Home 2010 20 Giugno Chiarimenti in merito alla sentenza del consiglio giurisdizionale sulla piena equiparazione dei medici universitari al personale ospedaliero (indennità già De Maria)
Chiarimenti in merito alla sentenza del consiglio giurisdizionale sulla piena equiparazione dei medici universitari al personale ospedaliero (indennità già De Maria) PDF Stampa E-mail
In ordine alla sentenza del Consiglio Giurisdizionale della Sicilia ed alla eventuale riferibilità della stessa al personale della dirigenza del ruolo sanitario non medico (psicologi, biologi ed altro) corre l’obbligo di precisare quanto segue. Innanzitutto val la pena di partire dalla doverosa specificazione che la disciplina del rapporto di lavoro della dirigenza del Servizio Sanitario Nazionale è articolata in due distinte aree della contrattazione collettiva, per scelta insindacabile delle parti sociali contenuta nei CCNQ (contratti collettivi nazionali quadro). Pertanto i dirigenti delle ASL e delle Aziende del SSN appartengono alla III area della contrattazione collettiva se dirigenti del ruolo sanitario, tecnico e amministrativo ovvero alla IV area della contrattazione se medici o veterinari. Biologi e psicologi sono appunto dirigenti del ruolo sanitario ed il loro rapporto di lavoro trova la sua fonte giuridica nel contratto della III area della dirigenza. Biologi e psicologi, al pari degli altri dirigenti possono poi avere come loro formale datore di lavoro non già una ASL o altra Azienda del SSN ma una Università, nel senso che essi sono inseriti nei ruoli della docenza universitaria: sono professori ordinari, professori associati o ricercatori. In tale evenienza, il loro rapporto di lavoro non trova la sua fonte giuridica in un contratto collettivo nazionale, in quanto il loro rapporto, come suol dirsi in gergo, non è “contrattualizzato”, nel senso che la disciplina del rapporto è rimessa ad una fonte legislativa e non già ad una negoziale. Il loro rapporto di lavoro, al pari di quello di altri dipendenti della pubblica amministrazione collocati in posizione apicale, quali militari e magistrati ecc., non ha subito gli effetti della cosiddetta “privatizzazione del pubblico impiego” attuata dal legislatore a partire dal D. Lgs 29/93. Fatta tale precisazione, occorre domandarsi come risulti, nel nostro ordinamento, regolamentato il rapporto di lavoro dei docenti universitari, dipendenti dell’università (e quindi non di una azienda del SSN), che prestano servizio presso le aziende ospedaliere universitarie. Come è noto, per tale particolare categoria di soggetti, a partire dall’istituzione della c.d. indennità De Maria, il legislatore ha sempre fissato meccanismi retributivi in applicazione dei quali agli stessi venisse garantita la parità retributiva rispetto ai loro colleghi, medici e veterinari, ma anche psicologi, biologi ed altri dirigenti, direttamente assunti dal Servizio Sanitario Nazionale. In forza di tali disposizioni i minimi contrattuali fissati, da ultimo, nei CCNL dell’Area III e IV hanno trovato applicazione in favore anche del personale della docenza universitaria impegnati in attività assistenziali delle aziende ospedaliere universitarie. In punto di fatto, va anche premesso che suddetto meccanismo retributivo, da ultimo fissato nella disposizione di cui all’art. 31 del DPR 761/79, si è tradotto in un beneficio concreto soltanto per alcune categorie di docenti, atteso che le tabelle retributive dei professori ordinari e di quelli associati con una più elevata anzianità, assicurano a detti soggetti un trattamento economico complessivo già di per sé più favorevole rispetto a quello fissato dai CCNL. Per dirla in breve, un professore ordinario di una disciplina medica guadagna di più di un medico ospedaliero e, pertanto, non occorre applicare in suo favore di alcun meccanismo equiparativo, ovvero che le retribuzioni dei docenti e in alcune ipotesi degli associati superano quelle dei medici ospedalieri e ciò in ragione del fatto che essi svolgono attività di didattica e di ricerca oltre quella assistenziale. All’opposto, un ricercatore ed un associato inserito da pochi anni nei ruoli della docenza, guadagna meno di un medico ospedaliero o di altro dipendente delle professioni sanitarie. Per tali ultimi soggetti il mantenimento del meccanismo