Home 2016 26 giugno RICERCA. RICERCATORI BASSA INTENSITÀ TECNOLOGICA DELLA NOSTRA STRUTTURA PRODUTTIVA E “CERVELLI IN FUGA” NONOSTANTE L’OTTIMA QUALITÀ DELLA RICERCA
BASSA INTENSITÀ TECNOLOGICA DELLA NOSTRA STRUTTURA PRODUTTIVA E “CERVELLI IN FUGA” NONOSTANTE L’OTTIMA QUALITÀ DELLA RICERCA PDF Stampa E-mail

Le conferme che l’attività di ricerca svolta in Italia sia di ottima qualità ci provengono da più fronti, a partire dai dati sulla produttività scientifica, espressa come rapporto tra numero di pubblicazioni ed ammontare delle spese in ricerca, per arrivare al riconoscimento delle “eccellenze” nazionali premiate con l’assegnazione dei prestigiosi fondi ERC (European Research Council), che anche quest’anno si sono collocate ai primi posti insieme ai maggiori paesi dell’Unione Europea. Ma c’è un’altra faccia della medaglia, non meno nota, che contrasta profondamente con i brillanti risultati degli scienziati italiani e che sta alzando i toni dell’allarme sulle non ottimistiche prospettive di sviluppo della ricerca nel nostro paese. Quest’altra faccia si chiama “fuga” dalla ricerca e ci mostra un paese che – paradossalmente – sta rinunciando a qualcosa che sa fare bene e che per giunta risulta oggi più che mai essenziale per la crescita di un’economia avanzata. Un fenomeno in netto peggioramento e che gli stessi dati sui fondi ERC confermano impietosamente, indicando che tra i titolari italiani del finanziamento in questione c’è una quota crescente di ricercatori che li spende all’estero. E non basta. Perché a dispetto di qualche commento, che vorrebbe ridimensionare l’entità del problema sostenendo che le dinamiche di un mondo globalizzato – quale è quello in cui viviamo – prevedono inevitabilmente che via sia una fisiologica circolazione dei saperi, le quote ERC spese oltreconfine dall’Italia sono tra le più alte dei paesi europei. Né i fondi spesi in Italia sono tali da compensare l’emorragia delle uscite, poiché il nostro paese si rivela tra i meno attrattivi. Questi dati – che attestano l’approfondirsi di un deficit del paese nella capacità di produrre nuove conoscenze – sono d’altra parte consonanti con tutta un’altra serie di risultati (negativi) che l’Italia sta inanellando oramai da tempo sul fronte dell’alta formazione: dalla caduta della spesa pubblica destinata all’università (in controtendenza rispetto agli stessi andamenti della spesa pubblica complessiva al netto degli interessi sul debito, che tra il 2014 e il suo minimo nel 2011 aumenta del 10,7%), alla precarizzazione del corpo docente (solo il 48,3% è rappresentato da docenti e ricercatori strutturati), a una riduzione delle posizioni di dottorato, che dal 2008 sono scese del 19% con un picco del 38% nel Meridione, per finire con un crollo delle iscrizioni all’università, che ci porta ad essere fanalino di coda per numero di laureati tra i maggiori paesi industrializzati.
La conclusione dell’articolista (D. Palma) è che nella “fuga” dalla ricerca, sopra ricordata, ha un ruolo chiave, ma trascurato dagli analisti, la bassa intensità tecnologica della nostra struttura produttiva. La specializzazione in settori a bassa intensità tecnologica condiziona la domanda di forza lavoro con alta formazione, innescando a sua volta una pressione al ribasso sulla spesa pubblica in ricerca che innesca un circuito vizioso che spinge alla contrazione di quella privata. In assenza di un coordinamento tra politiche della ricerca e politiche industriali il PIL italiano continuerà a crescere agli insoddisfacenti ritmi degli ultimi anni. (Fonte: D. Palma,
http://tinyurl.com/j69aab2 27-05-16)