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15 Aprile
Almalaurea. Il XII rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati PDF Stampa E-mail

Crollano le opportunità di lavoro per i giovani laureati italiani. In un anno la percentuale di dottori triennali senza occupazione cresce dal 16,5% al 22%, coinvolgendo anche i settori disciplinari storicamente più forti sul mercato, come Ingegneria. Trend negativo anche per chi ha il titolo specialistico o a ciclo unico, ma chi ha un impiego paga ugualmente il prezzo della recessione in termini di stabilità.
Il rapporto è stato presentato a Roma il 17 marzo u.s. e ha coinvolto 210.832 laureati di 49 atenei italiani, con una partecipazione di intervistati che ha raggiunto il 90%. Mette a confronto la situazione occupazionale del 2007 e del 2008, mostrando un netto peggioramento rispetto alla scorsa edizione del rapporto, che restituiva un quadro appena sfiorato dalla crisi mondiale. Se la disoccupazione cresce tra i laureati triennali, lo stesso accade per chi ha studiato di più (dal 14% del 2007 al 21% del 2008) e fra i cosiddetti "specialistici a ciclo unico", vale a dire medici, architetti, veterinari (dal 9 al 15%). Una condizione che prescinde non solo — come già accennato — dal corso di studi, ma anche dalla sede universitaria, e continua a sortire i suoi effetti nel tempo, coinvolgendo anche i laureati a tre e cinque anni dal conseguimento del titolo. In netto calo anche la stabilità del lavoro — nel 2007 i laureati di primo livello con un posto fisso erano il 38,6%, nel 2008 sono scesi al 35,6%, mentre gli specialistici sono passati dal 27,8 al 26,1 per cento — così come le retribuzioni, che si riducono in termini di potere d'acquisto. Ma in ogni caso, anche se dí poco superiori a 1.110 euro mensili a un anno dalla laurea, le buste paga dei dottori sono certamente più ricche di quelle dei diplomati. Nonostante la crisi, infatti, la maggiore qualificazione dà i suoi frutti: AlmaLaurea (http://www.almalaurea.it/) sottolinea che, nell'intero arco della vita, i laureati mostrano un tasso di occupazione di oltre 10 punti percentuali maggiore di quello dei diplomati (78,5 contro 67%) e un livello di retribuzione che, nella fascia d'età 25-64 anni, supera del 55% quello dei colleghi in possesso del solo diploma di scuola superiore. Se a un livello di studi elevato si aggiunge un'esperienza di stage o tirocinio formativo, dice poi il Rapporto, le opportunità di lavoro aumentano di quasi sei punti percentuali già nei primi 12 mesi successivi al conseguimento della laurea. Un vantaggio, però, che non è confermato per tutti i gruppi disciplinari: lo stage è una marcia ín più per i laureati del gruppo agrario, geo-biologico, psicologico e insegnamento, mentre non ha alcun effetto per i dottori del gruppo economico-statistico. (SoleScuola 01-04-2010)

 
I muri portanti della riforma PDF Stampa E-mail

Abbattere o anche solo scalfire i due muri portanti della riforma Gelmini sull'università, governance e reclutamento, vorrebbe dire mettere a repentaglio la tenuta del disegno di legge all'esame del Senato e i suoi intenti innovatori. E con 828 emendamenti da esaminare il rischio di "annacquamenti" - paventato sabato scorso dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia - può dirsi tutt'altro che superato. Non è tanto il numero delle proposte di modifica a preoccupare il relatore Giuseppe Valditara (Pdl) e i collaboratori del ministro Gelmini quanto il loro impatto su due aspetti specifici. A cominciare dalla separazione tra CDA e Senato accademico che alcuni emendamenti vorrebbero rendere meno netta, eliminando la possibilità di nominare dei membri esterni nei consigli di amministrazione oppure facendo del Senato una semplice «camera di compensazione» tra il potere dei vari presidi.
Altro tema delicato è la richiesta di istituire accanto a ordinari e associati anche il ruolo «transitorio ad esaurimento del professore universitario aggregato» per i ricercatori che si trovano temporaneamente in quel ruolo, come proposto dal senatore Raffaele Calabrò (Pdl). Un'ipotesi, si mormora a viale Trastevere, che se accolta creerebbe «una terza fascia ope legis e totalmente sganciata dalle risorse di bilancio degli atenei».
Dal 14 aprile la sorte del DDL Gelmini sarà più chiara visto che la commissione Pubblica istruzione di Palazzo Madama comincerà a votare gli emendamenti. Oltre ai 22 che recepiscono le annotazioni della commissione Bilancio e alle correzioni meramente tecniche o formali dovrebbero passare alcune delle proposte di modifica targate Valditara e su cui il MIUR è pronto a dare parere favorevole. Come l'attribuzione al CDA del potere disciplinare sul proprio personale mentre oggi il rettore può solo rivolgersi al CUN, la semplificazione delle procedure per le chiamate locali e la precisazione che nel tetto annuo di 1.500 ore lavorative per i docenti non rientrerà la ricerca laddove andrà certificato lo svolgimento di «almeno» 350 ore per la didattica. (Eu. B., Il Sole 24 Ore 13-04-2010)

