedimento nel quadro internazionale – dal quale al più si mutuano elementi di altre tradizioni e altre realtà, molto distinte dalla nostra, con conseguenti ibridazioni che mal si adattano alla realtà italiana,la cui tradizione universitaria ha tra i punti di forza la qualità della formazione impartita che, specie nelle scuole di ingegneria, deriva da un’impostazione culturale solida e ad ampio spettro – è che si perda l’occasione per una riforma coraggiosa ed efficace, così come necessita al paese per avere un’università ancora più qualificata e competitiva. Nel merito del testo, in particolare, la CoPI ritiene che vi sia confusione, a tutti i livelli e per tutti gli organi previsti, tra la fase dell’elaborazione, formulazione e approvazione delle scelte strategiche, la fase di governo e di attuazione di tali scelte, la fase di controllo: fasi che è bene tenere separate, così si è affermato in tutta la nostra organizzazione statuale, a tutti i livelli. In tal senso, è del parere che il primo compito debba essere affidato al Senato Accademico, nel quale quindi è necessario prevedere la partecipazione di rappresentanti delle unità organizzative (facoltà o scuole e dipartimenti), lasciando al Consiglio di Amministrazione il ruolo di verifica della compatibilità e sostenibilità finanziaria e, appunto, di amministrazione.
La CoPI ritiene necessaria la riorganizzazione delle unità/strutture organizzative degli atenei, non solo per semplificazione e razionalizzazione, ma anche con l’obiettivo di ricondurre a un’unica finalizzazione le attività di didattica e quelle di ricerca che, insieme e strettamente legate, connotano la missione dell’università. Obiettivo che il DDL si pone, ma che di fatto non persegue perché trascura l’una e l’altra, non tiene conto delle loro specificità né degli elementi che possono e debbono unirle. Si tratta di tema delicato e difficile, già fortemente avvertito dal mondo accademico che, nel quadro normativo attuale, ha difficoltà ad affrontare: come dimostrano le iniziative già realizzate in proposito con alcune recenti modifiche di statuto, in parte contrastanti tra loro, e quelle che ancora non si riesce a realizzare nonostante la forte volontà politica. Lasciare la definizione della tipologia e dei ruoli dei vari organi alla piena sperimentazione degli atenei è sconsigliabile in un momento in cui, per la prima volta dopo la riforma del 1980, si sta tentando di ridefinire in maniera organica le strutture del sistema. Ma pare altrettanto inopportuna l’adozione di un modello unico che, comunque delineato, può essere molto funzionale per alcuni atenei e alcune aree culturali, negativo o irrealizzabile in altri casi. È invece preferibile una soluzione flessibile, aperta a più articolazioni – anche se fissa il numero massimo delle strutture – e quindi adattabile senza forzature a una realtà fortemente disomogenea per tipologia o dimensione come quella italiana, fatta di grandi, medie e piccole università generaliste, politecnici, università tematiche. Nel caso dei politecnici, ad esempio, l’indirizzo generale unitario viene assicurato dagli organi centrali; le facoltà o scuole possono svolgere il ruolo di programmazione, di coordinamento e di gestione delle attività didattiche, in quanto hanno una visione più ampia di quella dei singoli dipartimenti che sono a vocazione disciplinare omogenea, e questi ultimi possono essere invece luoghi deputati alla ricerca e all’implementazione della didattica delle singole aree disciplinari. Nel caso degli atenei generalisti medio-grandi, invece, condizione assolutamente necessaria per un’effettiva ricomposizione della didattica e della ricerca è che alle strutture intermedie di raccordo tra i dipartimenti raggruppati in relazione a criteri di affinità disciplinare – le facoltà o le scuole, come previsto dal DDL – sia affidato il coordinamento e la supervisione di tutte le attività e dei servizi comuni ai dipartimenti che le costituiscono: cioè sia delle attività didattiche sia delle attività di ricerca e trasferimento tecnologico, sia dei rapporti con l’esterno e con autonomia organizzativa, gestionale e amministrativa. Infatti anche le politiche della ricerca di strutture dipartimentali di aree affini, come sono quelle dell’ingegneria, risultano tanto più efficaci quanto più sono orientate a sviluppare ampie sinergie e a stabilire rapporti coordinati e unitari con i soggetti esterni interessati e coinvolti nell’innovazione tecnologica. D’altra parte, e non solo in Italia, sono tuttora tali strutture di direzione e raccordo – i politecnici, le facoltà o le scuole ove questi non esistono – che costruiscono e veicolano nella società l’immagine di un ateneo in un determinato campo scientifico e culturale. E sono i responsabili di tali strutture che coordinano e dirigono sia l’attività di ricerca sia quella didattica, mentre le altre strutture primarie, compresi i dipartimenti e i centri di ricerca universitari, continuano ovunque a essere riferimento prevalentemente se non esclusivamente in ambito accademico. La stessa federazione tra atenei, limitatamente ad alcuni settori di attività o di strutture come previsto dall’art. 3 del DDL, nel campo dell’ingegneria non può che avvenire creando strutture della federazione che seguano a un tempo la didattica e la ricerca.
La CoPI ritiene altresì che, nella logica di separazione dei ruoli richiamata a proposito di Senato Accademico e CdA, anche a livello di unità/strutture organizzative di ateneo debba essere garantita e perseguita la distinzione tra la fase di elaborazione/deliberazione delle scelte strategiche e la fase della gestione. In tal senso condivide l’esigenza di un organo ristretto per la gestione delle attività, sul tipo di quello definito deliberante dal DDL per le strutture di raccordo, ma è del parere che le linee di indirizzo strategiche debbano essere discusse e deliberate da un organo più ampio e rappresentativo. Ciò non tanto per il rispetto della tradizione, ma soprattutto per le esigenze dell’attualità scientifica e tecnica, che impongono un’azione coordinata per contrastare il pericolo della frammentazione del sapere, con conseguente incompleta preparazione dell’ingegnere, e richiedono l’incontro di competenze interdisciplinari nel campo della ricerca per favorire l’innovazione. La CoPI ritiene, pertanto, che per le strutture di raccordo debba essere mantenuto, ma liberato dai poteri di gestione burocratica e amministrativa, un luogo di incontro di competenze ed esigenze differenti – quindi di tutti i docenti dei dipartimenti che vi appartengono, quale è oggi il Consiglio di Facoltà – come momento di discussione e di indirizzo per la programmazione e l’approvazione delle scelte strategiche in merito alle attività comuni e all’articolazione dell’offerta formativa (corsi di studio e relativi piani di studio).
In merito al reclutamento, la CoPI condivide il sistema basato su abilitazione scientifica nazionale e successiva fase di selezione locale da parte degli atenei. Ritiene, tuttavia, eccessivamente e inutilmente macchinosa la fase locale, così come prevista dal DDL, ed è del parere che le modalità di reclutamento, riservato a coloro che abbiano conseguito l’abilitazione nazionale, debbano essere lasciate all’autonomia degli atenei, sulla base di regolamenti specifici che possano prevedere anche passaggi molto snelli: quale la chiamata diretta di docenti abilitati, con selezione quindi effettuata dalle strutture interne all’ateneo. Tale sistema, con opportuna valutazione ex post dei risultati in termini di attività scientifica e didattica del docente chiamato, e conseguente eventuale penalizzazione per l’ateneo, responsabilizza l’università e incentiva il reclutamento dei migliori.
Per quanto concerne i ricercatori, la CoPI richiama le proprie precedenti posizioni in merito, favorevoli tra l’altro all’istituzione della terza fascia docente. Esaminata la originale proposta del DDL, la CoPI rileva che oggi i giovani italiani sono disincentivati dall’intraprendere la carriera universitaria in ambito ingegneristico, per i livelli retributivi particolarmente bassi rispetto a quanto conseguibile – e in tempi molto più rapidi – sul mercato del lavoro italiano e nelle università straniere. Pertanto, se da una parte è apprezzabile il tentativo di rendere più competitiva la retribuzione di inizio carriera e la previsione di reclutamento nel ruolo degli associati per chi conseguirà l’abilitazione nazionale, dall’altra vi è il pericolo che la creazione della figura del ricercatore a tempo determinato possa dar vita a una nuova figura di precario, qualora non si preveda un’adeguata copertura finanziaria che fornisca la garanzia necessaria per la successiva immissione nel ruolo. In mancanza di espliciti impegni in tal senso, la proposta potrà difficilmente corrispondere all’obiettivo, più volte ribadito da parte del Ministero, di incentivare il reclutamento di studiosi di alto livello, provenienti da paesi avanzati, e il “rientro dei cervelli”. Adeguata copertura finanziaria deve comunque consentire di offrire analoghe opportunità di carriera al personale ricercatore attualmente in servizio a tempo indeterminato, che per altro, nella contingenza attuale, concorre in maniera sostanziale a sostenere l’offerta didattica delle facoltà.
La CoPI, infine, ritiene che il Titolo II del DDL, particolarmente critico soprattutto nelle parti relative allo stato giuridico, con provvedimenti ai limiti della costituzionalità, e alla valutazione, mortifica il respiro della riforma che con il provvedimento in esame si vuole perseguire. Considerato altresì che per la valutazione è ormai in dirittura d’arrivo l’istituzione dell’ANVUR, la CoPI auspica che tali parti siano espunte dal DDL in questione. Ciò anche al fine di pervenire in tempi rapidi all’approvazione di un testo condiviso, che potrà segnare una svolta davvero significativa».
 
