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12 Maggio
RISULTATI SINGOLI DELLA RICERCA. PERCHÉ L’ANVUR NON NE PUBBLICA LE VALUTAZIONI? PDF Stampa E-mail

Il 4 maggio Andrea e Pietro Ichino hanno presentato alla Civit e al Garante dei Dati Personali un esposto in cui contestano un orientamento operativo dell’ANVUR. Come segue.
“I sottoscritti osservano che l’orientamento operativo espresso dall’ANVUR nel senso di non pubblicare l’esito delle valutazioni relative alle singole pubblicazioni appare in contrasto non soltanto con la disposizione di natura regolamentare citata nello stesso sito dell’Agenzia, contenuta nel DM 7 luglio 2011, ma anche e soprattutto con la norma contenuta nel comma 3-bis dell’articolo 19 del d.lgs. n. 196/2003 (c.d. Codice della Privacy), che recita testualmente: 3-bis. Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione sono rese accessibili dall’amministrazione di appartenenza. Non sono invece ostensibili, se non nei casi previsti dalla legge, le notizie concernenti la natura delle infermità e degli impedimenti personali o familiari che causino l’astensione dal lavoro, nonché le componenti della valutazione o le notizie concernenti il rapporto di lavoro tra il predetto dipendente e l’amministrazione, idonee a rivelare taluna delle informazioni di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d)”.
Il detto orientamento operativo dell’ANVUR appare inoltre in contrasto con la disposizione contenuta nell’articolo 4, lettera h, della legge n. 15/2009, a norma del quale ciascuna amministrazione deve: “[…] h) assicurare la totale accessibilità dei dati relativi ai servizi resi dalla pubblica amministrazione tramite la pubblicità e la trasparenza degli indicatori e delle valutazioni operate da ciascuna pubblica amministrazione, anche attraverso: 1) la disponibilità immediata mediante la rete Internet di tutti i dati sui quali si basano le valutazioni, affinché possano essere oggetto di autonoma analisi ed elaborazione; 2) il confronto periodico tra valutazioni operate dall’interno delle amministrazioni e valutazioni operate dall’esterno, per opera delle associazioni di consumatori o utenti, dei centri di ricerca e di ogni altro osservatore qualificato”.
(Fonte: http://www.pietroichino.it/?p=20995)

 
TAGLI DI SPESA E CARRIERE DEI RICERCATORI PDF Stampa E-mail
E’ importante porsi il problema su possibili tagli di spesa perché questi saranno inevitabili. A questo proposito dobbiamo preliminarmente osservare che la recente Legge Gelmini comporta un forte aumento delle spese, determinato dalla decisione di mettere ad esaurimento il ruolo dei ricercatori. Ci sarà, infatti, una meritatissima promozione di massa al ruolo degli associati di almeno 15.000 ricercatori. Tanti saranno, infatti, i ricercatori con titoli scientifici decisamente superiori a quelli della maggioranza degli attuali associati. C’è quindi il forte rischio che l’applicazione ormai imminente della Legge Gelmini renda impossibile per molti anni il reclutamento di giovani in posizioni suscettibili di passaggio nei ruoli (cioè come ricercatori di tipo b) secondo le previsioni della legge. Per evitare questo blocco delle assunzioni bisognerà intervenire con modifiche di legge che ripartiscano su diversi anni il peso della promozione dei ricercatori di ruolo, assicurando nel frattempo il bando di un congruo numero di posti di ricercatore di tipo b.
(Fonte: A. Figà Talamanca, roars 07-05-2012)
 
