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12 Giugno
UN’AGENZIA PER ATTRARRE STUDENTI STRANIERI IN ITALIA PDF Stampa E-mail
La crescita italiana passa anche per l'attrazione dei migliori 'cervelli' dall'estero nel nostro sistema universitario. L’ha sottolineato il Ministro Giulio Terzi nel suo messaggio al convegno "Le reti e le agenzie d’internazionalizzazione in Europa", organizzato alla Farnesina da Uni-Italia, agenzia nata per attrarre studenti cinesi in Italia. Terzi ha sottolineato che "grazie alla sinergia" tra istituzioni, università e Uni-Italia, si è registrato un "aumento considerevole" di studenti cinesi iscritti nei nostri atenei, oltre undicimila dal 2008. Il Ministro dell'istruzione Francesco Profumo ha rilevato come l'Italia sia ancora "in ritardo" in Europa ed ha rilanciato la necessità di "un'agenzia per l'attrazione degli studenti stranieri, in grado di collaborare con le istituzioni, che lavori per migliorare il reclutamento e l'accoglienza di quanti desiderano venire a formarsi nel nostro Paese, e per creare un tessuto professionale strutturato". I paesi ritenuti prioritari dall'Italia sul fronte dell’internazionalizzazione sono Brasile, Indonesia, Vietnam, Corea del Sud e Paesi del Golfo, ha reso noto il presidente di Uni-Italia Cesare Romiti.
(Fonte: etribuna.com 08-06-2012)
 
IL PREMIO AGLI STUDENTI MIGLIORI PDF Stampa E-mail
Il ministro dell'istruzione Francesco Profumo, già rettore del Politecnico di Torino, si è ben presto accorto che il corpaccione della pubblica istruzione è difficile da modificare. In esso, infatti, si è accumulato un così imponente groviglio d’interessi corporativi e sindacali che resiste a ogni assalto. Ha perciò pensato, in attesa di tempi migliori, di dare un modesto segnale di cambiamento, introducendo il criterio che l'impegno degli studenti merita di essere segnalato e, nei limiti delle risorse disponibili, anche premiato, magari con delle borse di studio anche se modeste. Si trattava, ad esempio, di scegliere, alla fine dell’anno, sulla base dei risultati scolastici conseguiti, gli studenti migliori e di segnalarli come tali, in pubbliche cerimonie. Ma, contro questa ipotesi, è subito insorto un partito politico che ha immediatamente sottolineato che queste pratiche accentuano il divario fra gli studenti meritevoli e quelli che «per i più vari motivi» meritevoli non lo sono. Dire chi è stato bravo e indicarlo all'ammirazione (e all'imitazione) dei suoi colleghi studenti è, per il suddetto partito, una decisione antisociale dato che, per questo partito, la meritocrazia può anche essere predicata ma non deve mai essere praticata. Se il partito in questione fosse incaricato di stilare il regolamento del Giro d'Italia esso prevedrebbe il divieto di andare in fuga perché la fuga mette in evidenza, non il valore di chi si è preparato, ma la debolezza di chi ha poco fiato. Per quel partito quindi, se fosse coerente, anche le partite di calcio nelle scuole dovrebbero sempre concludersi con il pareggio per evitare che la squadra perdente si demoralizzi. Non sa, quel partito, che l'impegno a scuola è l'unico motore che consente ai figli degli umili di salire nella scala sociale?
(Fonte: P. Magnaschi, ItaliaOggi 06-06-2012)
 
