Home 2015 18 maggio IN EVIDENZA RICERCA. PERCHÉ L'ITALIA HA SEMPRE PORTATO A CASA MOLTO MENO DI QUANTO METTE NEL FONDO COMUNE EUROPEO
RICERCA. PERCHÉ L'ITALIA HA SEMPRE PORTATO A CASA MOLTO MENO DI QUANTO METTE NEL FONDO COMUNE EUROPEO PDF Stampa E-mail

Mettiamo nel fondo comune per la ricerca europea molto più di quanto i nostri scienziati riescano a recuperare. Che può apparire paradossale per un Paese in cui finanziamenti alla ricerca sono in costante declino (oggi circa l'1,3% del Pil contro il 2,4 della media Ocse). Lo confermano i primi numeri di Horizon 2020, il programma di finanziamento della ricerca europea che stanzia 78,6 miliardi di euro in sette anni (2014-2020). I progetti italiani hanno un basso tasso di successo: il 18%, a fronte del 26% dei belgi, del 25% di Olanda e Francia, del 24% della Germania. Per di più ogni nostro progetto rende in media trecentomila euro e spiccioli, la metà di uno tedesco. In totale, pur contribuendo al bilancio Eu per il 13%, vediamo entrare solo l'8% di quanto destinato alla ricerca. Per Alberto Mantovani, direttore scientifico dell'istituto Humanitas, quei numeri non solo non sono una sorpresa, ma non esiste nemmeno il paradosso di un Paese in declino che continua a declinare. Anzi. «È sempre stato così: l'Italia ha sempre portato a casa molto meno di quanto mette nel fondo comune europeo. Del resto, abbiamo smesso di investire in ricerca da un pezzo, adesso non possiamo più pensare di essere competitivi». Ma i nostri ricercatori sono davvero cosi scarsi? «Niente affatto: qui non è in gioco la competitività dei ricercatori italiani, ma del sistema della ricerca italiana nel complesso. Se guardiamo altri indicatori, vediamo infatti un'altra realtà. I nostri ricercatori sono pochi: sono quattro ogni mille abitanti, meno della metà della media degli altri Paesi europei. Ma sono molto produttivi. Nell'area lombarda (quella che conosco meglio) siamo, in proporzione, anche più produttivi dei tedeschi». E allora il problema qual è? «Che l'investimento italiano è scarso e di bassa qualità. Noi non abbiamo mai fatto scelte strategiche come quella di puntare sulle università migliori, come la Germania o la Cina. Guardate gli Erc dove i nostri ricercatori se la giocano benissimo (siamo secondi dopo i tedeschi), ma la maggior parte di loro (26 su 46) lavora all'estero. Da gennaio 2014, con Horizon 2020 sono partiti 2399 progetti. Il Paese col maggior numero di partecipazioni è il Regno Unito, ma chi riceve più soldi è la Germania. Anche la Spagna se la cava bene (326 milioni di euro contro i nostri 289). Ma noi siamo terzi per numero di domande, e ventesimi per numero di approvazioni». Perché mettiamo tanti soldi nella ricerca europea? «Non facciamo l'errore di pensare che quelli nel fondo europeo per la ricerca siano soldi persi. Noi abbiamo bisogno dell'Europa e se ci chiudiamo sbagliamo due volte. Dobbiamo invece leggere quei numeri come un allarme: fare scelte strategiche, investire di più in ricerca, diventare attrattivi, premiare i più meritevoli». Non potremmo cominciare a richiamare i cervelli fuggiti? «Ma non bastano i soldi per farli rientrare! Il problema è sempre quello: ci vuole un sistema efficiente e capace di premiare il merito. Cioè quando richiamo in Italia qualcuno devo dargli laboratori, persone, prospettive». (Fonte: S. Bencivelli, La Repubblica 13-04-2015)