Ricercatori “in percorso di ruolo” PDF Stampa E-mail
Prevediamo che tutte le attività di ricerca che si compiono nelle università si realizzino con un contratto unico di ricerca a tempo determinato, al quale sono collegate tutele assistenziali e previdenziali e un trattamento economico definito con la contrattazione collettiva. Tali contratti di ricerca si applicano sia ai “ricercatori in formazione” (per un periodo massimo di tre anni), sia a “ricercatori in percorso di ruolo” (tenure track), per i quali, a differenza del DDL Gelmini, prevediamo un percorso chiaro: già alla firma del contratto le università devono aver provveduto alla programmazione delle risorse necessarie per la loro immissione in ruolo, nel caso di valutazione positiva delle loro attività. In tal modo la possibilità di chiamata in ruolo diviene reale. La stessa procedura di chiamata diretta, sempre in seguito all’abilitazione, diviene applicabile ai ricercatori a tempo indeterminato e determinato (ex L. 230/2005). (Dagli emendamenti del PD al DDL 1905)
 
Condizioni necessarie per il nuovo reclutamento PDF Stampa E-mail
Il meccanismo previsto per il reclutamento del personale docente (idoneità nazionale e chiamata locale) può funzionare a patto che i raggruppamenti disciplinari siano i più larghi possibile, l’idoneità sia a numero aperto e le modalità per le chiamate da parte dei singoli atenei siano definite localmente negli statuti. È chiaro che il meccanismo non funzionerà se, com’è sempre avvenuto nel passato, i ministri non rispetteranno la periodicità prevista dalla legge per le idoneità nazionali. (P. Blasi, rivistauniversitas 114, 2009)
 
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