PRESTITI UNIVERSITARI. ESITI MODESTI DEI PROVVEDIMENTI ADOTTATI PDF Stampa E-mail

I prestiti d’onore sono stati disciplinati per la prima volta in Italia una ventina di anni fa dall’art. 16 della legge quadro sul diritto allo studio universitario, la legge n. 390/91. Si trattava di una norma per certi versi all’avanguardia perché stabiliva delle condizioni piuttosto garantiste per lo studente, non molto dissimili da quelle attualmente in vigore nel sistema di sostegno tedesco: il prestito, a tasso zero, poteva essere concesso solo agli aventi diritto alla borsa di studio; la restituzione, rateale, doveva avvenire non prima dell’inizio di un’attività lavorativa; la rata del rimborso non poteva superare il 20% del reddito del beneficiario. Ma prevedere per legge un intervento non implica automaticamente che sia realizzato, e questo è solo uno dei molti esempi che ci fornisce la normativa italiana a riprova. Le ragioni del mancato avvio dei prestiti potrebbero essere imputate ad un inghippo formale, al fatto che il decreto ministeriale che doveva fissare i criteri di concessione delle garanzie e di corresponsione degli interessi non fu mai emanato; oppure alla formulazione dell’articolo troppo “rigida nella definizione delle caratteristiche e delle modalità di intervento che, di fatto, rendono tale strumento [il prestito] inapplicabile”, come scrisse il CNVSU (Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario). Più verosimilmente le cause sono di ordine culturale, la tradizionale elevata avversione al debito nel nostro Paese, cosicché neanche l’istituzione di un apposito Fondo per la concessione dei prestiti d’onore finalizzato a integrare le risorse finanziarie delle Regioni, cui era in capo la gestione, riuscì ad avere un effetto propulsore. Una decina di anni dopo, agli inizi del 2000, i comportamenti finanziari delle famiglie italiane sono cambiati, l’avversione all’indebitamento – sebbene sempre forte in comparazione ad altri paesi – si attenua. In questo mutato contesto culturale si inseriscono due contigui provvedimenti: a)il Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti da ripartire “tra le università per il finanziamento di progetti sperimentali e innovativi proposti dalle Regioni [...] per la concessione agli studenti di prestiti d’onore” (DM 23 ottobre 2003, art. 7); b) un Fondo una tantum di 10 milioni di euro, ripartito tra tutte le Regioni, per la costituzione di garanzie sul rimborso dei prestiti fiduciari agli studenti e per la eventuale corresponsione di contributi in conto interessi ai capaci e meritevoli privi di mezzi (legge finanziaria 2004, art. 4, co. 99, 100 e 102).
Quali sono stati gli esiti? In entrambi i casi assai modesti. Nel complesso gli studenti che hanno acceso un prestito d’onore o un prestito fiduciario non raggiungono lo 0,1% del totale della popolazione studentesca, con una lieve maggiore “riuscita” dei primi rispetto ai secondi, come si evince comparando le tabelle 1 e 2, ad un minor costo: il finanziamento statale per i prestiti d’onore nel periodo 2003-2011 è stato di 4,1 milioni di euro contro i 10 milioni di euro stanziati per i prestiti fiduciari.
Nel 2008, il Ministero delle Politiche giovanili – in collaborazione con il Ministero per le Riforme e le Innovazioni nelle PA e il MIUR – realizza a livello nazionale un ulteriore progetto denominato “Diamogli credito”. E’ istituito un Fondo pari a 33 milioni di euro, di durata triennale, a garanzia delle somme prestate agli studenti dagli istituti di credito aderenti all’iniziativa. In cosa differiscono questi prestiti dagli allora vigenti prestiti d’onore e fiduciari? Sono ammissibili al finanziamento solo precise spese per determinati importi massimi: 1.000 euro per acquistare un computer portatile; 6.000 euro per partecipare al programma Erasmus; 2.000 euro per pagare le tasse universitarie; 6.000 euro per iscriversi a un corso post-laurea; 3.000 euro per far fronte agli oneri di locazione (deposito cauzionale o costi di intermediazione) per gli studenti fuori sede.
In cosa sono analoghi? Nei risultati: 1.560 prestiti concessi in totale negli anni 2008-2010. Il modestissimo esito dell’iniziativa può trovare spiegazione ancora una volta nelle condizioni applicate, non solo e non tanto nel requisito di merito richiesto per l’accesso – che comunque escludeva una fetta di popolazione studentesca dall’intervento – quanto piuttosto ne: il tasso d’interesse di poco inferiore al 6%; l’inesistenza di un periodo di grazia, per cui la restituzione doveva avvenire subito dopo l’ultima rata di finanziamento; la procedura assolutamente tortuosa per accedervi (come si legge nel protocollo d’intesa stipulato tra i Ministeri e l’ABI nel 2007). Questi fattori hanno probabilmente dissuaso gli studenti potenzialmente bisognosi dall’aderire al progetto, inducendoli a rivolgersi ad altre fonti: parenti, amici, lavoro, e perché no, a istituti di credito non convenzionati.
Nel 2010 il progetto DiamogliCredito si trasforma in Diamogli Futuro: il Fondo per il credito ai giovani è lo stesso, seppure con una rimanente minore dotazione finanziaria, pari a 19 milioni di euro, ma cambia la “destinazione d’uso”: serve a garantire il finanziamento degli studi a studenti meritevoli, iscritti a corsi di laurea o post-laurea, per un ammontare massimo di 5.000 euro l’anno. Lo studente può cumulare fino a 25.000 euro di debito da restituire dopo due anni e mezzo dall’ultima rata di finanziamento, al tasso d’interesse applicato dall’istituto di credito convenzionato, e all’uopo fu stipulato un nuovo protocollo d’intesa tra il ri-nominato Ministero della Gioventù e l’ABI. S’ignora quanti prestiti siano stati accordati tramite questo progetto, che, di fatto, ha preso avvio dall’a.a. 2011/12, ma s’immagina che sia ben lontano dai 19.000 beneficiari previsto dall’allora ministro Meloni.
(Fonte: F. Laudisa, roars 04-06-2012)

