Home 2010 01 Settembre Il finanziamento delle università
Il finanziamento delle università PDF Stampa E-mail
Ci sono università che hanno fatto del rigore dei conti un must e altre che hanno sperperato in modo vergognoso il denaro pubblico, senza alcun controllo e sono sull’orlo del fallimento. A Messina, ad esempio, il numero dei professori ordinari è salito negli ultimi 5 anni del 290%, pur alla presenza del blocco delle assunzioni perché tutti gli associati sono stati, in blocco, promossi ordinari. Che l’autonomia dell’università sia stata usata male è un dato di fatto e la legge Gelmini tenta di correre ai ripari introducendo regole ispirate ai migliori standard internazionali per aiutare l’università a risalire la china. L’autonomia usata male ha bisogno di nuove regole che colleghino libertà e responsabilità. L’Università italiana è in grave ritardo nel suo processo di rinnovamento culturale e organizzativo. Oggi si trova di fronte ad una scelta: abbandonare un modello di università condizionata dall’autogoverno corporativo, poco produttiva e con scarsi mezzi, e scegliere un modello di università innovativa, organizzativamente efficiente, produttiva sul piano della ricerca e della didattica. La realtà ci mostra segnali positivi. Mentre prima Padoa-Schioppa e poi Tremonti riducevano i fondi per l’università, la quota dei bilanci dei nostri atenei che non proviene dal finanziamento statale è triplicata. Oggi, ad esempio, il S. Anna di Pisa per l’84 % non dipende dai fondi statali. Lo Stato finanzia l’Università con 7 miliardi di euro. La somma delle entrate degli atenei italiani supera i 13 miliardi. Ciò significa che le università sono state costrette, come avviene in tutti i Paesi del mondo, a cercare forme di finanziamento sul mercato. (C. Gentili, Il Messaggero 02-08-2010)