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18 Novembre
RICERCA. RESEARCH ENHANCEMENT & DEVELOPMENT (RED) PDF Stampa E-mail

Si chiama RED, cioè Research enhancement & development, il primo corso dí alta formazione strutturato in un ateneo pubblico, La Sapienza di Roma e finalizzato a trasformare i ricercatori in imprenditori di successo. Il corso, della durata di un semestre (ora partiranno le domande per il secondo ciclo che si avvierà all'inizio del 2013), ha l'obiettivo di stimolare la connessione tra ricerca e mondo esterno indirizzandola verso lo sviluppo di soluzioni e prodotti innovativi fondati sui risultati della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche generate nell'ateneo. Insomma cercare di valorizzare le idee a più alto potenziale. Come? Grazie a un team guidato da un advisory board formato da accademici e da soggetti che investono in progetti innovativi, ma anche da imprenditori che guidano aziende ad alto tasso di innovazione e tecnologia. «Una composizione di profili», come spiega Andrea Lenzi, presidente del CUN, il Consiglio universitario nazionale, e ideatore del corso, «finalizzata a valutare e sostenere con idee e suggerimenti le idee a più alto potenziale». Ma com’è stato strutturato? «Abbiamo preso 20 tra i migliori ricercatori o dottorandi di tutte le discipline, li abbiamo messi insieme in un laboratorio e poi, per così dire, li abbiamo sottoposti a una sorta di terapia intensiva per guidarli a potenziare l'imprenditorialità accademica». Del resto innovazione e ricerca sono le chiavi per superare le difficoltà del mercato e sono una scelta obbligata per rigenerare la competitività italiana. E non possiamo perdere i talenti che le nostre stesse università formano. La ricerca italiana, secondo Lenzi, infatti, pubblica tanto e bene, giacché i suoi ricercatori sono massicciamente presenti al top delle ricerche più citate nel mondo, nonostante la scarsità di finanziamenti. «Purtroppo il ricercatore italiano tutela e valorizza poco le sue scoperte. Ecco perché il corso di alta formazione Red può rappresentare un ottimo esempio di addestramento al trasferimento tecnologico e delle conoscenze».
(Fonte: ItaliaOggi 29-10-2012)

 
RICERCA. MOLTA SCIENZA NON RIPRODUCIBILE ANCHE SU RIVISTE PRESTIGIOSE PDF Stampa E-mail

Il metodo sperimentale non ha guadagnato in solidità: a quanto pare, le riviste più prestigiose, quelle che selezionano con parsimonia e severità le ricerche da pubblicare, pullulano di scienza non riproducibile. Non è cosa da poco, perché la riproducibilità dell’esperimento è uno dei fondamenti del metodo galileiano. Ripetere un esperimento e trovarne l’errore permette alla comunità scientifica di filtrare la buona scienza da quella cattiva. Nella realtà le cose vanno diversamente, come ha denunciato su Nature Glenn Begley, ex-direttore della ricerca sul cancro presso la casa farmaceutica statunitense Amgen. Su 53 esperimenti selezionati in un decennio dal suo gruppo in vista di eventuali applicazioni farmaceutiche, solo in 6 casi è stato possibile confermare i risultati dichiarati dai ricercatori. Sempre su Nature, ma un anno prima, i laboratori della Bayer avevano raccontato un’esperienza analoga: i tre quarti delle sperimentazioni descritte sulle principali riviste scientifiche non sono risultate riproducibili. E per fugare il dubbio che sia una patologia riservata alle scienze mediche, ci soccorre la collezione di casi raccolta dal fisico Stefano Ossicini dell’università di Modena, nel suo recente “L’universo è fatto di storie, non solo di atomi” (ed. Neri Pozza): truffe ed errori rintracciati persino nelle scienze “dure” per eccellenza, come la fisica e la chimica. Bene, si dirà: significa che la cattiva scienza prima o poi viene a galla? Mica tanto. Come osserva lo stesso Ossicini, i meccanismi di controllo stentano a tenere il passo di un sistema di ricerca in espansione a livello internazionale, in cui cresce il numero di ricercatori ed esperimenti ma anche degli interessi economici e dei relativi conflitti. Chi lavora in un’azienda farmaceutica non segnalerà le ricerche irriproducibili, dopo aver sprecato tanto tempo al loro inseguimento: lascerà che ci sbattano il muso anche i concorrenti. Nemmeno le università rappresentano un efficace fact-checker, perché la ripetizione delle scoperte altrui non frutta pubblicazioni né finanziamenti. Dunque, ricerche scadenti continuano a condizionare carriere e denari. C’è chi corre ai ripari: la Science Exchange, una dotcom della Silicon Valley, propone ai ricercatori di certificare la riproducibilità degli esperimenti grazie a una rete di esperti disposti a fare da esaminatori. Questo marchio di qualità, come ogni servizio, si pagherà. In cambio, la maggiore affidabilità attrarrà investitori pubblici e privati, favorevoli a puntare su linee di ricerca di origine controllata.
(Fonte: A. Capocci, roars 28-10-2012)

