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1 Marzo
EQUIPARAZIONE SCUOLE A FINI SPECIALI PDF Stampa E-mail

È stato pubblicato il 22-02-12 in Gazzetta Ufficiale il decreto del ministero dell'Istruzione che equipara i diplomi delle scuole dirette a fini speciali e i diplomi universitari triennali alle lauree universitarie di pari durata ai fini della partecipazione ai concorsi pubblici. I diplomi delle scuole e quelli universitari prima dell'istituzione della laurea breve costituivano un'alternativa corta alla laurea tradizionale.
Fonte: Gazzetta Ufficiale N. 44 del 22 Febbraio 2012. DECRETO 11 novembre 2011. Equiparazione dei diplomi

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ACCORDO UNIVERSITÀ-REGIONI. PIÙ INTEGRAZIONE TRA FACOLTÀ DI MEDICINA E SISTEMA SANITARIO PDF Stampa E-mail

Per “imprimere una nuova spinta alla valorizzazione del capitale umano e dei giovani per rilanciare sviluppo e crescita”, l’accordo siglato dal Crui e dalle Regioni sancisce una più stretta collaborazione tra Università e sistemi sanitari regionali in ambito assistenziale e di ricerca sanitaria. Il presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (Crui), Marco Mancini, e il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome, Vasco Errani, hanno firmato un accordo di collaborazione per promuovere azioni coordinate di intervento su temi di comune interesse. Sei gli assi attorno ai quali ruota l’intesa:
1. Relazione tra Sistema Sanitario e Sistema Universitario. In particolare per tutto ciò che concerne: gli effetti della Legge 240/2010 sulla configurazione delle Facoltà di Medicina; l’applicazione dell’art.8 della legge 517/99, riguardante l’intesa Regioni-Università ai fini delle specificità assistenziali delle Università; le Aziende Integrate nel contesto della ricerca sanitaria e dell’educazione medica continua.
2. Diritto allo studio. In particolare per tutto ciò che concerne: azioni congiunte di sensibilizzazione e coinvolgimento di soggetti finanziatori privati a integrazione delle risorse a disposizione degli Enti regionali; le politiche di orientamento degli studenti universitari (in special modo quello in uscita: stage anche internazionali e azioni a sostegno dell’occupabilità); l’attrattività dei sistemi universitari e dei territori. Una delle prime azioni in questa direzione sarà un accordo CRUI-Regioni che faciliti l’ingresso di giovani tirocinanti universitari nelle strutture delle Regioni che ne facciano richiesta.
3. Horizon 2020. In particolare per tutto ciò che concerne iniziative congiunte in vista di un’azione sinergica verso gli obiettivi dei programmi europei Horizon 2020, facilitate dalle attività di supporto e di interrelazione con i sistemi produttivi che le Regioni possono predisporre.
4. Sviluppo del capitale umano. In particolare per tutto ciò che concerne: la valorizzazione del  Dottorato di ricerca; il placement e l’alto apprendistato; l’interconnessione con il sistema produttivo; la sinergia fra uffici placement di Regioni e Università per favorire l’occupabilità dei laureati.
5. Sviluppo del territorio. In particolare per tutto ciò che concerne: l'attrattività del territorio (mappatura infrastrutture di ricerca e azioni per l'accoglienza dei ricercatori stranieri); collaborazioni con altri soggetti del territorio su trasferimento tecnologico, formazione per la proprietà intellettuale e relazioni con l'industria.
6. Istruzione Tecnica Superiore (ITS). In particolare per tutto ciò che concerne: la definizione di un sistema italiano di alta formazione che faccia riferimento a quello europeo; il trasferimento di conoscenze di alto livello nella formazione post-secondaria creando un raccordo tra ITS e lauree di primo livello; la diffusione sul territorio delle potenzialità del sistema della formazione post-secondaria integrata; azioni di accompagnamento al sistema ITS (monitoraggio e valutazione delle attività, formazione dei formatori, organizzazione di seminari tematici di approfondimento).
(Fonte: www.quotidianosanita.it 23-02-2012)