RIFORMA. RALLENTATA DALLE PROROGHE PDF Stampa E-mail
Non ho mai ricevuto tante convocazioni per un Consiglio di Facoltà come da quando non c'è più la Facoltà. Ma non è un'esperienza eccezionale: è la regola. Una regola non scritta con cui gli atenei italiani stanno svuotando le regole scritte nella legge. Applicazioni al ribasso, acrobazie interpretative, proroghe al quadrato, tempi biblici per attuare la riforma. Nell'università italiana vale la più celebre legge della chimica: nulla si crea e (soprattutto) nulla si distrugge. Sta di fatto che la legge 30 dicembre 2010, n. 240, fissava un tempo massimo entro il quale gli atenei avrebbero dovuto correggere i propri statuti, per adeguarli alla nuova disciplina: 29 luglio 2011. Termine puntualmente rispettato soltanto da 4 università su 67 (Tuscia, Piemonte orientale, Ca' Foscari, Magna Graecia). E le altre? Tutte a mendicare una proroga al ministro, che infatti sposta in avanti le lancette di altri tre mesi: 29 ottobre 2011. Ma a fine marzo 2012 solo 33 atenei avevano tagliato i nastri del traguardo; gli altri arrivano, col fiatone, in questi giorni. Perché ogni statuto dev'essere approvato dal ministro, perché il ministro ha avuto spesso da obiettare, perché a loro volta gli organi accademici hanno obiettato alle obiezioni.
(Fonte: M. Ainis, Corriere della Sera – Sette 05-05-2012)
 
RIFORMA GELMINI. GLI EFFETTI DELL’AUTONOMIA IPER-REGOLATA DAL CENTRO PDF Stampa E-mail
La lettura degli statuti e le voci che vengono da dentro gli atenei inducono a ritenere che la riforma degli assetti di governo interni non produrrà gli effetti sperati (e che anzi potrebbero prodursi degenerazioni simili a certi presidenzialismi alla sudamericana, visto lo strapotere del rettore, la sua irresponsabilità e l'assenza di meccanismi che garantiscano che chi è eletto a questa carica abbia le competenze tecnico-politiche necessarie). Inoltre, la riorganizzazione delle strutture interne sta producendo caos, perdite di identità, conflitti, e rischia di indebolire ulteriormente la capacità degli atenei di organizzare e gestire le attività didattiche. La logica quasi ossimorica dell'autonomia iper-regolata dal centro rischia di riprodurre effetti già visti (controllo occhiuto sulle procedure da parte del centro, sostanziale libertà delle università di fare quello che vogliono, dal punto di vista qualitativo, nella didattica e nella selezione e promozione del personale docente). A tutto ciò si potrebbero aggiungere altri elementi significativi della gestione della politica universitaria attuale (dall'arzigogolato sistema concorsuale all'ansia bibliometrica che ha preso l'Anvur nella valutazione della ricerca scientifica), e la sostanza non cambierebbe. Certo, nel lungo periodo alcuni effetti potrebbero essere positivi, perché il cambiamento di tante regole genera effetti non previsti e consente margini per nuove opportunità che possono essere colti da alcuni attori a livello istituzionale. Ma si tratta di effetti casuali e comunque circoscritti. La legge Gelmini, insomma, è partita con tanti buoni propositi, ha cambiato molte regole ma in modo spesso incoerente, non avendo un modello chiaro da proporre di funzionamento istituzionale delle università. Come tutte le ambiziose riforme strutturali di politica pubblica in Italia, anche quella universitaria della Gelmini soffre dell'ansia iper-regolatrice, della difficoltà a scegliere visioni nette e chiare e di un’evidente difficoltà a indirizzare l'implementazione nei tempi e nei modi necessari.
(Fonte: G. Capano, il Mulino 2/2012)
 