 
RICERCA. IL DOTTORATO DI RICERCA ANCHE IN AZIENDA E NELLE IMPRESE PDF Stampa E-mail

È questo almeno secondo gli annunci del ministro Profumo e secondo quanto previsto dalla legge di riforma universitaria (240/10), il futuro del terzo gradino della formazione superiore. E finita, dunque, l'era del dottorato solo come primo livello di un'ipotetica carriera accademica. Così come quella dei titoli rilasciati, così specialistici da non essere spendibili al di fuori del dipartimento universitario che li aveva creati. La bozza di regolamento che a breve dovrebbe essere presentata dal numero uno dell'università e della ricerca punta, infatti, ad assicurare, che i corsi di dottorato, cui ogni anno accedono circa 12 mila laureati, siano legati a doppio nodo con il mondo del lavoro tanto da attivare corsi in collaborazione con le imprese, garantirne la spendibilità e la riconoscibilità, anche solo nella loro denominazione, a livello internazionale. Si parlerà di dottorato industriale degli enti e delle professioni, ci sarà una maggiore attenzione ai dottorati internazionali. Si dirà basta dunque al singolo progetto di ricerca che rappresentava lo spunto per dar il via a un isolato corso di dottorato.
(Fonte: ItaliaOggi 29-10-2012)

 
RICERCA. LE ECCELLENZE E LE DIFFICOLTÀ DELLA RICERCA IN ITALIA PDF Stampa E-mail

Luigi Nicolais, presidente del CNR, illustra luci e ombre della ricerca scientifica in Italia. Oggi Io stato di salute della ricerca nel nostro Paese, secondo Luigi Nicolais, presidente del CNR, è per così dire "resistente": «Nel senso che, a fronte di alte e qualificate prestazioni confermate dai risultati e dai riconoscimenti internazionali conquistati dai nostri bravi ricercatori, la quotidianità è condizionata da numerosi e sfibranti problemi. Tra i principali, l'esiguità di risorse, un eccessivo precariato, una burocrazia molto articolata e complessa, la frammentazione delle strutture scientifiche e formative, le dimensioni degli apparati produttivi, la bassa propensione al rischio da parte del mondo finanziario, l'assenza di ecosistemi di innovazione. Insomma: fare ricerca in Italia, tra le criticità proprie del sistema, non è facile né agevole, per certi aspetti è addirittura disincentivante. Ecco perché la definirei una ricerca resistente». Parliamo delle eccellenze. Quali sono i settori nella ricerca nel nostro Paese che maggiormente possono competere con l'Europa e il resto del mondo? «La ricerca italiana è eccellente dalla linguistica all'oncologia, dall'Ict alle nanotecnologie, dal diritto alla fisica, solo per citare alcuni settori. Il dato positivo, che si dovrebbe con maggior coraggio assumere a punto di forza, è che non abbiamo particolari ritardi a livello internazionale, come dimostrano i numerosi indici di produttività scientifica, se non nella scarsa utilizzazione dei risultati conseguiti dalla ricerca e nel loro mancato trasferimento al sistema produttivo e dei servizi, anche per la scelta di molte imprese di puntare su altri fattori di competitività: contrazione dei salari, de-localizzazione, mantenimento di infrastrutture e tecnologie datate. Tutto ciò genera un corto circuito, di non facile soluzione, che condiziona la tenuta competitiva dell'intero Paese e innesca pericolosi circoli viziosi dagli effetti devastanti». Ma qual è il problema di fondo e come si scelgono i settori strategici su cui investire? «L'immobilismo in cui la ricerca è costretta viene da lontano ed è il risultato di criticità spesso interne alla stessa comunità scientifica. E necessario un intervento straordinario da parte del governo, ma anche un impegno forte da parte del sistema produttivo, finanziario e scientifico. L'obiettivo da perseguire è quello di attrarre e trattenere il capitale creativo, valorizzarlo, nella prospettiva di rilancio e crescita del Paese. E’ indubbio poi che tra gli investimenti, soprattutto per quelli provenienti dal mondo industriale, vadano date priorità alle nanotecnologie, alle energie rinnovabili, alle biotecnologie, settori che promettono riscontri applicativi e vantaggi competitivi più immediati». Parliamo di giovani. È cambiato negli ultimi anni l'atteggiamento verso la ricerca da parte dei neolaureati? «Per fortuna, molti tra i giovani neolaureati scelgono di proseguire la loro esperienza formativa e di affermazione professionale continuando a restare nel mondo della ricerca. Ma gli abbandoni causati dalla mancanza di opportunità, dall'assenza di risorse, da scelte e comportamenti miopi e sleali rappresentano una perdita enorme per tutta la comunità scientifica. E un torto e un'offesa alla parte migliore del Paese e al suo futuro. Questi abbandoni disincentivano, demotivano, ingrigiscono e ingessano ulteriormente il sistema. Tutto ciò ci impoverisce e ci fa retrocedere. I giovani sono necessari alla ricerca, servono ad assicurare al settore continuità e creatività: senza di loro non è possibile far avanzare le conoscenze, esplorare nuovi campi, il loro entusiasmo, la loro passione sono contagiosi».
(Fonte: Il Giornale Liguria Dossier 25-10-2012)