 
LA TRISTE SORTE DELLE PROFESSIONI INTELLETTUALI PDF Stampa E-mail

Vorrei provare a spendere alcuni argomenti razionali, scevri da accenti polemici, e, soprattutto, da pregiudizi di parte, per richiamare l’attenzione delle istituzioni sulla triste situazione in cui oggi versano le professioni intellettuali. Parlo delle professioni “regolamentate”, libere, aventi a oggetto prestazioni intellettuali, cui si accede mediante esame di Stato o mediante concorso.
Le professioni che tutelano diritti fondamentali (come l’avvocatura e la medicina) e comunque interessi vitali per tutti i cittadini. Non a caso esse figurano sia nella Costituzione italiana sia nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Essendo vitali per la società - lo rilevava proprio alcuni mesi fa Francesco Galgano in un suo bel saggio pubblicato in Contratto e impresa (2011, p. 287 ss.) - esse dovrebbero ricevere una qualche attenzione da parte dei Parlamenti e dei Governi.
Le valutazioni politiche, economiche e giuridiche sul trattamento da riservare alle professioni sono valutate in un contesto più ampio di quanto non accedesse per il passato: passano (oltre che al Ministero della Giustizia) attraverso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Economia, il Ministero dello Sviluppo economico, e perfino l’Autorità Antitrust. Nessuna di queste ultime istituzioni ha preso contatto con i rappresentanti delle professioni.
Le regole che oggi si discutono sulle manovre economiche, che coinvolgono anche le professioni, sono condizionate da una logica imprenditoriale e industriale. E’ evidente che la dimensione economica – oggi favorita dalla grande crisi – assume un ruolo centrale in ogni decisione, anziché essere uno dei criteri di valutazione da esaminare insieme ad altri, non meno rilevanti, come il parametro politico e il parametro giuridico. Cominciamo dunque dall’economia.
L’argomento che si sente spendere più frequentemente muove da un dato che si assume come incontestabile, cioè che la disciplina delle professioni deve essere “liberalizzata” perché l’attuale sistema abbasserebbe il PIL di un punto o di un punto e mezzo. Quest’assunto, estrapolato da una Relazione dell’allora Governatore della Banca d’Italia, risale al 2008. Non si è mai saputo con quali calcoli fosse stato determinato né in base a quali criteri venisse fuori questa cifra.
Se per avventura essa dovesse dipendere dai costi delle spese legali delle imprese (e cioè fosse tratta dalle statistiche del CEPEJ) risalirebbe al 2006, quindi a una data anteriore al decreto che ha abolito l’obbligatorietà delle tariffe minime. Se fosse vero che dalla soppressione dell’obbligatorietà sono conseguiti enormi benefici economici per le imprese, quel dato sarebbe del tutto inattendibile, perché temporalmente superato e tecnicamente incompleto. Se al contrario si trattasse di un dato recente, completo e attendibile, esso dimostrerebbe che la soppressione delle tariffe minime non ha prodotto - in sei anni - alcun risultato utile.
Per parte loro, le professioni producevano undici punti di PIL: non è dato sapere – in quanto i dati economici disponibili non ne trattano - se questo effetto positivo per l’economia italiana sia confermato, oppure se la crisi (come si potrebbe sospettare) abbia prodotto contrazioni nei benefici che le professioni apportano all’economia. Parlo di benefici, perché in questa demonizzazione delle professioni che è riflessa coralmente dai media, si tende a parlare solo di costi, di caste, di privilegi, di incrostazioni, come se le professioni fossero utili solo a se stesse e fossero un inutile fardello, una pesante catena di cui ci si deve liberare in ogni modo.
Se si guarda ai benefici assicurati dalle manovre introdotte, a cominciare dall’agosto scorso, nel campo delle professioni, non si è registrato alcun miglioramento. Tutte le agevolazioni e i sostegni si sono concentrati sulle imprese. Come interpretare questo indirizzo economico?  È un invito ad abbandonare la distinzione dei due settori? È il segno della trasformazione strisciante che passa attraverso il mercato dei servizi professionali per arrivare al mercato tout court? Se fosse così, avrebbe ragione chi mette in guardia istituzioni e cittadini dall’inaugurazione di una nuova “costituzione materiale” realizzata mediante le tecniche della decretazione d’urgenza.
Lo spazio è tiranno, non si può insistere su quest’argomento più di tanto. Passiamo all’argomento politico. Non alludo alle prossime elezioni amministrative, né alle alleanze partitiche in corso, né alla riforma elettorale, ma alle concezioni politiche in campo. Se “liberalizzare”, significa rispettare le autonomie, non si comprende perché le manovre, a cominciare da quella di agosto, abbiano infierito sulle professioni con l’imposizione di limiti di ogni tipo, inaugurando una stagione dirigistica che sembra esprimere una linea del tutto opposta a quella pubblicizzata. Anziché occuparsi del mercato finanziario, le cui lacune normative non hanno fatto da scudo alla crisi che proveniva dagli Stati Uniti, ci si è occupati di tariffe, anche quando esse tenevano conto delle esigenze sociali, di tirocinio professionale, addirittura di procedimenti disciplinari (!).
Se i valori hanno un peso nella configurazione dei programmi di governo, come si sono distribuiti i pesi e come si sono contemperati gli interessi? E’ difficile rispondere a questa domanda, perché gli interventi si sono succeduti a raffica, senza un programma coerente, sistematico, senza obiettivi mirati e calibrati.
Ecco, questo è l’ultimo argomento che vorrei spendere. Ragionevolezza e proporzionalità. Sono principi cardine del diritto comunitario: proprio quel diritto comunitario che invece è utilizzato, in malam partem, per giustificare gli interventi restrittivi sulle professioni. Il quadro giuridico che si sta delineando nel nostro Paese in materia di professioni è singolare, perché unico in Europa, in contrasto con le direttive e con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione  europea. Lo ha rilevato il CCBE, la rappresentanza europea degli avvocati, che esprime la voce di tutti i Paesi, compresi quelli di common law e quelli dell’Europa settentrionale, in una lettera inviata alle istituzioni qualche giorno fa, e passata sotto silenzio dai media.
Deprimere le professioni, con regole che unificano, anziché distinguere, le singole specificità grazie alle ripartizioni del sapere e dell’esperienza pratica, relegarle a oggetto di semplificazione normativa da realizzare mediante un regolamento amministrativo, piegarle all’uso di tipologie societarie proprie dell’attività d’impresa, delegittimare gli organi rappresentativi che assicurano l’osservanza delle regole deontologiche e quindi sono un presidio per la tutela dei diritti e degli interessi fondamentali dei cittadini, significa mettere in atto un sistema di regole che non solo non è “richiesto dall’Europa”, ma addirittura è in contrasto con i principi del diritto comunitario. Lo ha spiegato con ricchezza di argomenti, in uno scritto pubblicato sul sito del Consiglio nazionale forense, un valente studioso della materia, Roberto Mastroianni, docente dell’Università di Napoli Federico II. Già, Federico II, il grande e colto imperatore, che aveva promosso e non certo depresso le professioni intellettuali. E dire che stiamo parlando nel tanto deprecato Medioevo, un’epoca che oggi ci sembra tanto lontana quanto luminosa.
(Fonte: G. Alp http://www.altalex.com, 14-02-2012)

