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UNIVERSITÀ DIFFAMATA E RIVALUTATA PDF Stampa E-mail

Dopo che il 22 aprile u.s. il quotidiano la Repubblica ha pubblicato un articolo dal titolo evocativo, Inchiesta sull'università malata e sulla strage silenziosa del merito, il 26 aprile u.s. sulla rivista Il Mulino è comparso un articolo intitolato In difesa dell'università italiana, del quale si sintetizzano qui i passi salienti.
Come già nel 2013 aveva argomentato Sabino Cassese su Il Mulino, era prevedibile che un sistema di valutazione congegnato in modo così complicato avrebbe prodotto un aumento dei ricorsi. Non sembra essere chiaro che quanto più la selezione per l'abilitazione diventa strict e rigorosa (resistendo alla tentazione di fare todos caballeros), tanto più aumenta la schiera di coloro che – a torto o a ragione – si sentono oggetto di un'ingiustizia nella valutazione dei titoli e delle pubblicazioni. Forse sfugge che quel sistema di abilitazioni, basato sulle famigerate mediane bibliometriche, per quanto imperfetto e necessario di revisioni, ha favorito proprio una profonda revisione del sistema di reclutamento baronale, producendo una sorta di empowerment dei giovani ricercatori. Per ottenere l'abilitazione più che portare le borse agli ordinari, ora si deve pubblicare (a volte anche troppo) su riviste di prestigio internazionale. Sfugge poi che il reclutamento, prevalentemente locale degli atenei italiani, dipende poco dai baroni ma piuttosto da un sistema di finanziamenti che non favorisce, anzi ostacola, la selezione degli esterni.
Molti dati di pubblico dominio restituiscono un'immagine ben diversa dell'università da quella che alcuni quotidiani diffamano. Ad esempio, una recente inchiesta condotta a partire dai ranking QS e THE sulle 1.000 migliori università a livello mondiale, mostra che vi rientrano il 40% di quelle italiane. Un dato, quest'ultimo, che colloca il nostro Paese davanti a Cina, Francia e Usa. Sul fronte della produzione scientifica, poi, i report forniti dalla banca dati di Scopus mostrano che l'Italia si colloca al 7° posto mondiale per numero di pubblicazioni scientifiche e all'8° per numero di citazioni. L'ultimo rapporto Anvur disponibile (2018) sul posizionamento internazionale della ricerca italiana evidenzia che la crescita della produzione scientifica italiana è stata nell'ultimo decennio superiore alla media mondiale, e ciò ha consentito al nostro Paese di aumentare la propria quota sul totale, mentre gli altri Paesi europei più importanti (Francia, Germania e Regno Unito) la riducevano. Questi e altri dati indicano che la posizione della ricerca italiana nel complesso è oggi migliore rispetto a quella di grandi Paesi come Francia e Germania e superiore rispetto a quella degli Stati Uniti.
Infine, si può rilevare che la reputazione dei professori universitari presso l'opinione pubblica non è così compromessa come sembra indicare l'inchiesta de «la Repubblica». Almeno a giudicare dai dati di un'indagine pubblicata nel 2019 dallo stesso quotidiano sul «prestigio delle professioni». In una scala da 1 a 10, ben il 66% degli italiani attribuivano ai docenti universitari un voto superiore a 8, collocandoli al secondo posto della graduatoria, subito dopo i medici. I giornalisti, al contrario, si collocavano nelle ultime posizioni, poco sopra i politici, con appena il 47% dei consensi. (F: A. Favole, F. Ramella, R. Sciarrone, Il Mulino 26.04.21)