equiparativo, indennità c.d. De Maria ovvero art. 31 DPR 761/79, ha rappresentato da sempre la condicio sine qua non per non attuare una odiosa discriminazione tra personale svolgente la medesima attività, almeno limitatamente all’impegno assistenziale richiesto. In tale contesto, si sono poi inserite le disposizioni di cui al D.Lgs 517/99 che hanno trovato e trovano la loro applicazione nei confronti del personale inserito nei ruoli della docenza e prestanti servizio presso le aziende ospedaliere universitarie, siano essi medici, veterinari, psicologi, biologi od altro. Va detto subito che la finalità della legge non è stata quella di abrogare il meccanismo equiparativo di cui beneficiavano i soggetti sopra indicati, ma quello di assicurare agli altri soggetti, professori e associati, una forma di corrispettivo per il loro impegno assistenziale. Come esposto in precedenza, per effetto della struttura della retribuzione del docente universitario dell’area medica, impegnato al pari dei suoi colleghi universitari in attività di didattica e ricerca, l’ulteriore attività di assistenza non riceveva alcuna forma di compenso. Orbene, il legislatore del 1999, nell’intento di rafforzare le strutture ospedaliere delle università anche a mezzo di un maggiore impegno assistenziale dei docenti in ruolo, ha fissato all’art. 6 i criteri per la determinazione di un assegno “aggiuntivo”.
Chiaramente quindi il legislatore non ha voluto togliere alcunché ma ha voluto semplicemente aggiungere ad altri. Purtroppo però tale interpretazione della legge, fortemente sostenuta dal CSA della CISAL Università per l’Area Medica e delle altre professionalità sanitarie di Napoli, biologi e psicologi inclusi, è sfuggita, o meglio, in talune ipotesi, non è stata bene rappresentata all’interprete e così la magistratura ha fatto una gran confusione emettendo diverse pronunce tutte in contrasto tra loro con il rischio di generare delle forti disparità tra stesse categorie di personale operanti in diverse aree del paese. Premesso che a detta situazione non vi è rimedio alcuno, va osservato che l’attuale panorama giurisprudenziale non è assolutamente confortante atteso che la posizione assunta dal Consiglio di Stato, l’unico organismo giurisdizionale abilitato a giudicare in seconda istanza sulle sentenze pronunciate dai vari tribunali amministrativi regionali, appare fortemente lesiva della posizione dei c.d. più deboli, ovvero proprio di quei ricercatori ed associati che chiedevano non solo di aggiungere qualcosa al loro trattamento retributivo ma principalmente di non vedersi tolto quanto a loro era assicurato dai principi equiparativi fissati dalla legislazione precedente.
Sul punto è auspicabile un ravvedimento da parte dei giudici del Supremo organo amministrativo nel senso di una riforma delle precedenti pronunce in accoglimento delle istanze volte al mantenimento dei principi perequativi delle retribuzioni. Va anche detto che molto potrà fare la contrattazione collettiva aziendale a cui è rimesso il compito di fissare le retribuzioni di posizione e di risultato, poste come base di calcolo dell’assegno aggiuntivo ex art 6 D. Lgs 517/99, e molto ancora potrà fare la legislazione regionale a cui competerà il compito di stipulare protocolli di intesa con le università per la parte assistenziale. Quanto, infine, alla pronuncia del Consiglio Giurisdizionale della Sicilia, ci si può limitare a dire che se ne apprezza lo sforzo interpretativo operato, ma che essa, purtroppo, non ha nessun valore vincolante per i giudici del Consiglio di Stato, essendo esso organo giurisdizionale proprio di una regione a statuto speciale. Per dirla ancora una volta in breve bisognerà trasferirsi in Sicilia, dove oltre a godere del bel mare e dei bei cannoli, si potrà godere del meccanismo equiparativo fissato dall’art. 31 del DPR 761/79. Poiché quest’ultima via non è ovviamente praticabile, occorrerà, là dove non ci fosse un riscontro positivo in ambito di contrattazione integrativa, intraprendere di conseguenza la strada giurisdizionale. L’ufficio Studi è a disposizione di quanti volessero ulteriori chiarimenti sulla problematica e su come intraprendere eventuali azioni legali. (Nota dell’Ufficio Studi Nazionale del CSA della CISAL Università. Avv. N. Allocati, Aprile 2010)