 
LA CULTURA E LA RICERCA INNESCANO L'INNOVAZIONE PDF Stampa E-mail

La crisi dei mercati e la recessione in corso, se da un lato ci impartiscono una dura lezione sul rapporto tra speculazione finanziaria ed economia reale, dall'altro devono indurci a ripensare radicalmente il nostro modello di sviluppo.
Se vogliamo davvero ritornare a crescere, se vogliamo ricominciare a costruire un'idea di cultura sopra le macerie che somigliano assai da vicino a quelle da cui è iniziato il risveglio dell'Italia nel secondo dopoguerra, dobbiamo pensare a un'ottica di medio-lungo periodo in cui lo sviluppo passi obbligatoriamente per la valorizzazione dei saperi, delle culture, puntando in questo modo sulla capacità di guidare il cambiamento. La cultura e la ricerca innescano l'innovazione, e dunque creano occupazione, producono progresso e sviluppo. La cultura, in una parola, deve tornare al centro dell'azione di governo. Dell'intero Governo, e non di un solo ministero che di solito ne è la Cenerentola. È una condizione per il futuro dei giovani. Chi pensa alla crescita senza ricerca, senza cultura, senza innovazione, ipotizza per loro un futuro da consumatori disoccupati, e inasprisce uno scontro generazionale senza vie d'uscita. Anche la crisi del nostro dopoguerra, a ben vedere, fu affrontata investendo in cultura. Le nostre città, durante quella stagione, sono state protagoniste della crescita, hanno costruito "cittadini", e il valore sociale condiviso che ne è derivato ha creato una nuova cultura economica.
(Fonte: IlSole24Ore 19-02-2012)

