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30 Aprile
MANCANO PROFILI ADEGUATI DI LAUREATI PER LE IMPRESE INTERNAZIONALI PDF Stampa E-mail
A criticare la scuola e l'università made in Italy sono le società internazionali, aderenti al comitato investitori esteri di Confindustria, in un documento presentato la scorsa settimana a Milano e realizzato in collaborazione con Eni. Del gruppo fanno parte società come Alcatel-Lucent, Alstom, American Express, Bristol Meyers Squibb, British Petroleum, Edt. General Eletric, Hon*m, Shell, Novartis. Il comitato confindustriale, presieduto dal presidente dell'Eni Giuseppe Becchi, ha stimato che rispetto al numero di laureati che le società sono disposte ad assumere restano scoperti 19.700 posti da ingegneri, 14.600 di esperti economico- statistici, 7800 medici, 3.800 dell'area giuridica. Le università continuano invece a formare in eccesso rispetto alle richieste delle aziende laureati nel settore politico-sociale (14 mila di troppo, nel campione confindustriale), 10.200 nelle materie letterarie, 7 mila per il settore linguistico, 3.700 in architettura, 3.200 nell'ambito geobiologico, e poi seguono quello scientifico, quello agrario e gli insegnanti. Certo il tutto è parametrato rispetto ai fabbisogni di colossi internazionali, ma altre indagini, da quelle annualmente realizzate da Almalaurea per esempio, emergono analisi non troppo dissimili. «Nonostante la riforma del 3+2 abbia permesso l'aumento di laureati nel paese», si legge nel report coordinato da Pietro Guindani, presidente Vodafone Italia, «le imprese con un orizzonte operativo globale spesso faticano a indentificare profili adeguati rispetto alle esigenze poste dal contesto internazionale e a inserirli rapidamente in azienda». Lo studio conferma che esistono al tempo stesso un surplus e un deficit di professionalità, che si traduce in uno spreco di risorse e in opportunità mancate. «Il problema è l'orientamento professionale fatto già a scuola, sia per quanto riguarda la scelta dell'università».
(Fonte: ItaliaOggi 17-04-2012)
 
CORSI DI LAUREA. DIMINUITI DEL 17% IN CINQUE ANNI PDF Stampa E-mail
Secondo i dati elaborati da ItaliaOggi, su fonte MIUR (v. Tabella), i corsi di laurea per l'anno in corso hanno subito un ulteriore taglio passando da 5.108 del 2010/2011 a 4.830 del 2011/12 con un taglio del 5,4%. La sforbiciata ha toccato 278 corsi di laurea, 169 lauree triennali di primo livello o cosiddette a ciclo unico e 109 lauree magistrali o specialistiche. Del resto tra il nuovo quadro di regole che ha imposto agli atenei di razionalizzare l'offerta formativa, il taglio al fondo del finanziamento ordinario e le assunzioni ancora ferme, la sforbiciata dei titoli è praticamente d'obbligo.  In ogni caso la retromarcia iniziata nel 2007 (picco massimo dell'offerta formativa) oggi ha portato a risultati concreti: i corsi di laurea, fra triennali e specialistici, sono scesi sotto la soglia di 5mila passando dai 5.823 del 2007 agli attuali 4.830 con un calo del 17%. Ma quali hanno subito i maggiori tagli? Su un ideale podio suddiviso in quattro aree (sanitaria, scientifica, sociale e umanistica) in cui il Miur suddivide la torta dei corsi si collocano primi tra tutti quelli dell'area scientifica, erano 2.005 lo scorso anno sono arrivati a 1.914 nel 2011 (- 91 corsi di laurea), seguono quelli dell'area sociale, da 1.316 a 1.242 (-74) e umanistica da 824 a 762 (-62 corsi). Diverso il caso delle lauree dell'area sanitaria e quelle a ciclo unico (medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, medicina veterinaria, farmacia, chimica e tecnologie farmaceutiche, architettura, ingegneria edile e giurisprudenza) che non subiscono riduzioni perché afferenti a professioni regolamentate e, talvolta, con programmazione nazionale degli accessi. (Fonte: B. Pacelli, ItaliaOggi 20-04-2012)

 
ENTRARE IN ACCADEMIA PER LAUREARSI PDF Stampa E-mail
Notevole è l'aumento delle richieste di arruolamenti volontari e delle domande per entrare in Accademia. Il primo maresciallo Paolo Bevilacqua, ad esempio, racconta che «rispetto a sette anni fa c'è stato un aumento del 75% degli arruolati e questo dato è valido per qualsiasi parte d'Italia». Forse i numeri sono eccessivi, ma l'aumento c'è stato ed è notevole. Il motivo? «Frequentare l'Accademia», continua Bevilacqua, «è oggi come non mai soprattutto una questione economica: i ragazzi fanno il concorso e, una volta selezionati hanno la possibilità di frequentare qualsiasi facoltà, da medicina a ingegneria, da lettere ad economia, senza dovere sostenere alcuna spesa e, nel frattempo, intraprendono anche la carriera militare». Una volta terminati gli studi si firma una ferma obbligatoria di diversi anni, a seconda dello specifico settore, al termine della quale si può esercitare la propria professione anche al di fuori delle forze armate.
(Fonte: Libero 20-04-2012)
 
