Home 2010 20 Luglio Prigioniere dell'endemico vizio burocratico Università e Magistratura
Prigioniere dell'endemico vizio burocratico Università e Magistratura PDF Stampa E-mail

In alcuni scritti all'inizio degli anni Settanta avevo fatto un'analisi comparata su diversi tipi di strutture organizzative concentrando l'attenzione sui due "estremi": da un lato le strutture impostate su norme e procedure e controllate sugli adempimenti e, dall'altro lato, quelle che operavano per obiettivi ed erano controllate sui risultati. In particolare sui modelli del primo tipo, tipicamente burocratici, veniva fissata l'attenzione per verificare l'esistenza di condizioni tali da portare ad una "degenerazione strutturale" del modello, indipendente quindi da qualsiasi personalizzazione. Come esempi un poco anomali venivano prese in considerazione due organizzazioni che normalmente non sono classificate fra le burocrazie ma che, al contrario, ne fanno parte a buon diritto: l'università e la magistratura. La magistratura può essere considerata tale in modo difficilmente controvertibile, mentre l'università lo è in Italia a causa dell'insieme di leggi, regolamenti, procedure che la governano. Dall'analisi svolta si evince che entrambe queste organizzazioni possiedono, all'interno, germi tali da permettere o, addirittura, creare possibili degenerazioni. Nel caso dell'università è proprio l'esistenza di norme "cogenti" che svia l'attenzione dalle funzioni primarie: formazione e ricerca. È sufficiente, infatti, rispettare rigorosamente, almeno da un punto di vista formale, le regole, per essere valutati positivamente: le regole spaziano per altro da aspetti banali (fino a pochissimo tempo fa la commissione d'esame doveva essere costituita da tre componenti, da cui il voto in trentesimi: obbligo pressoché mai rispettato) fino all'essenza stessa del progetto didattico (corsi di laurea e programmi di esame vagliati da apposite istituzioni).

Non parliamo poi di finanziamenti alla ricerca (basti pensare alle regole relative alla costituzione dei cosiddetti "centri di eccellenza") in cui gli adempimenti burocratici ed amministrativi apparivano essere il principale strumento di controllo ed in cui molto spesso, saper scrivere "bene" il progetto di ricerca faceva (o fa ancora?) premio sul contenuto del progetto stesso. Se poi i controllori fanno parte della stessa corporazione (e, addirittura, come il Consiglio Universitario Nazionale sono eletti all'interno dell'accademia) la possibilità di degenerazione aumenta. Non vogliamo infierire parlando di concorsi e del modo in cui è stato gestito da più parti il sistema dei crediti o organizzato il "doppio livello" (detto 3+2). L'obiettivo è sparito completamente: è questa la degenerazione. Tentativi apprezzabili vengono fatti e, nella fattispecie, possono essere considerati sensati, ma sono impostati sempre secondo gli stessi criteri: non ci possono essere più di un tot di facoltà, le sedi "piccole" vanno accorpate e così via e, nel contempo, rimangono in vigore molti criteri vecchi e molti organismi di controllo. Si parla di meritocrazia, ma il merito si può valutare solamente sul raggiungimento dei risultati, non sul rispetto delle regole. Le strutture basate sulle regole e sul controllo degli adempimenti hanno come riferimento e obiettivo istituzionale l'uniformità di comportamento e non il "merito" che impone una diversità di comportamento: ottengo migliori risultati, nella maggior parte dei casi, quando mi comporto in modo diverso dagli altri. La magistratura, al contrario dell'università, ha proprio come fattore distintivo la più rigida uniformità possibile di comportamento: il giudizio su un fatto dovrebbe essere il più possibile indipendente da chi giudica (o no?). Dove si annida allora la possibile degenerazione? Per rispondere a questa domanda si devono esplorare se esistono e quali sono gli spazi di "decisionalità" del burocrate. Forse non piacerà a qualche magistrato essere definito burocrate, eppure uno dei fattori che connotano in modo inequivocabile la burocrazia è la modalità di sviluppo della carriera. La carriera del burocrate deve basarsi sull'anzianità come elemento prevalente, se non addirittura unico, modificabile soltanto in termini negativi, dalle eventuali sanzioni (negative) subite nel corso della carriera perché alcuni obblighi non sono stati rispettati. E chi potrebbe negare che la carriera dei magistrati si sviluppa prevalentemente per anzianità?

Gli antidoti Ignorati

I principali ambiti su cui si esercita la decisionalità del burocrate sono: l'interpretazione della norma, la valutazione della fattispecie concreta e, soprattutto, nel caso in cui le "pratiche" da affrontare eccedano la capacità effettiva di lavoro, la selezione della priorità secondo cui affrontare le pratiche stesse. Mentre sui primi due aspetti l'analisi deve essere fatta in modo approfondito ed eccede le competenze di chi scrive, il terzo punto è molto semplice da affrontare. La "obbligatorietà" prescritta porta ad un inevitabile sovraccarico di lavoro, eccedente le capacità per cui è questo, a mio avviso, il punto più debole di tutta l'organizzazione, soprattutto perché l'organo che può eventualmente valutare il comportamento del singolo è totalmente "interno" alla corporazione. La degenerazione è quindi nella totale "discrezionalità incontrollata ed irresponsabile". A queste analisi svolte a metà degli anni Settanta si accompagnava anche l'individuazione di alcuni antidoti per combattere i virus che potenzialmente potevano attaccare l'organismo. Nel caso dell'università si trattava di muoversi verso un'elevata autonomia, includendo anche l'eliminazione del valore legale del titolo, con un sistema di valutazione dei risultati, nella didattica e nella ricerca, per poter accedere alla distribuzione di risorse pubbliche. Nel caso della magistratura occorreva un adeguato e forte sistema di controllo "terzo" e, addirittura, "politico" per quanto concerneva la priorità da attribuire alle varie fattispecie di reati da giudicare, in quanto è "politico" il giudizio su ciò che deve essere ritenuto maggiormente pericoloso per la comunità e non può essere demandato al singolo, ancorché spirito eletto. Mi sembra che, in entrambi i casi, si sia andati nella direzione opposta. Che non sia anche questo un motivo della crisi di entrambi gli istituti? (A. De Maio, Tempi 23-06-2010)