 
Modifiche al DDL dagli emendamenti in senato PDF Stampa E-mail

La Commissione Istruzione del Senato mercoledì 14 aprile metterà ai voti la riforma dell’università, riforma che riscrive le regole di funzionamento degli atenei. Il testo subirà non poche modifiche. Sono all’ordine del giorno i 25 punti presentati dal relatore di maggioranza, Giuseppe Valditara, con altrettanti emendamenti. Il primo e sostanziale cambiamento riguarda il «tetto annuo di 1.500 ore per l’attività dei docenti»: cadrà l’obbligo di “certificare” il lavoro dei professori: «Che non è quantificabile in ore - sostiene Valditara - Conta, invece, se uno abbia fatto ricerca e didattica di qualità: possiamo misurare e certificare pubblicazioni e risultati, non le ore, che oltre a non essere documentabili sollevano problemi d’incostituzionalità e non hanno alcun senso sul piano della valutazione». Insomma, niente tornelli negli atenei: non sono ministeri con impiegati che svolgono pratiche. Su questo sono tutti d’accordo, maggioranza e opposizione. Ma quali saranno gli altri cambiamenti? Sarà snaturato il testo di partenza? «Assolutamente no», afferma Valditara. L’esponente finiano assicura che gli interventi sono tutti «migliorativi» per eliminare «eccessi di prescrittività e di dirigismo» e afferma che gli emendamenti da lui presentati hanno «sostanzialmente l’ok del ministro». Comunque, Mariastella Gelmini difende il suo ddl e invita il Parlamento a non fare «passi indietro» ma al contrario a rafforzare gli aspetti qualificanti: «Sulla riforma nessun annacquamento - incalza Gelmini - gli atenei dovranno coniugare autonomia e responsabilità». Dunque, superato lo scoglio delle 1.500 ore, il braccio di ferro è ora sul Cda. La nuova composizione del Consiglio di amministrazione, che prevede l’ingresso di almeno il 40% di esterni, spacca il mondo accademico. Per la maggior parte dei professori e dei ricercatori il ddl consegna «poteri assoluti» al nuovo Consiglio, con un duplice effetto: «rafforzare le oligarchie che hanno portato gli atenei al dissesto» e «ridurre gli atenei a organismi lottizzati, stile Asl».
Le posizioni critiche, con toni diversi, non solo vengono da sinistra, ma anche da un caposcuola del pensiero liberale come Dario Antiseri, professore emerito della Luiss, il quale ha manifestato preoccupazioni e perplessità per «l’eccessivo potere» dato al Cda. Per Antiseri ci sarebbe anche il rischio di compromettere la libera ricerca e l’autonomia accademica, sacrificate sull’altare dell’interesse economico. Di altro parere il mondo imprenditoriale. La Confindustria, con alcuni dei suoi più prestigiosi rappresentanti, vedi Gianfelice Rocca, vicepresidente per l’Education, invoca «il vento nuovo della riforma» perché darebbe una governance migliore agli atenei. D’altra parte l’autonomia senza responsabilità ha provocato molti guasti: dalle corporazioni accademiche ai bilanci in rosso, ai concorsi truccati.
Vediamo gli emendamenti del relatore Valditara: «Fermo restando il principio dell’autonomia responsabile, l’obiettivo è di rendere più efficienti i meccanismi previsti da numerose norme. Per esempio, sia nel campo dell’organizzazione sia del reclutamento propongo di sopprimere alcuni commi che sono apparsi maggiormente prescrittivi e dirigisti, prevedendo complessi calcoli fondati su minuziosi quozienti, percentuali, numeri a cui le università dovevano rigidamente attenersi. In realtà, si rende il testo ancora più coerente con i principi dichiarati. Un altro esempio: non è giusto far decidere alle singole università la composizione delle liste dei commissari di valutazione, né è opportuno che il ministero nomini commissari di concorso. Gli emendamenti propongono delle rettifiche. Né appare coerente con una logica di autonomia responsabile che le università si scelgano i revisori dei conti fra i funzionari ministeriali. Mentre i procedimenti disciplinari faranno capo direttamente alle università che devono valutare i dipendenti e non a un organismo politico di giurisdizione domestica come il CUN». Il senatore aggiunge: «Tra gli emendamenti anche la revisione dell’articolo 9, per semplificare le procedure dei concorsi e renderle più snelle». Valditara poi spiega che metterà ai voti un’altra novità “forte”: «Potranno essere stipulati accordi di programma con cui consentire ai singoli atenei meritevoli di sperimentare modelli del tutto innovativi in tema di organizzazione, reclutamento e stato giuridico dei docenti. Sarà inoltre valorizzata l’autonomia statutaria dei singoli atenei in materia di governance, scegliendo fra un modello volto a separare i ruoli di presidente del Cda e di rettore, ma sarà anche possibile un modello che unifichi il tutto in un’unica persona”. Sarà comunque possibile evitare che rettori non più rieleggibili possano continuare a governare l’ateneo nella veste di presidenti del Cda, per impedire che una “governance duale” paralizzi l’azione del rettore». (Il Messaggero 12-04-2010)

 
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