 
L’UNIVERSITA’ CHE DIRIGE L’ITALIA PDF Stampa E-mail

Depuis novembre Mario Monti à la présidence du Conseil, les Italiens font l'expérience de la rigueur sur le fond et d'une austérité revendiquée pour le style. «Monti n'est pas austère, il est austérissime! Question de personnalité. Mais sa rigueur, elle, porte vraiment la marque de la Bocconi. » Fulvio Ortu sait de quoi il parle: lui qui n'y a pas étudié enseigne désormais les mathématiques dans cette université milanaise privée, l'usine à élites la plus cotée de la Péninsule. La preuve: les principaux acteurs du gouvernement de technocrates qui tente depuis trois mois de remettre l'Italie à flot y ont été formés. Mario Monti en est sorti avant d'occuper longuement les postes de recteur puis de président. Corrado Passera, ministre du Développement économique et numéro deux du gouvernement, en est également issu. De même qu'Elsa Fornero, ministre des Affaires sociales, si peu accoutumée à la dureté de la vie politique quelle a fondu en larmes le jour où elle a annoncé un rabotage des retraites.
Sans parler du monde de l'entreprise, de la haute administration et des institutions internationales que la Bocconi innerve depuis des décennies. Pirelli, Tiscali, Eni, Mediobanca, Banca d'Italia, Unicredit sont aux mains des «bocconiani». Tout comme la Confindustria, le Medef italien, dirigé par Emma Marcegaglia. Et, dans le domaine économique, c'est encore elle qui donne le tempo puisque ses professeurs éditorialisent dans la plupart des journaux qui font l'opinion : II Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 ore, La Stampa.
C'est qu'il en a fait du chemin, l'établissement créé au début du siècle dernier par l'homme d'affaires Ferdinando Bocconi en hommage à son fils Luigi, tué lors de combats en Ethiopie. Le premier en Italie à enseigner I'économie. Son emprise immobilière en témoigne. D'extensions successives en achats de terrains, l'université occupe aujourd'hui plusieurs pâtés de maisons à la lisière sud de la capitale lombarde; tout un quartier si on prend compte les logements des étudiants. Et, à l'entrée principale, un panneau dressant la liste des universités des cinq continents avec lesquelles la milanaise a noué des partenariats donne une idée de son rayonnement. Une petite di&line rien qu'en France, parmi lesquelles HEC, l'Essec, Sciences po.
Culture d'entreprise. Le succès résulte d'un subtil cocktail, fait de souci d'excellence et d'esprit de corps, on oserait presque dire de culture d'entreprise, inoculés tout au long du cursus et qui unissent les bocconiens bien au-delà de leurs études. «Nous avons 13.000 étudiants mais faisons en sorte de nous concentrer sur quelques secteurs précis: l'économie, le management, le droit. En Europe, seule la London School of Economics a le même profil ; les étudiants y sont cependant moins nombreux», explique Guido Tabellini, l'actuel recteur.
Ce n'est pourtant que l'un des ingrédients de la recette. S'y ajoutent une sélection impitoyable, qu'il s'agisse des étudiants ou des professeurs, et une liberté de décision totale que lui envient les universités publiques, confrontées à l'inertie de leur administration. Mais le prix à payer, au sens propre, est substantiel, même si beaucoup d'étudiants bénéficient d'une bourse: jusqu'à 41.000 euros pour un MBA. Moyennant quoi les diplômés ne mettent en moyenne que trois mois à décrocher leur premier CDI.
L'élitisme guette. Et le mode de fonctionnement, proche du campus à l'américaine, serait de nature à favoriser cette dérive si la direction;- n'avait érigé quelques garde-fous qui, à l'encroise, font désormais partie de l'ADN bocconien. «Dans ce pays où le sens civique fait souvent défaut, une université spécialisée dans les sciences sociales comme la nôtre doit aussi transmettre des valeurs: le respect de la collectivité, le pluralisme, la tolérance», poursuit Tabellini. Seul représentant des étudiants au conseil d'administration, Antonio lui fait écho, qui revendique au nom de ses pairs le sens de l'éthique. Un peu de morale et de fibre sociale dans le credo libéral de la maison; Monti, qui en reste la figure tutélaire, n'aurait pas mieux dit.
De même, la proximité, l'admiration croisée et apparemment non feinte entre profs et étudiants, la possibilité de vivre en circuit fermé pour ceux qui le souhaitent peuvent mener à une forme de consanguinité. La Bocconi a sa télé, sa radio, ses installations sportives, ses nombreuses associations et, de façon plus officieuse, le Divina, une boite de nuit située à deux pas. Bref, un étudiant peut suivre tout un cycle sans jamais sortir de la demi-douzaine d'immeubles qui cernent la Via Sarfati ni voir le Duomo ou la Scala. En théorie, car la tentation du repli se heurte à la volonté de brassage d'une université qui se revendique plus européenne qu'italienne et qui s'est fixé pour objectif d'accueillir à terme 30% d'étudiants étrangers, contre 15% actuellement.
A bien y regarder, le principal défaut de celle qu'on appelle familièrement «Mamma Bocconi» serait plutôt de cocooner à I’excès ses petits. «Les étudiants travaillent énormément et l’encadrement fait en sorte de leur faciliter la vie pour le reste. Du coup, ils sont déresponsabilisés; je leur trouve un déficit de maturité culturelle », note Stefano Baia Curioni, responsable du master de management dans les métiers artistiques. Un travers qui, avec le temps, peut se transformer en atout. Car ceux qui l'ont fréquentée, environ 80.000, lui restent très attachés.
D'ailleurs, ils appartiennent presque tous à l'association des anciens. Un réseau ultrastructuré, solidaire, influent, dont le maillage a depuis longtemps dépassé les limites de la Péninsule. «C'est la grande forte de la Bocconi», assure Guillaume, un étudiant français qui suit un MBA. Une véritable caste dont les membres se cooptent, verrouillant du même coup le marché du travail, dénoncent ceux qui n'en sont pas. Président de Vodafone Italia et, accessoirement, de la dite association, Pietro Guindani rejette l'accusation: «Notre seule raison d'être est de restituer le patrimoine, la communauté de valeurs acquis à la Bocconi: mérite, solidarité, honnêteté.» Pas sûr que ce capital moraI résiste toujours à l’âpreté de la compétition dans une vie professionnelle. L'ascétique et intransigeant  Mario Monti, en revanche, ne l'a apparemment pas totalement dilapidé. C'est sans doute la raison pour laquelle cet homme tout en raideur courtoise reste aussi populaire, malgré la potion amère qu'il fait ingurgiter à ses concitoyens. (Fonte: Le Point 16-02-2012)

