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18 Marzo
RICERCA. PROGRAMMA PER IL RECLUTAMENTO DI GIOVANI RICERCATORI «RITA LEVI MONTALCINI» PDF Stampa E-mail
Il Decreto del Miur 11 novembre 2011 n. 486, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2012, reca il programma di cui nel titolo. La selezione delle proposte è affidata a un comitato composto dal presidente della conferenza dei rettori delle Università italiane e da quattro studiosi di alta qualificazione scientifica in ambito internazionale, nominati dal Ministro, con il compito di esprimere motivati pareri sulla qualificazione scientifica dei candidati e sulla valenza scientifica dei progetti di ricerca. Il comitato si avvale ai fini della valutazione delle candidature di esperti, italiani o stranieri di alta qualificazione. Al termine della fase di valutazione il comitato ordina, secondo liste di priorità tra le diverse macroaree, tutte le domande valutate positivamente e propone al Ministero quelle da finanziare in relazione allo stanziamento disponibile. Il comitato valuta le domande avvalendosi, ove necessario, di revisori anonimi competenti in materia. Le liste di priorità sono approvate dal Ministro e pubblicate sul sito del Ministero. Successivamente, il Ministero prende contatto con le istituzioni, tenuto conto dell’ordine di preferenza indicato dai candidati selezionati. Queste ultime devono dichiarare la loro disponibilità/diniego all'assunzione del candidato selezionato e, in caso di disponibilità devono provvedere entro 30 giorni a inoltrare al Ministero la delibera del Dipartimento dell'ateneo contenente l'impegno a fornire adeguate strutture di accoglienza e di supporto. Entro i successivi 60 giorni i candidati selezionati sono dichiarati vincitori del predetto programma di ricerca di alta qualificazione e sono assunti dall'ateneo a seguito di chiamata diretta secondo le procedure di cui all'art. 1, comma 9, della legge 4 novembre 2005, n. 230 così come modificato dall'art. 29, comma 7, della legge 30 dicembre 2010, n. 240.
 
RICERCA. INIZIATIVE PER IL RIENTRO DEI CERVELLI PDF Stampa E-mail
L'Istat ha sottolineato di recente che su 18.000 dottori di ricerca, che hanno conseguito il titolo tra 2004 e il 2006, ne lavoravano all'estero 1.300 nel 2010. Ma abbiamo università, associazioni, fondazioni e non solo che possono vantare di aver riportato «a casa» i nostri ricercatori. E per i talenti che vogliono rientrare ora? Non è una via semplice. Ciò detto, il decreto Milleproroghe ha prolungato fino al 2015 gli sgravi fiscali. E c'è qualche concreta buona opportunità. Per esempio il programma AtroFlt dà la possibilità a 14 astronomi (di cui 8 italiani), che hanno fatto esperienza fuori Europa, di lavorare all'Istituto nazionale di Astrofisica. La first call è appena conclusa, ma ce ne sarà una seconda intorno a novembre. In tutt'altro campo, l'Aire, l'associazione per la ricerca sul cancro fondata da Veronesi, finanzia progetti di ricerca quinquennali di scienziati under 35 che si sono distinti oltreconfine. I prossimi bandi apriranno a gennaio. Ma ci sono anche iniziative per studiosi in ambito economico manageriale: l'Università di Bologna ha partnership con Gruppo Unicredit e Banca Intesa che vanno proprio in questa direzione (bandi in estate). E progetti ancora in cantiere. Alma Mater ne ha allo studio uno che potrebbe andare in porto già quest'anno. Ma, per ora, il condizionale è d'obbligo. «La sfida è abilitarsi e dimostrare di essere bravi anche nel sistema italiano perché le Università colgano le migliori occasioni» sottolinea Domenico Laforgia, rettore dell'Università del Salento0.
(Fonte: I. Barera, Corsera 09-03-2012)
 