RIFORMA GELMINI. ACCENTUAZIONE DEL CONTROLLO BUROCRATICO PDF Stampa E-mail

La principale caratteristica dei sistemi d'istruzione superiore nella nostra età è rappresentata, dal sommarsi di finalità tradizionali, quali lo sviluppo del sapere e la sua trasmissione, con finalità di più recente identificazione, come la fornitura di conoscenza applicabile alla società sotto forma di tecnologie e di competenze professionali utili allo sviluppo economico, ma anche di collaborazione diretta e indiretta a diverse forme di evoluzione della società. Da un lato, dunque, si ripropone la combinazione - non semplice - di finalità di tipo egualitario dell'offerta formativa, rivolta al maggior numero di utilizzatori, con quella della formazione della classe dirigente (se si vuole dell'élite) del Paese; dall'altro, emerge il tema della «conoscenza utile». A quest'ultimo riguardo andrebbe chiarito, peraltro, cosa s’intenda con l'aggettivo «utile», dal momento che vi sono compresi significati economici (sviluppo dell'economia attraverso l’utilizzo delle conoscenze e delle scoperte scientifiche) e significati sociali (formazione della/alla cittadinanza). Ma questi problemi non entrano nell'ottica della legge 240, all'interno della quale la contraddizione maggiore sembra quella legata alla dimensione dell'autonomia dell'università. Da una parte, la legge tende a rinforzare il potere dei vertici dell'ateneo (rettore, consiglio di amministrazione, professori ordinari quali unici membri delle commissioni di concorso) secondo una logica che prevede la necessità/capacità di gestire una politica di ateneo, ma, dall'altra, introduce una serie di vincoli all'organizzazione della vita e delle attività degli atenei secondo uno schema tipico del modello centralistico-burocratico di origine napoleonica, fondato su un controllo formale ex ante che nessun altro sistema nell'Europa continentale mette oggi in atto in modo così minuzioso. Il risultato non potrà che essere il rafforzamento del tradizionale rapporto tra governo (Stato) e settori disciplinari (rappresentati dal Cun), a consolidamento della connessione verticale tra docenti con la loro leadership nazionale a scapito di una loro adesione-«affezione» al proprio ateneo. Con la conseguente esclusione/marginalizzazione della reale autonomia delle università (ridotte a un insieme di mini-Repubbliche tra loro indipendenti) e della loro possibile competizione nel «libero» mercato. Le valutazioni ex post delle prestazioni che dovrebbero avvenire con l'andata a regime, fra un certo numero di anni, dell'Anvur - che, costituito nel 2006, andava messo in funzione prima della legge di riforma se si voleva davvero puntare su autonomia degli atenei e valutazione di sistema - si sommeranno poi a quelle sopraindicate, ottenendo la combinazione dell'esame delle attività di processo e di quelle di prodotto.
Dunque, il quadro che emerge si connota con un'accentuazione degli elementi di controllo burocratico e quindi di omogeneizzazione forzata di istituzioni destinate a operare in realtà profondamente diverse. E del resto, in assenza di una visione complessiva delle finalità del sistema d'istruzione superiore, la realizzazione della legge sembra stia avvenendo secondo le consuete regole dell'ottemperanza alla norma nella forma, prescindendo dalle conseguenze.
(Fonte: R. Moscati, il Mulino 2/2012)

 
AUTOVALUTAZIONE, VALUTAZIONE PERIODICA E ACCREDITAMENTO (AVA) PDF Stampa E-mail

Il decreto legislativo n. 19 del 27 gennaio 2012, in applicazione dell’articolo 5, comma 3 della Legge n.240 del 30 dicembre 2010, prevede l’introduzione del sistema di accreditamento iniziale e periodico dei corsi di studio e delle sedi universitarie, della valutazione periodica della qualità, dell’efficienza e dei risultati conseguiti dagli atenei e il potenziamento del sistema di autovalutazione della qualità e dell’efficacia delle attività didattiche e di ricerca delle università. Il decreto affida all’ANVUR il compito di fissare metodologie, criteri, parametri e indicatori per l’accreditamento e per la valutazione periodica. Il decreto inoltre assegna all’ANVUR la verifica e il monitoraggio dei parametri e degli indicatori di accreditamento e valutazione periodica. In accordo con quanto suggerito dal decreto, l’elemento portante dell’intero sistema integrato autovalutazione/valutazione periodica/accreditamento (AVA) è l’assicurazione interna della qualità nei corsi di studio, nei dipartimenti e nell’intero ateneo. Il potenziamento dell’autovalutazione, unito all’avvio di forme di controllo esterno chiare e trasparenti, è finalizzato a un miglioramento continuo della qualità della formazione e della ricerca. L’intero sistema integrato AVA comporta un riassetto e una razionalizzazione del lavoro già in atto presso gli Atenei e per qualche aspetto richiederà nuovi adempimenti.
Sul sito ANVUR sono stati pubblicati i primi documenti relativi ad AVA:

http://www.anvur.org/?q=ava-documenti ; http://www.anvur.org/?q=ava-presentazione
 
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