NUOVA LAUREA IN FISICA ATMOSFERICA E METEOROLOGIA PDF Stampa E-mail
Approda in Italia la prima laurea magistrale in fisica atmosferica e meteorologia. Le iscrizioni si faranno all' Università dell'Aquila, ma si frequenterà alla Sapienza di Roma. «La sede amministrativa sarà l' Aquila per favorire gli studenti: essendo zona terremotata, non pagheranno le rette», spiega Giancarlo Ruocco, direttore del dipartimento di Fisica e prorettore alla Ricerca alla Sapienza. Il corso dovrebbe partire nel novembre del 2013, ma il professor Guido Visconti, ordinario in Fisica dell’atmosfera e oceano spera possa decollare già dal prossimo novembre. «Quel che è certo», commenta, «è che anche l'Italia formerà ora una figura che in altri Paesi esiste da decenni, e che nel nostro Paese, a forte rischio idrogeologico, è fondamentale, ad esempio, per la previsione accurata di fenomeni come le piogge torrenziali». Da noi, fra l’altro, non esiste un vero servizio meteorologico civile: tutto è affidato all'Aeronautica militare o alle strutture regionali della Protezione civile. «Ma non si può riservare agli enti territoriali un servizio che ha rilevanza nazionale», aggiunge Visconti. Secondo il quale c'è una forte mancanza di esperti del clima, sia meteorologi sia climatologi. «Su 450 docenti universitari di fisica, in Italia, solo tre si occupano di fisica atmosferica».
(Fonte: A. Luongo, Corsera 20-04-2012)
 
VALORE LEGALE EUROPEO DEI TITOLI DI STUDIO PDF Stampa E-mail
Nell’interesse dell’utenza, lo Stato deve verificare che ciò che viene presentato come titolo universitario abbia un livello adeguato. L’obiettivo è perciò una valida procedura di accreditamento. Questa strada è comune a quasi tutti i Paesi europei; nel documento della VII Commissione del Senato si rileva addirittura che, attraverso le procedure di assicurazione della qualità sviluppate nell’ambito del “processo di Bologna”, «tale processo di armonizzazione dei sistemi d’istruzione … potrebbe portare in un futuro non lontano a una sorta di formale riconoscimento europeo dei titoli di studio nazionali, ovviamente basato sugli accreditamenti e sulle valutazioni delle Agenzie nazionali di valutazione, coordinate dall’ENQA». E’ un “valore legale” europeo. Nel caso delle professioni regolamentate in sede europea tale valore esiste già, e un’eventuale “abolizione” violerebbe precise Direttive dell’Unione. Nel sistema italiano, l’accreditamento equivale all’autorizzazione all’attivazione del Corso di studio; e non avrebbe senso che lo Stato da un lato autorizzasse lo svolgimento di un Corso, ma d’altro lato ne negasse il valore. Da poche settimane è ora in vigore il Dlgs 19 (27/1/2012), che affida all’ANVUR il compito non solo dell’accreditamento iniziale, ma anche di quello periodico e di pregnanti procedure di valutazione; un esercizio puntuale di queste funzioni rappresenta lo strumento principale per giungere alla qualificazione complessiva dell’offerta formativa delle università e non alla distinzione tra Corsi validi e altri invalidi ma autorizzati anch’essi.
(Fonte: da un documento promosso da 14 docenti di prestigio e pubblicato su roars il 15-04-2012)
 
VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO. QUALI GARANZIE DI QUALITÀ? PDF Stampa E-mail
Il punto non è l’esistenza di un «valore legale» in quanto tale, bensì il sistema che ci garantisce di preparare al meglio le persone. Come «ricostruire su basi diverse le garanzie di qualità» del titolo di studio? Come possiamo verificare quello che c’è «dentro» un titolo, per vedere quanto vale? Lo si può fare in vari modi: ad esempio, attraverso verifiche condotte sugli studenti. Un’altra strada è basata sull’accreditamento. Si può allora pensare a un sistema di accreditamento pubblico, oppure di categoria, come accade per le Bar associations degli avvocati Usa. La via che ha scelto il nostro Paese è quella di una agenzia terza come l’Anvur e mi sembra francamente la soluzione migliore. Perché? Perché è la soluzione che più mi pare adeguata a ricostruire la razionalità del sistema, nel rispetto del nostro obiettivo più importante che è quello di alzare la qualità della formazione universitaria. Direi che è la via migliore per traghettare il sistema dai guasti dell’uniformità e della sua evoluzione (proliferazione delle sedi, università telematiche, etc.) verso un sistema più coerente e rigoroso. Secondo lei quale sarà la principale evoluzione? Il passaggio da un riconoscimento ottenuto una volta per tutte – una cosa a priori, senza valutazione della qualità – a un riconoscimento continuo e sulla base della valutazione della qualità. Ciò avverrebbe, come dicevo, senza sconvolgere un sistema universitario che negli ultimi vent’anni ha subito troppi cambiamenti destabilizzanti. E il valore legale? Si potrebbe collegare a questo accreditamento il riconoscimento del valore legale, cioè l’attestazione del fatto che un determinato percorso, svolto in conformità a precisi e rigorosi requisiti minimi, è per l’ordinamento italiano una «laurea» – appunto – in una certa disciplina.
(Fonte: intervento di E. Carloni nel dibattito aperto da ilsussidiario.net 20-04-2012)
 
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