Home 2010 01 Settembre Finanziamenti esterni. Un’alternativa ai tagli ministeriali
Finanziamenti esterni. Un’alternativa ai tagli ministeriali PDF Stampa E-mail

Il prossimo sarà il mese decisivo per i conti delle università; il primo compito del ministero alla ripresa delle attività sarà la distribuzione del fondo ordinario, che per la prima volta arriva ad anno quasi chiuso (di solito l'assegno è distribuito in primavera). Poi, burrasche politiche permettendo, sarà la volta dello "scambio" fra riforma e risorse, atteso in parlamento: a inizio agosto il senato ha approvato in prima lettura il disegno di legge sulla governance, che introduce l'abilitazione nazionale e il doppio mandato quadriennale per i rettori, e il ministro Mariastella Gelmini ha ribadito «l'impegno» del governo a trovare le risorse per rimpolpare i fondi del 2011. Il primo tentativo, rappresentato dai 400 milioni comparsi nelle versioni iniziali della manovra, non è andato a buon fine, e la battaglia riprende a settembre. L'allarme è alle stelle. Con la dotazione attuale, l'anno prossimo il fondo statale sarebbe inferiore ai 6 miliardi, con una flessione del 17,2% rispetto ai livelli 2010: troppo pochi per pagare anche solo gli assegni fissi al personale, che costano 6,5 miliardi l’anno. In questo modo, lamentano i rettori degli atenei statali, il sistema entrerebbe nei fatti in dissesto.
Il pericolo è concreto ma non riguarda tutti, perché negli ultimi anni i bilanci delle università sono cambiati profondamente. Tra 2001 e 2007 (lo spiega l'ultimo rapporto del comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario), mentre il fondo ordinario superava di poco l'inflazione e le risorse ministeriali legate alla ricerca rimanevano fermi, gli atenei hanno quasi raddoppiato (da 1,2 a 2,2 miliardi l’anno) i finanziamenti «diversi» (privati o europei) per la ricerca, hanno spinto sulle tasse chieste agli studenti (+53,4%) e si sono ingegnati nella ricerca di altri canali per sostenere i conti (le alienazioni, sono passate da 210 a 436 milioni). Risultato: il crollo previsto per l'assegno statale in alcuni atenei mette a rischio anche gli stipendi, in altri è un problema ben più gestibile.
Per distinguere sommersi e salvati si possono impiegare due indicatori. Il primo è offerto dal rapporto tra spese di personale e fondo ordinario. Chi dedica al personale più del 90% del fondo deve bloccare tutte le assunzioni; quest'anno capita a sette atenei (Urbino, Cassino, Bari, L'Aquila, Reggio Calabria, Siena e l'Orientale di Napoli), ma senza gli «sconti» contabili offerti dalle norme per il personale convenzionato con il servizio sanitario le università, fuori soglia sarebbero 24; l'anno prossimo, con 1,3 miliardi in meno dallo stato, gli atenei fuori controllo sarebbero la maggioranza, ma c'è chi rimane comunque lontano dalla zona pericolo. A parte piccoli atenei come Catanzaro o Roma Foro Italico (l'ex istituto universitario di scienze motorie), tra i grandi atenei spicca la situazione del Politecnico di Milano e di Milano Bicocca (la Statale è invece vicina al 90%, al lordo degli «sconti»). All'altro capo della classifica s’incontrano invece Urbino e Siena, accompagnati dalla maggioranza degli atenei napoletani e dalla Sapienza di Roma.
Ad aiutare i conti delle università c'è anche la loro capacità di trovare sul «mercato», fatto di bandi europei e di finanziamenti privati, i fondi per alimentare le attività di ricerca. Anche in questo campo, il primato tra i grandi poli statali è del Politecnico di Milano, che ricava per queste vie circa l'80% delle risorse destinate alla ricerca, accompagnato da L'Aquila (i dati si riferiscono ai bilanci precedenti al terremoto) e dalla Politecnica delle Marche. Brillante anche la performance di Urbino, che paga però i suoi problemi storici di bilancio, mentre nel Mezzogiorno primeggia l'ateneo di Benevento. L'Orientale di Napoli, Foggia e Lecce mostrano invece in questo settore la dipendenza più alta dalle finanze statali.
Gli strumenti per gestire le facoltà, insomma, passano sempre di più dai canali alternativi a quello ministeriale, anche perché il tira e molla continuo fra governo e atenei allunga i tempi e non aiuta certo la programmazione, di fatto impossibile se la decisione sulle risorse arriva quando ormai gran parte della dote è già spesa. La partita con l'Economia, poi, non è ancora finita, ma è difficile ipotizzare che l'anno prossimo si riescano a riportare il fondo ai livelli del 2010.
Seguono i confronti con gli Stati Uniti e la Germania.
Negli Stati Uniti il governo federale non contribuisce direttamente alle spese delle università, ma finanzia gran parte della ricerca che si svolge in ateneo tramite le sue agenzie federali, come la National Science Foundation (Nsf) e i National Institutes of Health (Nih). La ricerca è anche finanziata da privati, tramite contratti e donazioni. I fondi acquisiti per un progetto di ricerca non sono interamente utilizzati per la ricerca: l'università ne trattiene una quota (circa il 30%) per le spese generali.
In Germania i finanziamenti interni alla ricerca sono scarsi e si basano principalmente su tre fattori: i risultati della didattica, le pubblicazioni e la capacità di ottenere finanziamenti esterni. Questi ultimi dipendono soprattutto dalle fondazioni e dai centri di ricerca come il Cnr, che valutano attraverso una commissione i progetti presentati da docenti e ricercatori. In base ai fondi ottenuti dai privati si ricevono risorse anche dell'ateneo. I progetti finanziati in genere hanno una durata di quattro anni. (G. Trovati. Il Sole 24 Ore 26-08-2010)