Home 2010 06 Giugno Il valore legale della laurea
Il valore legale della laurea PDF Stampa E-mail
Se ne parla dai tempi di Luigi Einaudi, che accese la fiaccola "abolizionista" già dal primo dopoguerra. E se torna a parlare anche oggi, nel bel mezzo delle contestazioni contro la riforma universitaria, che si propone di liberalizzare il sistema scolastico e che, per il futuro: intende mandare in soffitta il valore legale dei titoli di studio. Abolirlo, secondo il ministro all'Istruzione Maria Stella Gelmini, rappresenterebbe il punto d'arrivo del suo progetto riformista. Un traguardo da raggiungere, ma comunque non una priorità a breve termine. Nel ddl, che ora si trova in Commissione Istruzione del Senato, non dovrebbero esserci colpi di scena al riguardo, ma solo piccoli accorgimenti normativi che, seppur indirettamente, spianerebbero la strada a una deregolamentazione dei titoli di studio. In Italia la laurea è ancora un certificato pubblico, rilasciato in nome della legge dal ministero competente o da un'autorità accademica. I critici, perlopiù di stampo liberale e ispirati al modello universitario anglosassone, contestano il controllo statale sui curriculum statalisti, una mano pesante che ingesserebbe sia il mondo universitario che quello del lavoro. Il valore legale dei titoli di studi, stando ai suoi detrattori, incrementa la proliferazione degli atenei e di quei corsi di studi senza alcuna attinenza con l'economia reale; vanifica ogni tentativo di far crescere la concorrenza tra le facoltà, esaspera il controllo pubblico sul mondo universitario, costringe i migliori cervelli alla fuga all'estero. Secondo Confindustria, ad esempio, «sarebbe auspicabile abolire il valore legale della laurea, che è ormai un peso e un residuo del passato. Meglio sarebbe — si esprime così in una nota ufficiale l'associazione degli industriali —sostituirlo con un sistema flessibile di accreditamento così come già accade in altri paesi europei, svolto da agenzie indipendenti, che assicuri la verifica del valore reale dei corsi di studio universitari. Nel Regno Unito, patria del pensiero liberale, non c'è il "valore legale" ma un’agenzia indipendente, la Quality Assurance Agency, che garantisce la verifica dell'esistenza di requisiti minimi e il miglioramento continuo degli standard qualitativi dell'educazione superiore». Una sfida liberai contro statalisti? Non proprio. O almeno lo scontro è più complesso e frammentato. Come spiegano nel loro recente studio due ricercatori del Cni (Consiglio Nazionale degli ingegneri) Massimiliano Pittau e Nicola Colacino la partita abolizionista riguarda «soprattutto la regolamentazione dell'accesso all'esercizio delle professioni protette. Le proposte di legge presentate nell'attuale legislatura sono finalizzate a far venire meno il valore di requisito dei titoli di studio esclusivamente per l'accesso ai pubblici concorsi, ma non per l'accesso all'esame di stato per l'abilitazione allo svolgimento». Vale a dire che se dovesse andare in porto l'iniziativa "abolizionista", verrebbero rafforzatigli ordini professionali, che proprio il gruppo di pressione liberista vorrebbe veder cancellati, o per lo meno snelliti di importanza. Se il dibattito è annoso e una conclusione a breve termine appare come un miraggio, piccoli passi normativi procedono per sgretolare il muro del valore legale. Dice Carlo Finocchietti, direttore generale di Cimea, Centro per la mobilità e il riconoscimento dei titoli, nato nel 1984 su iniziativa della Fondazione Rui: «Il valore legale della laurea si basa su due pilastri: uno è l'ordinamento didattico nazionale, l'altro è l'esame di Stato. Da un lato è in atto un progressivo depotenziamento del titolo di studio, attraverso le varie riforme universitarie che diminuiscono il controllo statale sui corsi universitari, che oggi per il 40% vengono definiti dagli atenei. In questo modo, accentuando la diversità e la competizione tra università, si sta creando un terreno fertile per una futura abolizione». Ma il percorso non sarà così semplice. «Intanto l'esame di Stato, che è il passaggio obbligato per esercitare una professione per le categorie protette, come medici, ingegneri, avvocati, è previsto dalla costituzione. Si può modificare, ma si tratta di una strada molto delicata. E poi sono davvero in pochi a voler liberalizzare totalmente, affidando a enti esterni certificatori l'idoneità professionale. Credo che si procederà per piccoli passi, cercando di ottenere analoghi risultati, mercato del lavoro più aperto, atenei più competitivi, senza stravolgere l'assetto normativo». (C. Benna, La Repubblica 24-05-2010)