 
NONOSTANTE CERTI CONCORSI NON RIPETIAMO IL SOLITO REFRAIN DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA SENZA MERITOCRAZIA PDF Stampa E-mail

I concorsi universitari di questi mesi sono gli ultimi con le vecchie regole. Soprattutto per i ricercatori sono gli ultimi che garantiscono il posto fisso. Ed ecco che prima all'università del Piemonte Orientale poi in quella dell'Insubria, vincono gli unici due candidati che non hanno alcuna pubblicazione vagliata da valutazione esterna. La buona notizia è che alcuni commissari non hanno votato per i vincitori. Ma non è accettabile che i ricercatori che hanno pubblicazioni sottoposte a giudizi rigorosi debbano sottostare a verdetti come quelli di Alessandria e Varese.
In attesa che le nuove norme per il reclutamento dei docenti universitari, decise dall’ex-ministro Gelmini, entrino in vigore, si stanno svolgendo in questi mesi gli ultimi concorsi con le vecchie procedure. I posti da ricercatore di queste tornate concorsuali sono assai ambiti perché sono ancora per posizioni a tempo indeterminato, mentre secondo la nuova normativa i vincitori avranno contratti a tempo determinato con una valutazione finale che deciderà del loro passaggio alla tenure (cioè al posto a vita). Ma il fatto che si tratti degli ultimi concorsi con le vecchie regole non può giustificare esiti del tutto contrari a ogni elementare concetto di meritocrazia. Due cose vanno dette. La prima è che in entrambi i casi un commissario su tre ha votato per un candidato diverso dal vincitore, mostrando che non tutti i docenti sono uguali. Non ripetiamo il solito refrain dell’università italiana senza meritocrazia, per favore. È vero spesso, purtroppo, ma non sempre. La seconda è che, come sa bene chi prova a mandare i suoi lavori alle riviste internazionali, l’attività di ricerca è per la maggior parte di noi una serie di schiaffi (sotto la forma di lavori respinti per la pubblicazione) interrotta da brevi momenti di felicità (le accettazioni). Molto più facile è la vita di chi scrive e pubblica senza sottoporsi alla disciplina della valutazione dei referee. Proprio per questo non è giusto e non è accettabile che i ricercatori che si sono impegnati e hanno pubblicato debbano sottostare a verdetti concorsuali come quelli di Alessandria e Varese da soli. Il nostro silenzio sarebbe per loro uno schiaffo in più.
(Fonte: F. Panunzi, Lavoce.info 21-02-2012)

 
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