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L’ITALIA INVESTE TROPPO POCO IN RICERCA PUBBLICA: €150 PER OGNI CITTADINO CONTRO I 250 E 400 EURO DI FRANCIA E GERMANIA PDF Stampa E-mail

La crisi sanitaria ha posto la scienza in una posizione preminente, come leva essenziale nei piani della ricostruzione. Occorre prevedere un serio investimento per adeguare la ricerca pubblica di base al livello dei suoi competitori europei e permetterle di contribuire alla ripresa del nostro Paese. Questo era il senso di una nostra lettera aperta apparsa sul Corriere della Sera il primo ottobre scorso. Le nostre istanze sono state riprese in numerosi interventi da esponenti politici, in particolare dai senatori Elena Cattaneo e Mario Monti, e da numerosi altri colleghi su diverse testate e social media.
Riteniamo, e con noi i più autorevoli economisti, che la ricerca di base sia la fonte primaria dell'innovazione nelle società tecnologiche avanzate e che gli investimenti in ricerca, specialmente quelli in capitale umano, siano moltiplicatori potenti di crescita e sviluppo socioeconomico, a rendimento differito nel tempo ma con effetti di lunga durata. Da sottolineare, tuttavia, che le spese per la formazione del capitale umano possono sviluppare la loro potenzialità solo se, nelle infrastrutture scientifiche del Paese, c'è equilibrio tra ricercatori in entrata e quelli in uscita verso l'estero. In sintesi, la nostra proposta è di investire nella ricerca pubblica italiana 15 miliardi, corrispondenti ad un aumento di 1 miliardo ogni anno per 5 anni arrivando, nel 2025, ad un livello strutturale dello 0,75% del Pil, il livello della Francia di oggi. (F: da Appello a Draghi di 14 scienziati: "Investiamo nella ricerca pubblica per rilanciare l'economia". Corr. Univ. 25.02.21)