RIFORMA GELMINI PDF Stampa E-mail
Il neo ministro Francesco Profumo, a proposito dell’attuazione della riforma Gelmini, ha dichiarato che «quando si inizia un lavoro è indispensabile far funzionare quel che c'è. La riforma ha aspetti positivi e altri meno, ma questo Paese non può campare in eterno con rivoluzioni e fasi transitorie». La legge 240 introduce numerose e importanti novità. Dal punto di vista istituzionale razionalizza il sistema di governo delle Università: abolisce il bicameralismo perfetto esistente tra Senato accademico e Consiglio di Amministrazione (Cda), assegnando a quest’ultimo un golden share; introduce nel Cda una quota di membri esterni; rafforza il ruolo del Rettore; cancella le Facoltà e assegna le competenze didattiche ai Dipartimenti, finora responsabili della sola ricerca. Dalla lettura congiunta di queste misure si percepisce il tentativo di ridurre il peso delle corporazioni concentrando il potere al vertice. Un capitolo importante è dedicato alla valorizzazione del merito: è previsto un nuovo Fondo destinato a premiare il merito degli studenti, mentre una quota crescente di risorse sarà distribuita alle Università in base alla valutazione (attualmente il 10% del Fondo di Finanziamento Ordinario). Sono poi rivisti i meccanismi di reclutamento dei docenti: è reintrodotta l’abilitazione nazionale e creata la figura del ricercatore a tempo determinato con possibilità di promozione a professore associato (c.d. tenure track). (Fonte: E. E. Bernardi, www.ragionpolitica.it 27-02-2012)
 
RIFORMA. GLI ELEMENTI DI ROTTURA NELLA RIFORMA GELMINI PDF Stampa E-mail

Il ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca Maria Stella Gelmini difficilmente potrà essere accusata di essersi limitata al quieto vivere. In un periodo di strisciante e generalizzato decadimento del Paese, lo sforzo compiuto dal ministro Gelmini è quantomeno sufficiente a distinguerla, in meglio, da coloro che hanno assistito passivamente a quel decadimento, negli ambiti di rispettiva competenza. Gli elementi più significativi di rottura del ministero Gelmini rispetto al passato, quelli per cui della Gelmini non ci dimenticheremo, sono almeno tre.
Innanzitutto, è stato il primo ministro dell'Università a cercare di scardinare il principio secondo cui i professori universitari possono fare quel che vogliono (in particolare non fare nulla), senza alcun tipo di valutazione che abbia conseguenze sulla loro retribuzione e sulle loro carriere. Ha eliminato gli scatti di anzianità per i docenti, e ha previsto incentivi e disincentivi economici basati sulla qualità del singolo; ha introdotto dei requisiti di produttività scientifica per la partecipazione alle commissioni che devono decidere accessi e promozioni alla carriera accademica; ha disegnato un sistema ispirato alla tenure track anglosassone per le fasi iniziali di questa carriera; ha messo in funzione stabile l'Anvur cui è stato affidato il compito di valutare l'intero sistema universitario non solo per quel che riguarda la ricerca, ma anche per quel che riguarda la didattica, e ha legato esplicitamente a questa valutazione l'attribuzione di una quota dei finanziamenti agli atenei tendenzialmente crescente.
Il secondo elemento significativo di rottura rispetto al passato è stato il tentativo di superare l'assurda schizofrenia tra i dipartimenti (cui era affidata la ricerca, ma non la possibilità reale di assumere i ricercatori che avrebbero dovuto farla) e le facoltà (cui era affidata la didattica e il vero potere di controllo sulle assunzioni e le carriere, che quindi erano gestite non pensando alla ricerca ma solo, appunto, alla didattica).
Il terzo elemento di rottura è consistito nei tagli al Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) che rimarranno per sempre associati al nome della Gelmini. Tagli pesanti nell'entità (-3,7% nel 2010; —7,4% nel 2011 e —12,5% come valore stimato per il 2012), ma soprattutto assolutamente scollegati da qualsiasi valutazione individualizzata dei meriti, dei comportamenti e dei bisogni. Per
Una potatura pesante era (e continua a essere) necessaria per tagliare i rami secchi e far crescere meglio quelli che possono dare frutto. La colpa che invece è imputabile alla Gelmini è di non aver potato per far crescere: ha rasato indiscriminatamente. Sebbene la sua riforma abbia iniziato a introdurre, seppure in modo ancora limitato, alcuni importanti indicatori di qualità della ricerca e della didattica per la determinazione della quota premiale dell'Ffo, quest'ultima è ancora troppo modesta e la sua attribuzione disegnata in modo troppo complesso, poco trasparente e quindi difficilmente in grado di generare un’effettiva pressione verso comportamenti virtuosi, anche nei pochi casi in cui gli indicatori prescelti sono quelli giusti.
In conclusione, ricorderemo Maria Stella Gelmini per tre importanti elementi di rottura con il passato, che nelle intenzioni potevano avere significativi e dirompenti effetti positivi, ma che purtroppo, quando le bocce si fermeranno, temiamo non avranno portato grandi benefici. Nonostante questo, le va dato atto di aver provato a cambiare la partita, di non aver accettato per quieto vivere il proseguire del degrado. E la sua «bocciata» potrebbe fornire l'occasione per cambiare realmente, prendendo sul serio i principi dell'autonomia e della valutazione, aumentando la responsabilizzazione degli studenti, avendo fiducia nella loro capacità di scelta; e recuperando nuove risorse da un maggiore coinvolgimento di coloro che da una migliore università trarranno i maggiori benefici.
(Fonte: A. Ichino e D. Terlizzese, Il Mulino 01/2012)

