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UN REPORT SUL SISTEMA PAESE CHE HA AMPI E INTERESSANTI MARGINI DI RECUPERO NELLA RICERCA E NELLO SVILUPPO PDF Stampa E-mail

Siamo nella top ten per numero di brevetti depositati in Europa, per progetti finanziati dallo European Research Council e per pubblicazioni scientifiche. Ciò non toglie però l'esistenza di alcuni limiti, che risultano pesanti in quanto strutturali: dal ritardo sulla collaborazione pubblico-privata alla scarsità cronica degli investimenti, passando per il gap di competenze sul fronte Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).
Secondo le stime più aggiornate dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), nel 2018 l'Italia ha speso poco più di 32 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, circa l'1,4%del Prodotto interno lordo. Prendendo in esame quest'ultimo indice e mettendo da parte il valore assoluto, che per sua natura è poco indicativo, si scopre che l'Italia ha purtroppo tanti punti da recuperare rispetto ai propri omologhi: in alcuni casi forse sono troppi (vedi la distanza che ci separa da Svezia, Austria, Germania e Danimarca, ossia dagli unici quattro Paesi oltre il 3%), in altri sono comunque tanti (dal 2,4% della media Ocse al 2% della media UE a 28, passando per il 2,2% della Francia). E non può certo essere un vanto l'aver distanziato leggermente economie più piccole come Polonia, Grecia, Lituania o Romania.
Navigando nel database della Banca Mondiale, si scopre infatti che siamo il Paese meno impegnato sulla ricerca in termini di capitale umano tra le grandi economie europee: poco più di 2.300 ricercatori ogni milione di abitanti nel 2018 (ultimo anno disponibile). Erano circa 1.850 nel 2012, poco sopra quota 2 mila nel 2015 e dal 2010 al 2017 sono aumentati più che negli altri grandi Stati europei (24% contro il 21% della Germania, il 15% della Francia e l'11% del Regno Unito), quindi è innegabile che ci siano stati dei passi in avanti. Ma riportando il confronto ai giorni nostri lo stato dell'arte parla chiaro: siamo più o meno a metà rispetto al Regno Unito (4.603) e alla Francia (4.715), ancor più lontani dalla Germania (5.211), ma anche parecchio distanti
dalla media europea (quasi 4 mila ricercatori).
In merito alle competenze Stem anche in questo caso abbiamo parecchio lavoro da svolgere come sistema Paese. Secondo le rilevazioni dell'Istat, infatti, la quota di popolazione che in Italia possiede almeno un titolo di studio secondario superiore è pari al 62% del totale (contro il 79% dell'UE a 28) e quella che possiede una laurea è del 20% (33% nell'Unione europea). Il quadro si complica soprattutto per quel che riguarda il tema delle competenze a maggior valore aggiunto in un mercato del lavoro che sta andando sempre più verso l'economia digitale: le competenze cosiddette Stem. Come testimoniato dall'ultimo rapporto ad hoc elaborato da Deloitte in collaborazione con Swg, i profili Stem sono sempre più importanti e ricercati ma in Italia ce ne sono pochi. Un vero e proprio paradosso se si considera che, escludendo l'area medico-sanitaria e farmaceutica, lo scorso anno sono state proprio le laure Stem a raggiungere il tasso di occupazione della popolazione laureata più alto (84%).
Se da un lato questo insieme di ritardi, limiti e difficoltà mette in luce la scarsa sensibilità (soprattutto politica ma anche industriale) nei confronti del sistema italiano della ricerca e dello sviluppo, dall'altro avvalora ulteriormente la forza di un ecosistema che continua comunque a dimostrare vivacità, dedizione e capacità. Come rileva l'edizione 2020 dell'Annuario scienza, tecnologia e società, realizzato da Observa in Society e curato da Giuseppe Pellegrini e Andrea Rubin: l'Italia si piazza infatti all'ottavo posto per progetti finanziati dal Consiglio europeo della ricerca e alla stessa posizione nella classifica globale per pubblicazioni scientifiche. Non è tutto, perché se allarghiamo lo sguardo alla corsa dei brevetti in Europa (nel 2019 sono state depositate oltre 181 mila domande, il 4% in più rispetto al 2018 secondo i dati dello European Patent Office), scopriamo che l'Italia è dentro la top ten del 2019 (seppur all'ultimo posto disponibile dopo Usa, Germania, Giappone, Cina, Francia, Corea del Sud, Svizzera, Olanda e Regno Unito). (F: A. Frolla, La Repubblica Affari&Finanza 03.08.2020)