 
UNIVERSITÀ ALL’AVANGUARDIA NEL SOCIAL NETWORK PDF Stampa E-mail

Con 21.936 fan, l’Università degli Studi di Torino è la più social-oriented, posizionandosi in cima alla classifica italiana che valuta l’interazione tra università e studenti, tramite l’inedita condivisione che offre lo strumento Facebook. L’analisi è stata svolta da Universita.it, ma è stata preceduta da uno studio del 2010 condotto da Fabio Giglietto, ricercatore del Dipartimento di Studi della Comunicazione dell’Università di Urbino, sul rapporto tra atenei e social network. l’Università di Torino è presente su Facebook dal 2009 e da subito con un profilo ufficiale, a differenza di molte altre università, le cui pagine sono state spesso create dagli studenti stessi per scambiarsi informazioni su orari, professori, corsi ed esami.
La grande forza dell’ateneo torinese è il considerare tutti i social network come veri e propri canali istituzionali complementari, tanto che i post che appaiono su Facebook sono derivati o rimandando agli avvisi che già compaiono sul portale ufficiale dell’Università, a cura della stessa redazione web. Ma si tratta di uno strumento gestito tutt’altro che dall’alto: anzi, gli studenti sono invitati a partecipare e proporre notizie ed eventi da pubblicare tramite l’indirizzo redazioneweb@unito.it. Congiuntamente alle piattaforme esterne, come appunto Facebook, ma anche Twitter, Youtube e Uniwiki, vengono offerte delle community di creazione dell’ateneo stesso, come Bloggato Village, che raccoglie i blog dell’Università, e Botta e Risposta (qui tutte le regole per utilizzarlo).
Un netto distacco rispetto alle altre università italiane, che spesso creano un proprio profilo sui vari social network ma lo lasciano inutilizzato, soprattutto nel caso di Twitter: «ben il 64% fra le 25 maggiori università per quantità di iscritti ha aperto un proprio account su Twitter. Tuttavia malgrado alcuni atenei riescano ad avere anche fino a più 2000 “followers”, il numero di coloro che realmente cinguettano l’uno con l’altro risulta molto basso. Sempre più all’avanguardia si pone invece l’Alma Mater di Bologna, che ha lanciato durante l’inaugurazione dell’anno accademico «l’assetto smart delle piattaforme di informazione e delle strategie di comunicazione disponibili per smartphone e tablet, sistemi operativi iOs e Android […] A commentare l’intero progetto è stato Alberto Tivoli, amministratore dell’agenzia, laureato in Economia proprio all’Università di Bologna: “Siamo orgogliosi di un incarico così prestigioso e riteniamo che con la mobile application l’Università abbia mutato radicalmente la relazione con i propri utenti, gli studenti. Avere l’Università a portata di tap permetterà un approccio completamente rinnovato, destinato a rafforzare l’engagement con gli iscritti in modo duraturo.”
(Fonte: F. Corno, controcampus.it 04-06-2012)

 
THE WORLD UNIVERSITY RANKINGS 2011-2012 PDF Stampa E-mail
Pubblicata la classifica annuale Times Higher Education, che indica le università più prestigiose al mondo. La graduatoria stilata in collaborazione con Reuters è basata su 13 elementi, raggruppati in 5 categorie: qualità dell'offerta formativa, della ricerca, influenza delle pubblicazioni, innovazione e internazionalità. Per ogni categoria viene assegnato un punteggio, il cui totale determina la posizione. Tutti statunitensi gli atenei che si piazzano sul podio, seguiti dagli inglesi Oxford e Cambridge. Lontani gli italiani, tra i quali si piazza prima l'Università di Bologna, al 226esimo posto della graduatoria generale. Al primo posto il California Institute of Technoloy, che ha realizzato 94,8 punti.
(Fonte)
 
RANKING. CONSIDERAZIONI SUL PIAZZAMENTO DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE PDF Stampa E-mail