 
RIFORMA. LA GOVERNANCE DEGLI ATENEI NELLA RIFORMA GELMINI PDF Stampa E-mail

Nelle sue parti migliori e più coraggiose, questa riforma mostra chiaramente il proposito di inserirsi nel solco dei mutamenti avvenuti nel resto d'Europa e di colmare i ritardi nella modernizzazione dell'università italiana. L'apertura alla domanda sociale, l'enfasi sull'efficienza delle strutture di governo e sul superamento del dualismo sia a livello centrale sia a quello di base, gli obiettivi di valorizzazione del merito, l'accentuazione del controllo ex post e della valutazione sulle prestazioni delle università sono scelte pienamente congruenti con le tendenze che interessano tutti i sistemi universitari europei. Giustamente la riforma ribadisce la centralità dell'autonomia universitaria, intesa come capacità di progettare e realizzare gli obiettivi prescelti, senza condizionamenti estranei all'interesse generale dell'ateneo, purché esercitata in modo responsabile. Ciò che era chiamato «gestione democratica e collegiale» degli atenei era in realtà una gestione basata su un macroscopico conflitto di interessi: gli organi decisionali che dovevano decidere sull'allocazione delle risorse (fondi, reclutamento ecc.) erano composti dai rappresentanti eletti di quelle strutture (facoltà, dipartimenti ecc.) che le risorse le richiedevano e le utilizzavano. Inoltre, la collegialità degli organi decisionali in cui tutti erano rappresentati impediva di fatto ogni selezione in base al merito, o a qualunque altro criterio comportasse decisioni selettive, per favorire invece meccanismi spartitori tesi a non scontentare nessuno, e quindi a conservare e riprodurre l’esistente. Tuttavia, l’alternanza invocata da varie parti, cioè una gestione manageriale basata sui puri poteri di efficienza e di competizione, presenta anch'essa un grave vizio: il fatto che solo le comunità scientifiche, non manager esterni, sono in grado di valutare problemi e prospettive nella loro area disciplinare. Solo chi ha una conoscenza approfondita e dall'interno delle potenzialità e delle criticità di una struttura o di un'area scientifica può indicare quali insegnamenti attivare, quali ricerche sostenere e quali profili privilegiare nel reclutamento.
In sintesi, quali sono le soluzioni adottate nella maggior parte degli altri Paesi? Un ruolo forte di indirizzo strategico del consiglio di amministrazione, a maggioranza di membri esterni nominati, come vertice unico dell'ateneo. Una grande rilevanza e forti poteri assegnati al rettore o presidente dell'ateneo, anch'esso per lo più designato. Un ruolo del senato accademico (o organo equivalente) diverso rispetto al passato: non più vertice reale dell'ateneo ma organo che ha il compito di fornire pareri su tutte le materie scientifiche e didattiche, senza però essere il decisore finale.
La riforma Gelmini, così prescrittiva su tanti aspetti di dettaglio, ha invece lasciato agli atenei il compito di scegliere nei loro statuti le soluzioni preferite su questi punti decisivi degli assetti di governance. E, com'era prevedibile, la stragrande maggioranza degli atenei ha scelto le soluzioni più conservatrici possibili, in alcuni casi addirittura sfidando lo spirito, se non la lettera, della legge di riforma. Per quanto è dato di sapere fino a oggi, infatti, nessuna università ha scelto un sistema di elezione di secondo grado (cioè di designazione da parte di organi collegiali) del rettore, per sottrarlo almeno in parte a meccanismi di voto di scambio e di ricerca di un consenso elettorale basato solo sulle capacità di mediazione. Per quanto riguarda il consiglio di amministrazione, il numero di membri esterni è stato quasi sempre stabilito nel minimo previsto dalla legge (le soluzioni prevalenti sembrano essere 3 su 11 o 2 su 10), e in non pochi casi si è cercato di rendere elettiva la scelta dei componenti interni (sfruttando un equivoco terminologico consentito dalla «timidezza» della legge).
Insomma, dirigismo sui dettagli e lassismo sui nodi cruciali rischiano di non risolvere quei problemi che una riforma della governance in senso europeo era chiamata ad affrontare.
(Fonte: M. Regini, Il Mulino 01/2012)

