Home 2010 24 Novembre Parere di un ex ministro sul DDL Gelmini
Parere di un ex ministro sul DDL Gelmini PDF Stampa E-mail

Il testo del DDL Gelmini in discussione in parlamento va molto migliorato senza risparmiare sforzi per trovare convergenze tra gli schieramenti, così come auspicato con autorevolezza dal capo dello stato. Volendo indicare gli interventi inderogabili, procederò per punti.

Primo: occorre un altro modo di gestione. Gli aspetti scientifico-didattici devono essere affidati al senato accademico mentre va data nuova forza e vitalità al consiglio d'amministrazione che non può essere nominato da corporazioni interne. Siamo in ritardo nella cultura degli stakeholder, ma è soprattutto a loro che spetta il compito di dispiegare strategie di amministrazione. Naturalmente quel mondo - enti locali, imprese, sindacati, associazioni - deve meritare un simile ruolo perché non sempre, a oggi, ha espresso rappresentanze adeguate a tale decisivo compito, simile a quello dei board degli atenei anglosassoni.

Secondo: si è perso fin troppo tempo nell'organizzare in modo compiuto il sistema di valutazione. Su tale versante occorrono chiarezza e severità. Peer review: indipendenza, competenza, internazionalizzazione (fin dove possibile) per giudicare i risultati di ricerca, didattica, gestione e corrispondenti politiche premiali. Da evitare: valutazioni burocratiche, ministeriali, centralistiche e corrispondenti disposizioni regolamentari di stato che con un cumulo di scartoffie appiattiscono ricchezza ed eterogeneità di ciascun ateneo.

Ci sono altri due aspetti centrali: europeizzazione del sistema e risorse. Perché i paesi scandinavi, anglosassoni, la Germania da ultimo, hanno intrapreso convinti il Bologna process (che da noi si chiama in modo grossolano 3+2) mentre in Italia c'è tanta resistenza e si pontifica sull'inadeguatezza della laurea triennale? Sottolineo che in Gran Bretagna il bachelor esiste ab immemorabili e quelle università sono tra le prime nelle graduatorie mondiali. È strategico - per la nostra società - che i titoli di studio abbiano valenza europea. Che il laureato italiano possa spendere il suo titolo in Europa. Annoto che non si lavora verso tale obiettivo. Ed è grave perché i sistemi universitari che non danno titoli di studio qualificati ed europei tradiscono la loro missione e devono essere considerati di serie B.

L'altro tema è quello delle miseria di risorse per ricerca e università. Siamo in coda tra i paesi evoluti, lontani anni luce dal Nord Europa. Ci sono stati sprechi? Vanno sanzionati e tagliati i rami secchi. Ma il tema non può diventare lo spreco. (L. Berlinguer, Il Sole 24 Ore 20-11-2010)