 
RICERCA. "SCIENCE IN ITALY": IL SAPERE È SOCIAL PDF Stampa E-mail

E’ il nuovo modo in cui i ricercatori italiani possono sfruttare Facebook per far sentire la loro voce direttamente, parlando al pubblico, e magari arrivando su giornali e tv. Il progetto si chiama Science in Italy ed è una community attiva su Facebook alla pagina www.facebook.com/scienceinitalybeta . L’obiettivo è semplice: far emergere in modo esplosivo e diretto tutta la buona scienza prodotta e pubblicata dai ricercatori italiani promuovendola verso tutti quelli che di scienza vorrebbero sapere di più: pubblico, giornalisti, studenti, ma anche politici e decision makers e tutti quelli che twittano, postano e bloggano e che vogliono capire al volo quello che conta nella ricerca scientifica Italiana e, perché no, destinarvi risorse di sviluppo. Il progetto di Science in Italy vuole sfruttare la potenza del social network più grande del mondo anche per proiettare i ricercatori dall’accademia al mondo della comunicazione senza barriere, una tappa imprescindibile per gli scienziati di oggi per diffondere le proprie idee e contribuire a costruire il proprio successo personale. Il progetto nasce dall’esperienza e dalla passione per la scienza e la comunicazione scientifica dei fondatori Barbara Bernardini e Massimo Pizzo e si ispira alla grande libertà e potenza con cui la ricerca è promossa in altri paesi come gli Stati Uniti. Science in Italy invita quindi tutti i ricercatori italiani, di qualsiasi disciplina scientifica, a partecipare attivamente a questo progetto facendo sapere come il loro lavoro contribuisce al progresso o alla conoscenza del mondo in cui viviamo. Basta postare sulla pagina della community le proprie pubblicazioni più recenti e più interessanti. Science in Italy accoglie solo post tratti da pubblicazioni internazionali “peer reviewed”.
(Fonte: diregiovani.it 26-10-2012)

 
RICERCA. IL GARANTE DELLA PRIVACY: LA VQR È IMPOSTATA PER LA VALUTAZIONE DELLE STRUTTURE E NON DELLA PRODUTTIVITÀ DEI SINGOLI RICERCATORI PDF Stampa E-mail

Il 4 maggio 2012 i proff. Andrea e Pietro Ichino hanno chiesto l’intervento della CiVIT (Commissione per la Valutazione, l’Integrità e la Trasparenza nella pubblica amministrazione) e del Garante della privacy allo scopo di rendere pubbliche le valutazioni dei singoli ricercatori per mezzo dei dati raccolti per adempiere l’obbligo della valutazione 2004-2010 della qualità della ricerca (VQR), disposta dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, con le modalità previste dall’Agenzia per la valutazione (ANVUR). La CiVIT dava il suo parere positivo il 24 maggio, ma dopo giorni arrivava la risposta negativa della stessa ANVUR. E’ di questi giorni la risposta del Garante della privacy, che rigetta la richiesta: la VQR è concepita e impostata per la valutazione delle cosiddette strutture (i dipartimenti universitari e gli enti di ricerca) e non della produttività dei singoli ricercatori, anzi, al contrario, l’uso di quei dati per “l’apprezzamento del merito scientifico dei singoli ricercatori” fornirebbe “elementi non del tutto congrui“. E il Garante sottolinea che a tale scopo “il legislatore ha previsto altre e diversamente articolate procedure“.
(Fonte: P. Valente, roars 27-10-2012)
Un commento di F. Gregori (27 ottobre 2012): Nel RAE (REF) del Regno Unito i dati individuali non possono essere diffusi in alcuna circostanza, pena sanzioni anche severe. L’eventuale accesso personale ai propri dati individuali, inoltre, è regolato da limitazioni restrittive del loro uso. Dalle regole preliminari per il RAE 2008: “The main panels and sub-panels will not rate or score individual researchers. This is in keeping with the strong majority endorsement of the review group’s recommendation that ‘star ratings’ not be given to named individuals as a matter of principle”.

 
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