 
RIFORMA. GOVERNANCE DEGLI ATENEI. DEMOCRAZIA E RESPONSABILIZZAZIONE DECISIONALE PDF Stampa E-mail

Una vera responsabilizzazione vorrebbe che ognuno prenda le decisioni in autonomia, rispondendo però delle conseguenze. Perché il Consiglio d’Amministrazione di un ateneo dovrebbe essere diverso da quelli di tutte le altre aziende, cui peraltro si vuole che l’università assomigli? Perché ha bisogno di un tutore come i minorenni? Su questa considerazione generale s’innesta la responsabilità interna al governo degli atenei, e quindi la modalità di composizione e il funzionamento degli organismi che gli statuti propongono per l’esercizio dell’autonomia. Il rischio è che questi organismi siano tanto più deresponsabilizzati quanto più ricevono deleghe in bianco. E ciò vale a prescindere dai meccanismi di nomina o di rappresentanza dal basso, molto variegati nei diversi atenei (tab. 1).


Tab. 1 – Modalità di nomina del Consiglio d’amministrazione in 22 atenei italiani i cui statuti sono stati pubblicati entro febbraio.

COMPONENTI INTERNI CDA

COMPONENTI ESTERNI CDA

nomina da

Senato

Accademico

nomina da

rettore

sistema

misto

elezione

nomina da

Senato

Accademico

nomina da

rettore

sistema

misto

12

3

3

4

10

5

7

54,55%

13,64%

13,64%

18,18%

45,45%



 

Qual è il metodo migliore? Quello elettivo o quello di nomina rettorale o quello misto, con commissioni che propongono e altri organismi che nominano scegliendo fra le proposte?
Non credo che il problema della responsabilità si risolva con la delega più o meno rappresentativa, considerata come segno di democrazia. L’esperienza e la storia ci hanno insegnato che è percezione illusoria di democrazia, nell’attribuzione di responsabilità riguardo ai processi decisionali, quella che la identifica in ogni caso nella via esasperatamente ‘rappresentativa’. Ci possono essere pessime decisioni, o prolungate deleterie non-decisioni, da parte di organismi rappresentativi – vediamo tanti esempi al riguardo – mentre molti sistemi funzionano ottimamente prescindendo da essi, e senza scadere nell’autoritarismo o nella dittatura. È percepita invece come democrazia realmente partecipativa quella che consente di monitorare e verificare costantemente le decisioni e gli effetti che ne derivano. Il dibattito penso vada indirizzato sui meccanismi di controllo degli organismi decisionali oltre (più?) che su quelli della loro scelta / designazione / elezione.
La parola chiave di un vero rinnovamento degli atenei (e non solo…) è la responsabilità degli organismi, elettivi o nominati che siano. Promuovere anzitutto la responsabilità finanziaria, come in altri sistemi già avviene: gli atenei ricevono fondi, dallo Stato e/o da privati o da organi sovranazionali, in base alla produttività, valutata con criteri oggettivi e predefiniti; e a cascata le strutture interne a ciascun ateneo sono finanziate in base alla specifica produttività sia scientifica sia didattica e organizzativa sia i Nuclei di Valutazione definiscono nel modo più trasparente. La responsabilità finanziaria è motivante quando rischia di toccare le tasche dei singoli docenti che fanno parte della struttura dove si assume una decisione ‘responsabile’, ad esempio riguardo alle assunzioni di personale: se si stabilisse che una parte dello stipendio, come indennità aggiuntiva, è variabile in base alla valutazione scientifica e didattica delle strutture – ben vengano a questo punto i criteri predefiniti, purché semplici e chiari – a nessuno converrebbe assumere asini o fannulloni solo perché vantano altri ‘meriti’ non proprio scientifici o di competenza didattica, né converrebbe consentire che altri lo facciano. (Fonte: S. Di Nuovo, roars 29-02-2012)

 
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