Home 2015 16 febbraio RICERCA. RICERCATORI RICERCATORI. PERCHÈ NACQUERO A TEMPO INDETERMINATO
RICERCATORI. PERCHÈ NACQUERO A TEMPO INDETERMINATO PDF Stampa E-mail

I ricercatori universitari (RU) a tempo indeterminato (ora ruolo ad esaurimento) dovevano “sostituire”, nei primi anni ’80, una giungla di figure precarie “accumulatesi” durante gli anni ’70 nei ranghi dell’Università italiana. Furono concepiti come “posizione di ruolo permanente” e non come posizione a tempo determinato proprio per l’opposizione ideologica, prevalente in quei tempi, alla “precarizzazione del lavoro”, tant’è che l’originaria proposta del ministro Valitutti di limitarne la durata temporale a 7 anni fu poi emendata durante il passaggio nelle Commissioni Parlamentari.
Per poter insegnare (nel senso di avere la responsabilità didattica di un corso di insegnamento) bisognava diventare Professori Associati – e mi pare che ci fosse una logica in tutto questo. Ciò che era illogico era pensare che l’istituzione del ruolo di RU avrebbe eliminato il precariato, giacché dopo pochi anni fu evidente che il veloce raggiungimento dei limiti superiori per gli organici nazionali degli RU avrebbe imposto una rinnovata vita alle figure a tempo determinato – ora tipicamente post-dottorato. Facciamo un salto di qualche anno e arriviamo al periodo “gelminiano”. La successiva deroga al principio di assicurare l’insegnamento ai soli Professori fu una conseguenza del continuo aumento di domanda di insegnamento negli anni ’80 e ’90. Ma non si poteva per questo cambiare lo stato giuridico degli RU; lo impediva la natura di funzionario pubblico loro attribuita, analogamente a quello dei Professori: non si possono cambiare i profili funzionali di tali categorie di personale “ex abrupto”. E del resto fare degli RU una “terza fascia di Professori” avrebbe ipso facto causato una svalutazione del ruolo docente, assegnando compiti equivalenti a quelli dei professori associati a personale con stipendio inferiore. (Fonte: R. Rubele, replica a N. Casagli 03-02-2015)