Come ogni anno, è stato pubblicato da poco il Times Higher Education World University Ranking, che classifica i primi duecento atenei del mondo. Nessuno di questi è italiano. Poco meglio ci è andata con il ranking OCSE, che nei primi duecento posti piazza Bologna e la Sapienza di Roma, mentre nei primi 500 posti inserisce 15 nostri atenei; due anni fa, nel 2008, erano sette in più. Rimango stupito da come l’accettazione di questi dati possa essere utilizzata per sostenere posizioni tra loro contrapposte: da un lato, c’è chi dà la colpa ai tagli governativi per un calo della qualità complessiva della nostra istruzione superiore; dall’altro, proprio il ministero lamenta che i risultati siano per il nostro paese poco lusinghieri e quindi trova in essi una giustificazione per il lavoro di continua ri- e de-strutturazione della nostra vita universitaria. Che la prima opinione sia sostenibile mi pare evidente, perché si basa su un arretramento relativo della qualità dei nostri atenei che la successione delle classifiche mostra chiaramente. L’università italiana peggiora le sue capacità di produrre e diffondere conoscenza: il mancato rinnovo dei contratti precari si traduce in ricerca che non si fa, mentre un discreto numero di contratti a tempo indeterminato mantiene al lavoro persone che non si mostrano in grado di dare quanto ricevono.
Ci si può chiedere: nel 2007-08 l’università pre-Gelmini, una università già in sofferenza indubbia, era messa così male sul piano comparativo? Riprendiamo un attimo i dati del 2008, ma facciamoci alcune domande su come sono espressi i valori in campo. In primo luogo: le università nel mondo quante sono? Noi sappiamo di vedere una porzione di classifica, ma quanto si avvicina al fondo? Se io vedo un elenco delle prime quattro squadre della Serie A, non so valutare il valore della quarta finché non mi dicono che le squadre sono 20. Ora, facendo una stima puramente operativa, si può dire che nel mondo ci siano oltre cinquemila sedi universitarie i cui titoli sono riconosciuti dall’autorità statale di appartenenza. Questo significherebbe che il “top 500” è un “top 10%” degli atenei mondiali: essere cinquecentesimi, insomma, rende molto più simili ad Harvard e a Cambridge che non alle università di “mezza classifica”, fa entrare in un’élite istituzionale. E nel 2008 tra queste 500 università di altissimo livello mondiale gli atenei italiani erano 22. L’Italia si trovava al settimo posto del mondo per numero di università piazzate nel gruppo, in armonia con il suo ruolo nelle relazioni istituzionali e sociali del pianeta, con la diffusione della sua lingua e con il numero dei suoi abitanti, e appena dietro la Francia che anche allora spendeva per l’istruzione superiore molto più di noi.
Ancora più anti-intuitivo può apparire il sostanziale funzionamento del sistema di reclutamento. Infatti, se i nomi italiani sono rari nella prima metà della classifica a questo “top 10%” appartengono diverse università molto popolate, al punto che oltre il 35% degli studenti di istituti superiori in lingua italiana ha il privilegio (un po’ più raro e molto meglio pagato negli USA) di studiare in atenei di eccellenza mondiale. Quindi è sostanzialmente conseguito l’obiettivo del reclutamento italiano, che era quello di conseguire un livello medio piuttosto elevato della docenza e di evitare che tra le diverse sedi si istituisse uno squilibrio eccessivo, al fine di garantire a tutti i cittadini, a parità di spesa, un servizio simile.
Insomma, i dati possono portare a conclusioni completamente contrarie a quelle che si leggono sui giornali: all’università non si raccomanda più che nel resto del paese; i casi di nepotismo e familismo ci saranno pure, ma sarebbero episodi facilmente arginabili con l’intervento della magistratura; l’università italiana si mostra più competitiva e più apprezzata, a livello internazionale, di quanto lo siano i nostri imprenditori, la nostra classe politica e la nostra pubblica amministrazione; le sacche di inefficienza, che tutti sappiamo esistere, non sono maggioritarie, e potrebbero essere facilmente azzerate da una campagna di licenziamenti mirata; anche la maggioranza dei “baroni” sono persone che guidano tutto sommato bene la nave, e lo fanno per uno stipendio che rappresenta pochi punti percentuali della liquidazione che qualche anno fa Paolo Cantarella si è preso per aver lasciato la FIAT ben oltre l’orlo del fallimento.
(Fonte: A. Mariuzzo, linkiesta.it 07-06-2012)

 
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